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 2014  aprile 12 Sabato calendario

LA FEBBRE D’ORO


Eravamo in paranoia pesante. Era il febbraio 2006, Povia vinceva il Festival di Sanremo con “Vorrei avere il becco” (a ripensarci ora viene da ridere: era sulla notizia), la Juve dominava la serie A con dieci punti di vantaggio sul Milan (scudetto poi assegnato all’Inter per calciopoli), Osama bin Laden minacciava gli Usa con un nuovo nastro audio, ma noi chissenfrega pensavamo ad altro. Terrorizzati, fissavamo gli orientali in metropolitana e li vedevamo come strani mostri e se qualcuno di loro starnutiva addio mondo crudele credevamo di essere spacciati.
Già, l’aviaria, l’influenza trasmessa dai polli e arrivata dalla Corea. Ogni tg una notizia allarmante, ogni giorno una minaccia: dopo i primi casi europei ci era stata annunciata una pandemia devastante (150mila morti soltanto in Italia) e ci consideravamo senza scampo.
TAMIFLU PENSACI TU
Stupiti e preoccupati, non ci era rimasto che imparare una parolina magica: Tamiflu. Sì, un medicinale della multinazionale svizzera Roche che secondo gli esperti ci avrebbe salvati e guariti. E allora via, con le abbondanti scorte. Poveri illusi, era tutta una bufala per speculare e ora che ne abbiamo la prova iniziamo a capire meglio. A rivelarlo ufficialmente è un gruppo di scienziati indipendenti Cochrane collaboration che lo ha spiegato sul “British medical journal”: per l’influenza aviaria (62 morti accertati, fino al 2006) l’antivirale della Roche è stato inutile.
Secondo la ricerca il Tamiflu (il cui costo varia dai 35 ai 70 euro a scatola secondo richiesta e Paese) contrappone alle influenze gli stessi effetti di un normale paracetamolo. Tradotto, non è servito a prevenire la diffusione della millantata pandemia, ma ha solo attenuato, nei primi cinque giorni del contagio, alcuni sintomi. Sì, una specie di banale tachipirina. Gli uffici stampa della Roche, ovviamente, hanno subito replicato: «La metodologia della ricerca è poco chiara e inappropriata e le conclusioni a cui giunge potrebbero avere gravi conseguenze in termini di salute pubblica». Sarà. Resta il fatto che, grazie al panico collettivo, la multinazionale svizzera ha venduto nel mondo, solo nel 2009, confezioni per 2,64 miliardi di euro (ma è stato utilizzato solo da 50 milioni di persone).
Di più, ecco qualche altro dato niente male. Nel novembre 2005 il presidente americano George W. Bush ha richiesto al congresso 7,1 miliardi di dollari per prepararsi a una pandemia, specificando che 1,4 miliardi sarebbero stati necessari per acquistare farmaci antivirali. Salvo scoprire poi ops che il brevetto del farmaco è stato dal 1997 al 2001 della società Gilead, il cui presidente era Donald Rumsfeld, segretario di Stato americano dell’amministrazione Bush dal 2001 al 2006 (Rumsfeld non mai ha lasciato il pacchetto di azioni Gilead e tutt’oggi riceve il 22 per cento dei profitti derivanti dalla vendita del Tamiflu).
E ancora. In quei giorni di panico e allarme il segretario di Stato impose la somministrazione obbligatoria del suo farmaco alle truppe nordamericane. E anche i governi occidentali ordinarono quantità esagerate del medicinale alla Roche, che vide lievitare i bilanci e faticò a soddisfare le richieste: la Svizzera chiese 2,3 milioni di dosi, il Canada 5,4 milioni, la Francia 13 milioni, la Gran Bretagna 14,6 milioni, l’Italia 6 milioni (Storace autorizzò l’acquisto di antivirali per il 10 per cento della popolazione).
LA REGOLA DEL TRE
Soldi buttati, terrorismo psicologico, annunci catastrofici per speculare. Incredibile. Pazzesco. E allora viene spontaneo fare qualche calcolo in più. E chiedersi, per esempio, chissà come mai, ogni tre anni circa, veniamo bombardati da un nuovo allarme. Strano, no? Nel giugno 2011 ricordate, vero? improvvisamente spuntò il cetriolo killer. A metterci paura, ovvio, fu l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) secondo cui «il batterio “Escherichia coli” trovato nei cetrioli spagnoli che hanno mietuto vittime in Germania, e non solo, sta destando la seria preoccupazione dell’Unione europea. Al momento in Germania si stimano oltre 1.500 persone contagiate, circa 500 tra Svezia, Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Spagna. In Germania le vittime sono 17. Un’altra vittima si è registrata in Svezia». La colpa venne poi dirottata sui germogli di soia e poi, poco a poco che i dato si sgonfiarono, non se ne parlò più.
Nel 2009, a farci perdere sonno, fu l’influenza suina (o influenza A), parente dell’aviaria. Guarda caso, anche quella volta il super medicinale consigliato era il Tamiflu. Ma, di pari passo agli affari della Roche, iniziarono a essere resi pubblici i primi sospetti. Fu il presidente della commissione Sanità del Consiglio d’Europa, Wolfang Wodarg, a lanciare accuse pesanti contro case farmaceutiche e Oms nel 2010: «Il caso dell’influenza suina è stato uno dei più grandi scandali sanitari del secolo. Le maggiori aziende farmaceutiche mondiali sono riuscite a piazzare i propri uomini negli ingranaggi dell’Oms e dei governi mondiali in modo da condizionare le loro decisioni. Per promuovere i loro farmaci brevettati e i vaccini contro l’influenza le case farmaceutiche hanno influenzato scienziati e organismi ufficiali così da allarmare tutto il mondo: li hanno spinti a sperperare le ristrette risorse finanziari per strategie di vaccinazione inefficaci e hanno esposto inutilmente milioni di persone al rischio di effetti collaterali sconosciuti per vacci-
ni non sufficientemente testati».
RITORNELLO SARS
E prima dell’aviaria (2006)? Nel 2003, ci fu la Sars (Severe Acute Respiratory Syndrom, Sindrome Acuta Respiratoria Grave: l’acronimo Sars è stato inventato durante una conferenza stampa da un dirigente dell’Oms, “perché era più comunicabile”), una forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong (Canton) in Cina e poi esportata in Canada. Terrore, minacce, farmaci, vaccini e un bollettino che al 18 di giugno contava 8465 i casi segnalati nel mondo e 801 i morti accertati: ma già il 5 luglio l’Oms dichiarò che l’epidemia poteva considerarsi contenuta in ogni parte del mondo. Due anni prima, a inizio 2001, fummo invece stravolti dalla “encefalopatia spongiforme bovina (BSE, ossia Bovine Spongiform Encephalopathy)”. Mucca pazza. In Italia, per contrastare il fenomeno, vennero presi diversi provvedimenti normativi: il più clamoroso fu quello (a marzo) che vietava il consumo della bistecca con l’osso. Un inferno. Che durò fin quando la fiorentina slur slurp riapparve sulle nostre tavole nel 2005 perchè considerata non più a rischio.
Sì, era già il momento di prepararsi all’aviaria...