Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 14 Lunedì calendario

SEDICI ANNI PER SALVARE IL MONDO


NEW YORK Salvare la Terra dalle conseguenze nefaste dell’effetto serra è ancora possibile, ma occorre agire subito: i ritardi attuali nell’azione rendono il compito ogni giorno più difficile e più costoso.
Il comitato delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha emesso ieri a Berlino il terzo dei documenti preparatori al nuovo trattato che sarà discusso dai paesi membri nel 2015, e che avrà applicazione a partire dal 2020. Il primo, scritto a Yokohama, riaffermava l’evidenza scientifica dei rischi che l’attività umana pone all’ambiente. Il secondo dello scorso settembre a Stoccolma, ammoniva contro l’aumento del rischio e raccomandava una tabella di marcia accelerata per gli interventi. A Berlino si è iniziato a parlare in dettaglio degli interventi, e immediatamente si è entrati nel terreno conteso delle attribuzioni di responsabilità, e della resistenza contro le misure da adottare per contrastare il surriscaldamento atmosferico. L’Arabia Saudita secondo fonti di agenzia ha cercato di opporsi a limiti troppo stretti di riduzione delle emissioni, e i due Paesi che guidano la classifica delle emissioni, Cina e Usa, hanno preteso che alcuni dei grafici più compromettenti che fanno parte delle 2000 pagine di cui si compone il rapporto, fossero esclusi dall’estratto di 500 pagine che è destinato ai capi politici dei Paesi membri. La contesa di maggior peso è quella che riguarda la classificazione dei Paesi a seconda del volume dei gas emessi. Finora l’Onu ha distinto tra Paesi in via di sviluppo e quelli ad economia matura, finendo così per classificare paesi come la Cina e il Brasile tra quelli cui concedere maggiori licenze inquinanti per non sopprimere la crescita in atto. Ora gli esperti vorrebbero passare ad una articolazione in quattro stadi a seconda della ricchezza reale: basso reddito, basso-medio, medio-superiore e alto. L’aggiunta dei nuovi livelli spaventa chi pensa di poter essere penalizzato dalle prossime misure correttive in arrivo l’anno prossimo.
TENSIONI
Le tensioni sono inevitabili perché nonostante le buone intenzioni e malgrado i progressi compiuti da tanti Paesi a cominciare dall’Europa, la sete per il consumo di energia continua a crescere nel mondo, e con essa aumentano le emissioni. Negli ultimi anni gli americani prima, e ora anche i cinesi, hanno investito considerevoli risorse pubbliche nella produzione di energia tramite fonti alternative. Lo sforzo è stato però annullato dall’arrivo di nuove tecnologie che permettono di estrarre gas naturale e petrolio dalle rocce di scisto. Il Gpl è oggi abbondante ed economico in Usa, e il suo consumo ha ancora una volta rilanciato la dipendenza da fonti fossili, e quindi l’aumento delle emissioni.
Le conseguenze sull’ambiente dell’attuale passo di marcia sono disastrose: nel primo decennio del secolo in corso le attività umane hanno immesso nell’ambiente un volume doppio rispetto agli ultimi decenni del 21mo secolo di gas che incidono sull’effetto serra. Il testo di Berlino dice che se non interverranno manovre correttive, nel 2050 assisteremo ad un aumento medio della temperatura tra i 2 e i 3,2 gradi centigradi, che potrebbero raddoppiare entro la fine del secolo.
CONTROMISURE
Evitare questo quadro è ancora possibile, ma il tempo sta stringendo. Per la prima volta il comitato dell’ IPCC indica l’obiettivo di limitare le emissioni per l’intero secolo a 1000 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, il principale dei gas con effetto serra. Ma nel solo primo decennio che abbiamo alle spalle la produzione umana di Co2 ha già superato la metà di quel volume; per rientrare nei limiti di sicurezza dovremo impegnarci a tagliare dal 40 al 70% le emissioni entro il 2050, e poi ridurle a zero per il 2100. Un tale sforzo di riconversione sarà ingente per tutti ma non impossibile: nei calcoli degli scienziati consultati dall’Onu gli investimenti necessari per cambiare rotta rallenteranno sì la crescita del Pil mondiale, ma con un incidenza limitata dello 0,06% sul bilancio di un singolo anno.
Il panel che l’Onu ha messo insieme per la compilazione dei rapporti e delle raccomandazioni correttive dell’effetto serra è composto da più di 2000 scienziati provenienti da 154 paesi, tra i quali vige un accordo pressoché indiscusso sui metodi di ricerca e sulle conclusioni raggiunte. La conferenza che lo accompagna è invece nelle mani dei politici che rappresentano gli interessi di 190 paesi, tra i quali il consenso è minimo, e l’azione comune finora è stata finora difficile da concordare, e tanto più da ratificare nei rispettivi parlamenti locali.