Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 14 Lunedì calendario

Il silenzio dei bilanci la dice lunga su come la vicenda Sorgenia imbarazzi profondamente le banche nostrane

Il silenzio dei bilanci la dice lunga su come la vicenda Sorgenia imbarazzi profondamente le banche nostrane. Non è un mistero, infatti, che i principali istituti di credito italiani - primo tra tutti il Monte dei Paschi di Siena, ma è in buona compagnia di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bpm, Banco Popolare e Ubi - abbiano scelto di concedere credito alla utility per quasi 2 miliardi a fronte di un investimento iniziale della famiglia De Benedetti, prima socia attraverso la holding Cir, di appena qualche centinaia di milioni di euro. Un trattamento che gran parte delle imprese italiane ha soltanto potuto sognare negli anni migliori dell’economia, e a maggior ragione in questi tempi di crisi e di cordoni della borsa da tirare. E’ dunque possibile che nei bilanci del 2013 appena depositati dai grandi istituti di credito italiani (all’appello manca ormai solo Unicredit) non si faccia il minimo cenno alla questione della ristrutturazione in corso del debito di Sorgenia perché la vicenda è delicata e crea ben più di un imbarazzo. rodolfo E carlo de benedetti laprodolfo E carlo de benedetti lap Per fortuna però che anche questa volta c’è un’eccezione che conferma la regola. A squarciare il silenzio è, infatti, un istituto di credito: Ubi Banca, che nel bilancio fornisce i dettagli dell’esposizione alla utility guidata dall’amministratore Andrea Mangoni (che tra l’altro ha appena ricevuto una delega per esaminare la proposta che dovrebbe portare le banche a diventare socie della controllata di Cir). L’istituto di Bergamo e Brescia, guidato dal consigliere delegato Victor Massiah, ammette di avere dovuto trasferire i 149 milioni di credito accordato a Sorgenia da una classificazione "in bonis", che cioè non presenta problemi, alla voce "incagli lordi", vale a dire il penultimo grado di rischio dei prestiti deteriorati, l’anticamera delle sofferenze, che sono invece quei soldi che le banche danno ormai quasi per persi. In particolare, l’esposizione di 149 milioni verso la utility è stata inserita all’interno della voce "incagli lordi assistiti da garanzie reali", che per Ubi a fine 2013 superava i 3,1 miliardi di euro, con un aumento dello 0,5% su base annua. Oltre a Sorgenia, la voce contempla anche 87,9 milioni prestati dalla Popolare lombarda a Pescanova, il gruppo spagnolo attivo nel settore della pesca e dei surgelati che nel 2013 è finito in quel che per la legge fallimentare italiana potrebbe essere definito un "concordato preventivo in continuità". L’istituto guidato da Massiah scende poi nel dettaglio dell’esposizione a Sorgenia, spiegando che nel complesso ammonta a 154 milioni, 149 dei quali (quelli appunto passati a incaglio) per cassa e 5 milioni di firma, ossia di garanzie fornite dalla banca su prestiti contratti dalla società. Considerando anche i crediti di firma, nel complesso il debito di Sorgenia supera i 2 miliardi di euro. ubi bancaubi banca L’esposizione di Ubi verso la utility, si legge ancora a bilancio, "è stata classificata da bonis a incaglio dopo l’apertura da parte della società di un processo di ristrutturazione del credito le cui dinamiche industriali e finanziarie sono ancora in fase di elaborazione. Sono state operate rettifiche sulla base delle informazioni a oggi disponibili". Ma la Popolare lombarda fa di più e si spinge persino a inquadrare la situazione di Sorgenia, descrivendo le cause che hanno portato alle ben note difficoltà finanziarie: "Rispetto a un contesto di mercato già caratterizzato da domanda in calo, eccesso di capacità produttiva e tensioni sui prezzi, la società presenta alcune connotazioni industriali e finanziarie specifiche quali: un mix di generazione prevalentemente costituito da centrali alimentate a gas (tra le più moderne del comparto), difficoltà di inserimento nel mercato residenziale già fortemente presidiato, uno sviluppo del business finanziato in passato con livelli di leva non più sostenibili". Con quest’ultima considerazione, sembra quasi che Ubi voglia fare un "mea culpa", visto che è tra i gruppi che hanno abbondantemente finanziato Sorgenia. Gli altri invece preferiscono tacere a bilancio. Persino Mps, che non soltanto è la banca più esposta in termini di debito, per circa 600 milioni, ma è anche piccola azionista della utility con una quota dell’1,16 per cento. Peccato soltanto che, a differenza di quello del 2012 (quando la partecipazione era stata svalutata da 40,3 a 7,7 milioni), il bilancio del 2013 del gruppo presieduto da Alessandro Profumo e guidato da Fabrizio Viola non faccia menzione della quota in Sorgenia. A questo giro, infatti (potendolo fare), l’istituto senese ha preferito restare un po’ più “abbottonato”.