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 2014  aprile 13 Domenica calendario

SCURE SU IMPIEGATI E OPERAI IN 2.000 RISCHIANO IL POSTO


I TAGLI
ROMA James Hogan è ripartito per Abu Dhabi consegnando i compiti a casa a Gabriele Del Torchio: sforbiciate pesanti al costo del lavoro prima di convolare a giuste nozze. Solo a conti fatti i due amministratori delegati di Etihad e Alitalia potranno sedersi al tavolo e firmare l’alleanza. Sacrifici rilevanti a partire da quello possibile, anzi probabile, pure se non confermato, del taglio di tremila persone, tra piloti, assistenti di volo e addetti di terra. Praticamente, un dipendente su quattro, rispetto ai 12.500 oggi a libro paga della nostra ex compagnia di bandiera. Le organizzazioni sindacali per ora si limitano a ribadire che per loro vale l’accordo siglato il 14 febbraio scorso che prevede cassa integrazione e contratti di solidarietà per i 1.900 esuberi già individuati e nessun ricorso alla cig a zero ore.
Ma, in effetti, la richiesta degli arabi è ben più indigesta: nel mirino ci sarebbero 3.000 dipendenti, più o meno tutti coloro che oggi sono in cassa o hanno contratti di solidarietà. Andando ad identificare le tre categorie che operano per conto dell’aviolinea, la più penalizzata risulterebbe quella di terra con 2.012 unità a rischio, a seguire quella costituita da hostess e steward (726), infine quella dei piloti (348).
Come si arriva a queste cifre? E’ sufficiente passare in rassegna i numeri e i diversi interventi sui costi che si sono succeduti negli anni. Settecento (125 tra il personale di volo - di cui 85 assistenti e 40 piloti - e 575 tra quello terra) sono in cig a zero ore, su base volontaria per quattro anni, già dal marzo del 2011; ad essi, dal marzo 2012, si sono aggiunti altri 28 piloti e 120 assistenti di volo. Totale, circa 850 cassintegrati a zero ore. Probabilmente destinati a uscire definitivamente dall’azienda.
L’OPZIONE
La recente intesa di febbraio ha fatto lievitare ulteriormente la cifra con il ricorso alla cassa integrazione a rotazione (picco massimo di 13 giornate al mese) per circa 4.000 addetti di terra che vanno a compensare il mantenimento del posto di 1.437 colleghi che erano e sono considerati in esubero. Per tutti i ”comandanti”, hostess e steward è stato adottato, invece, lo strumento dei contratti di solidarietà (mediamente cinque giorni al mese) che copre esuberi per 801 unità lavorative. Mettendo insieme i ”vecchi” cassintegrati a zero ore (850), i nuovi esuberi di terra del febbraio scorso (1.437) e il personale navigante in regime di solidarietà (280 piloti + 521 assistenti di volo), si tocca e si supera fatalmente a quella quota 3.000 che Etihad avrebbe fissato per far roteare la propria scure. Il ragionamento, magari fin troppo cinico, degli arabi sembrerebbe abbastanza chiaro: se Alitalia è riuscita e ancora riesce a volare facendo a meno di tremila persone, evidentemente potrà farlo anche in futuro. Magari migliorando ulteriormente le proprie finanze attraverso la decurtazione degli stipendi dei dirigenti che superano i 40.000 euro all’anno. Quest’ultima è una opzione che pure Gabriele Del Torchio aveva messo sul tavolo nella più recente trattativa con i sindacati, ma che non è stata portata avanti. Almeno per ora.
«I tagli? Non c’è nulla di vero», ha precisato ieri l’altro il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi. Sarà anche così, ma tra le organizzazioni sindacali è scattato l’allarme rosso. Temono che, a due mesi esatti, dalla firma dell’intesa sul personale, tutto possa essere rimesso in discussione e si debba riaprire un confronto con i vertici di Alitalia. Non certo con James Hogan che sarà anche un manager di talento, ma sicuramente non ha l’abitudine e forse neppure l’attitudine alle italiche maratone negoziali.