repubblica.it 14/4/2014, 14 aprile 2014
PRIMO PEZZO
MILANO - Essere per distacco il re dei social network, aver aggregato i servizi di WhattsApp e Instagram per avere le fotografie e la messaggistica, puntare sul futuro della realtà aumentata con i dispositivi di Oculus non basta a Mark Zuckerberg. Nel futuro di Facebook ci sono i servizi finanziari. Lo riporta il Financial Times, che spiega come manchino "poche settimane" prima che il social network ottenga l’autorizzazione dall’Irlanda per il via libera a offrire il servizio di deposito virtuale del denaro. I profili diventerebbero cioè una sorta di portafoglio elettronico; attraverso la rete si potrebbero poi scambiare flussi di credito, in una specie di Money Transfer social, o fare pagamenti diretti.
Per questo la società Usa starebbe discutendo potenziali collaborazioni con almeno tre start up londinesi che offrono servizi internazionali di trasferimento denaro online e via smartphone (TransferWise, Moni Technologies e Azimo). Per quest’ultima, Facebook avrebbe messo sul piatto 10 milioni di dollari per ingaggiarne il co-fondatore come direttore dello sviluppo del prodotto. Dalla creatura di Zuckerberg arriva il "no comment" di rito di fronte a "rumors e speculazioni", anche se nel passato di Fb c’è
già stato un tentativo del genere (finito male) con i crediti virtuali. Ma la fonte citata dal quotidiano della City parla chiaramente della strategia di Facebook: "Vuole diventare una utility nei Paesi emergenti", e in quest’ottica le rimesse - cioè i flussi di denaro dagli emigrati verso la madrepatria - sono un grimaldello per entrare nel mercato finanziario di quei territori. E’ notizia di poco tempo fa che in India, ad esempio, Facebook conti più di 100 milioni di clienti; ciò dà la dimensione del business possibile. Dalla sola Italia, per intendersi, ogni anno partono più di 7 miliardi verso i Paesi d’origine dei migranti.
La mossa verso la "FaceBank" è anche una risposta ai tentativi di Tencent e Alibaba, ma anche di Google e delle compagnie telefoniche come Vodafone, di spingere sulle piattaforme per i pagamenti in mobilità. L’anno scorso, soprattutto in relazione ai giochini online, Facebook è già stata in grado di gestire 2,1 miliardi di dollari di transazioni e si è garantita una fetta del 30% di commissioni su quella cifra. Il business dei pagamenti pesa per il 10% dei ricavi della società di Menlo Park.
Secondo la società di analisi Ovum - specializzata nel digitale - Facebook era data per attiva nel settore dei pagamenti mobili e la sua "attenzione sui trasferimenti di denaro ha un senso" in quest’ottica. Per gli analisti "la base di utenti di Facebook nei mercati emergenti sta crescendo rapidamente (circa 200 milioni in Asia nel solo quarto trimestre 2013)", ma per quanto riguarda i pagamenti mobili e i servizi finanziari "Facebook avrà il suo bel da fare: la sfida più grande sarà la fiducia dei consumatori". Per Ovum solo l’1% dei consumatori si fida dei social network come gestori di denaro virtuale, contro il 43% nei confronti delle banche e il 13% verso le carte di credito. Vincere questa sfida d’immagine sarà il prossimo passo necessario a Zuckerberg per fare una nuova rivoluzione.
SECONDO PEZZO
CI AVEVANO già provato qualche anno fa, quelli di Facebook, a iniettare una moneta virtuale nella piattaforma. E a farla girare il più possibile. Era l’epoca di Facebook Credits, gettoni digitali con cui acquistare beni e servizi all’interno del sito, in particolare nell’ambito dei giochi. L’esperimento è fallito ed è stato archiviato nel 2012: quei crediti non hanno mai fatto breccia nel cuore degli utenti. Stavolta però l’approccio è totalmente diverso.
L’idea del social network più popolato del mondo è diventare un facilitatore di servizi finanziari a tutto tondo. Una banca, insomma, o qualcosa di molto simile. Questo, almeno, stando alle indiscrezioni pubblicate sul Financial Times che raccontano di una trattativa in fase di definizione con la Banca centrale irlandese in merito a un via libera che assegnerebbe a Facebook lo status di istituto di emoney. Autorizzato cioè a raccogliere e conservare i versamenti dei clienti e a consentire loro di utilizzare i fondi non più solo per acquisti interni al proprio ecosistema – come fanno una miriade di siti e applicazioni, trasformando soldi veri in pseudovalute come diamanti, crediti, coin e così via – ma anche al di fuori. Oltre che di scambiarseli e inviarseli a vicenda. In stile PayPal, per intenderci. Ma anche Moneygram e Western Union, che tuttavia sono più legate al modello delle agenzie fisiche distribuite sul territorio o alle carte affiliate.
Il progetto. Non a caso Facebook avrebbe già sondato il terreno con almeno tre startup londinesi – TransferWise, Moni Technologies e Azimo – per la gestione operativa del proprio servizio di emoney. Che andrebbe dunque a piazzarsi a metà strada fra un conto corrente virtuale, un servizio di trasferimento di denaro e un più tradizionale sistema di valuta virtuale per acquisti in rete. Il tutto, ovviamente, a livello europeo. "Che società non bancarie stiano mettendosi in concorrenza con il tradizionale monopolio del settore è una grande notizia", ha detto l’esperto di pagamenti di Keystone Law Simon Deane-Johns.
Come funziona? Tutte le società che Facebook avrebbe contattato utilizzano procedimenti molto simili, con l’obbiettivo finale di far risparmiare l’utente rispetto a quando spenderebbe per trasferire denaro attraverso banche o strumenti tradizionali di credito (carte a saldo, bonifici). In sostanza si tratta di trasferimenti diretti su Swift, e la competizione tra aziende di questo tipo sta tutta nel costo del servizio o nelle eventuali promo. Non ci sono costi nascosti, a leggere i termini di servizio di siti come Azimo e Transferwise. L’utente paga solo una tariffa, inferiore comunque ai comuni costi di trasferimento, e poi la possibilità di inviare le somme.
Per il momento reazioni ufficiali non ce ne sono. I portavoce di Menlo Park hanno dichiarato a diverse fonti che non intendono "commentare speculazioni o voci" sull’operazione, guidata dal vicepresidente per le partnership Sean Ryan. Certo è indubbio che il tassello dei pagamenti e trasferimenti di denaro online darebbe alla piattaforma di Mark Zuckerberg un’ulteriore spinta in particolare verso i mercati emergenti, in direzione dei quali decolla ogni giorno buona parte delle rimesse internazionali. Basti pensare che appena la scorsa settimana Facebook ha tagliato la soglia dei 100 milioni di utenti in India, il più grande mercato nazionale dopo gli Stati Uniti dove pure già qualche forma di money transfer sul social è concessa, ma solo per gli sviluppatori che incassano i proventi degli acquisti in-app. È anche vero che la mossa richiederebbe una solidità societaria diversa per la controllata irlandese: un capitale da almeno 350mila euro e una riserva di fondi equivalente a quelli emessi o detenuti, almeno secondo alcuni esperti legali. Ma non sembra affatto un problema.
"Facebook intende diventare un’utility per i Paesi in via di sviluppo – ha detto una fonte al quotidiano finanziario – e le rimesse sono la porta essenziale per l’inclusione sociale". Oltre ai tradizionali concorrenti, da PayPal ai gruppi specializzati nel trasferimento di denaro fino ai giganti asiatici come Alibaba e Tencent che stanno trasformando le proprie piattaforme in sistemi di pagamento mobile, la sfida è lanciata anche verso Google. Big G ha infatti già un’autorizzazione simile in Gran Bretagna e una serie di servizi, come Google Wallet, che da un paio d’anni consentono agli utenti di inviare denaro ovunque si trovino via app o Web o allegando soldi alle email.
I problemi sono sempre gli stessi: la diffusione, l’apprezzamento e la facilità d’uso. Facebook, come noto, ha una base incredibile da cui partire, fatta di oltre un miliardo di "amici" registrati e intrecciati gli uni agli altri. A cui di recente si sono aggiunti anche i 450 milioni di utenti di WhatsApp: che un domani, neanche troppo lontano, ci si possa scambiare denaro via chat, magari mentre si telefona ai propri contatti? Chissà. Ma probabilmente Zuckerberg immagina anche oltre.