Manila Alfano, Il Giornale 14/4/2014, 14 aprile 2014
LA NUOVA VITA DI AZNAR SEMPRE AL CENTRO DEI GIOCHI
Sono passati dieci anni e la prima vittoria di Jose Maria Aznar è quella di non essere scomparso. Anzi. È cresciuto, ha imparato l’inglese, tiene conferenze, viaggia tra gli Stati Uniti e il sud America, scrive libri, guadagna venti volte di più di quando era alla Moncloa.
Eppure, da quel 13 aprile del 2004 quando riunì il suo ultimo consiglio dei ministri, il rischio era proprio quello di scivolare nell’ombra, nell’oblio della storia. Il peggiore dei finali possibili. E invece no. Una settimana dopo, con ancora gli scatoloni da disfare e la vita da ricostruire, era già pronta la Fondazione Faes: la sua creatura, il centro del pensiero conservatore il primo think tank politico della Spagna. Da qui è partita la sua seconda vita.
Da qui organizzano seminari, forum di discussione politica, campus estivi dove partecipano politici di tutto il mondo, pensato per giovani del Partito popolare, si creano contatti e si estende la rete di contatti con la fabbrica delle idee della destra planetaria. È questa la prima vittoria di Aznar, essere riuscito a creare il think tank più importante del Paese, più influente di quello dei socialisti. La sua indole competitiva si fa vedere. «Dobbiamo essere i primi». E ci è riuscito. Il progetto più grandioso ancora è quello di convertirlo nel primo think tank lationo americano. Un territorio dove poter inculcare principi idee e valori ultraliberali in economia, atlantista e conservatori. E così, dal Messico al Cile, una grande alternativa al socialismo del XXI secolo di ispirazione chavista. L’alternativa al regime di Castro.
Ci sono i sogni i progetti, le ambizioni di un uomo che a 61 anni non ha alcuna intenzione di ritirarsi in pensione. Eppure aveva 51 anni quando ha lasciato la Moncloa, in molti avevano scommesso che il suo momento d’oro professionale era appena passato. Scivolato tra le dita. E forse lui stesso aveva avuto paura di ritrovarsi il nulla davanti, lo spettro della melanconia. È la volontà di ferro, quel carattere chiuso e a tratti scostante che gli rimproverano i suoi collaboratori che lo ha aiutato. La stessa tenacia che lo spinge ogni mattina a fare esercizio fisico, a imporsi una dieta rigida, gli addominali scolpiti a tartaruga che qualche giornale ha preso in giro. «Tu puoi lasciare la politica- racconta al Pais semanal che gli dedica la copertina- ma è lei che non ti lascia mai. Che non ti abbandona. Quando sei stato in politica ti perseguita fino alla fine, non si dimentica mai di te. Fino alla fine della tua vita». La politica come seconda pelle. Come un destino che ti segue, che ti segna. Sempre. Anche i nemici di allora sono diventati un pezzo di storia. «L’Eta era diventata la sua ossessione. E l’Eta era sempre stata ossessionata da lui», dice un responsabile dei servizi segreti. Quattro volte tentarono di ammazzarlo. Poi arrivò il giorno dell’attentato di Madrid, l’11 marzo e la fretta lo portò ad accusare loro invece degli estremisti islamici. Fu l’errore, il grande rimpianto. Amaro perchè erano gli ultimi giorni di governo e Aznar sognava l’uscita trionfale. L’uomo del miracolo spagnolo bruciato da lutti e bugie. L’avvento di Rajoy avrebbe dovuto coronare otto anni di governo. E invece otto anni bruciati in tre giorni. In molti pensavano che quello sarebbe stato il finale triste dell’uomo che ha unito la destra spagnola. Niente di più sbagliato. In questa decade Aznar ha collaborato con università americane, dato conferenze. Meglio di Blair di cui oggi si racconta della scappatella con l’ex moglie di Murdoch. In Aznar confluiscono due personalità: da una parte il presidente della Fondazione Faes con la quale estende le sue idee, e dall’altro l’ex presidente del consiglio con cui fa cassa. Lontano dalle cifre record di Clinton che prende fino a 200mila euro per conferenza, Aznar, dai vecchi tempi della Moncloa è riuscito a moltiplicare di venti volte le sue entrate e oggi vanta un patrimonio di 2,2 milioni di euro. Aznar voleva essere come De Gaulle. L’attentato dell’11 marzo è stato un duro colpo per lui. Ma si è rialzato.