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 2014  aprile 13 Domenica calendario

CON LA CRISI DI FORZA ITALIA SI RISCHIA IL PARTITO UNICO


La bilancia non è soltanto il simbolo della giustizia, ma ci rammenta l’assoluta necessità dell’equilibrio politico. E nel presentarci i due piatti sembra indicarci la via maestra della democrazia: uno dei due non deve mai combattere l’altro nel tentativo di sopraffarlo, metterlo alle corde, annullarlo per un tempo che può essere lungo. Nell’Italia del 2014 proprio questo potrebbe accadere. La sinistra attraversa un momento di grande fortuna. Ha trovato un leader che nessuno si aspettava, Matteo Renzi, un politico astuto e cinico che si sta muovendo come un rullo compressore. E dopo aver messo a tacere gli avversari interni al Partito democratico, si sta preparando a mandare al tappeto il proprio competitore: il centrodestra, ossia la destra italiana nelle sue varie forme.
A chi interessa questo duello? Qualcuno penserà che riguardi soltanto gli Stati maggiori delle due parrocchie. Ma sarebbe un errore osservare la questione soltanto da un punto di vista così ristretto. In realtà lo scontro fra sinistra e destra è una questione di tutti gli italiani, pochi o tanti che siano, ancora interessati alla vita pubblica e disposti a recarsi alle urne. Per dirla più chiara, la sorte della destra dovrebbe stare a cuore anche a chi non la voterà mai, neppure nella versione soft odierna. Quella di un Berlusconi messo alle corde dai suoi stessi errori e poi dai magistrati.
Molti potranno ritenere assurdo che la sorte di Forza Italia e il destino del Cavaliere leader politico rappresenti un problema per tutti. Ma il Bestiario non ha nessun dubbio in proposito. Lo conferma l’immagine della bilancia. Nessuna democrazia può durare se il sistema politico sul quale si regge prevede un solo partito. Certo, in Italia i partiti sono persino troppi. Tuttavia se Renzi continuerà a crescere, e acquisterà sempre più consenso e soprattutto potere, avremo di fatto un regime a partito unico.
Che sia non dichiarato e imperfetto, ha poca importanza. A governare il paese sarà soltanto una parrocchia. Le altre, a cominciare dalla destra, saranno ridotte ai piedi di Cristo, avrebbe detto mia nonna. Un uomo solo al comando può essere uno spettacolo interessante da studiare. Ma di certo rappresenta anche un rischio per tutti. È questo il ragionamento che mi spinge a chiedermi quale sia lo stato di salute della destra italiana. La domanda ha una risposta scontata: la sua salute è pessima. Abbiamo di fronte un malato grave che non sarà facile salvare. Il referto che lo riguarda non è affatto incoraggiante, anzi è quasi disperato.
Per cominciare, i numeri volgono al peggio. Nel 2008 il Pdl di Berlusconi aveva raccolto quasi 14 milioni di voti. Due anni dopo, alle elezioni europee, i voti erano stati 11 milioni. Alle politiche del 2013, nella tornata elettorale che ha visto esplodere l’antipolitica e l’astensionismo, il Cavaliere aveva incassato appena 7 milioni e 300 mila voti. Il confronto con il 2008 è impietoso: il bottino di Silvio risulta quasi dimezzato.
Le previsioni sono da incubo. Qui si entra nel terreno minato di chi scruta il futuro per mestiere, i sondaggisti. Alcuni sostengono che Forza Italia oggi può contare su poco più di cinque milioni di voti e sarebbe in grado di attestarsi appena al di sotto del venti per cento. Ma dentro il partito di Berlusconi le ipotesi sono anche più lugubri. Il forzismo del 2014 non sarebbe in grado di superare il quindici per cento. Con il tragico risultato di diventare il terzo partito italiano, molto lontano dal Pd di Renzi e pure dai Cinque stelle di Beppe Grillo.
C’è un spettro che incombe sul vertice di Forza Italia. È quello della Dc, una Balena bianca uccisa da Tangentopoli e alle prese con una crisi esistenziale che le aveva portato via i due terzi dei voti raccolti nel corso dell’intera Prima repubblica. Nel tentativo di evitare un’agonia senza rimedio, i democristiani si affidarono a un nuovo leader: Mino Martinazzoli, senatore e più volte ministro.
Era un galantuomo bresciano intelligente, spesso silenzioso, ma capace di battute folgoranti. Noi cronistacci lo chiamavamo il Bel tenebroso con le mutande lunghe. Diventò segretario della Dc nell’ottobre 1992, quando aveva 61 anni e traghettò la vecchia Balena nel nuovo Partito popolare italiano. Però non cambiò il destino dei democristiani rimasti in trincea, poi confluiti nel Partito democratico.
Esiste a destra un Martinazzoli in grado di opporsi alla fine di Forza Italia? Mi sembra di no. E se mai ci fosse dovrebbe scalare l’Everest con le scarpe da tennis, ossia risolvere prima di tutto un problemino mica da poco: la resistenza di Berlusconi a gettare la spugna, per ritirarsi a vita privata. Infatti il Cavaliere non ha nessuna intenzione di lasciare il campo di battaglia. E questo complica tutto.
Devo confessare che l’ostinazione di Silvio la comprendo e mi piace. Ho un anno più di lui e come tutti gli anziani che si sono fatti largo da soli nei ruoli che il caso o loro stessi hanno scelto (lui l’imprenditore e poi il leader politico, il sottoscritto il giornalista e lo scrittore a tempo perso), anch’io non ho nessuna intenzione di gettare la spugna. Pensiamo di essere meglio dei quaranta-cinquantenni che vorrebbero mandarci a casa e prendere il nostro posto. Per quel che mi riguarda non ho problemi. Il giorno che gli editori non vorranno più le mie scartoffie, me ne farò una ragione e continuerò a scrivere per il piacere di farlo.
Ma per il Cavaliere la musica è tutt’altra. A chi dovrebbe cedere il partito che ha inventato e condotto alla vittoria? Attorno a sé non vede nessun erede. E per la verità anch’io non lo vedo. L’unico possibile leader, per carattere, intelligenza e doti di combattente, mi sembra Renato Brunetta. Però nell’ipotesi di una cessione di sovranità da Berlusconi a lui, dentro Forza Italia esploderebbe una guerra civile. Senza scampo, sanguinosa e priva di prospettive.
Infatti a destra esiste una questione piena di spine e di veleno. Ed è lo stato attuale di Forza Italia, insieme alla nebulosa di mini partiti che la circonda. Sull’ultimo numero dell’Espresso, Marco Damilano ha pubblicato un reportage drammatico sul disastro che rischia di uccidere la struttura portante della destra italiana. Tutti contro tutti. Nessun rispetto per i possibili alleati. Giovanni Toti, fresco consigliere di Silvio, che ad Angelino Alfano dà del cagnolino ringhiante perché ha paura. Big che non vogliono candidarsi alle europee per timore di un flop fantozziano. Persino due uffici stampa in concorrenza fra loro, uno diretto dalla portavoce Deborah Bergamini e l’altro in mano a Denis Verdini, uno dei padroni del partito. Sapete quale epoca mi ricorda lo stato attuale del campo berlusconiano? L’Italia dell’8 settembre 1943. Il re e il maresciallo Badoglio in fuga da Roma, i generali incapaci di fermare il ritorno a casa dei soldati, un paese allo sbando occupato dalle truppe tedesche. All’orizzonte di Forza Italia non si affaccia nessun esercito invasore. Ma c’è un leader politico, Renzi, pronto a spolpare l’unica ricchezza rimasta al forzismo: gli elettori. Morale della favola? La bilancia si è spezzata e sembra avere un solo piatto. Il possibile voto a destra diventa molto difficile, quasi un salto nel buio per la mancanza di una classe dirigente in grado di rassicurare gli elettori. Questi possono sperare soltanto in un miracolo: la resurrezione di Silvio. Oggi è così. Domani chissà. Ma purtroppo del domani non v’è certezza.