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 2014  aprile 13 Domenica calendario

LE REGOLE DELL’AMORE DENTRO GLI ALGORITMI


La ricerca del partner, attività da sempre considerata centrale in ogni società, ha subito un’evoluzione negli ultimi anni. Da una parte gli incontri sentimentali (o dating) rappresentano una voce sempre più rilevante dell’economia: secondo uno studio del Cebr (Centre for Economics and Business Research) per conto di Meetic Group, infatti, solo nel 2013 i single dei sette principali Paesi europei hanno speso per questa attività circa 14,1 miliardi di euro. Dall’altra la percentuale di incontri dal vivo scende sempre di più e quella online sale: il 35% delle coppie che si sono sposate negli Stati Uniti tra il 2005 e il 2012 si erano conosciute sul web.
Questa esplosione del dating online – in parte, forse, responsabile delle cifre di cui sopra – pone, però, un altro interrogativo: se cambia il mezzo attraverso il quale ci si incontra, cambia anche la psicologia e il comportamento delle persone?
L’Association of Psychological Science ha recentemente dedicato all’argomento un corposo studio condotto da ricercatori di cinque università americane. Per capire l’influenza del dating online bisogna partire dalle differenze fondamentali con quello che la ricerca definisce il dating "offline", ovvero quello dal vivo. Una delle sopracitate differenze riguarda il passaggio delle informazioni. Mentre in un incontro in carne e ossa scopriamo quello che ci interessa del l’altra persona solo al momento dell’appuntamento, nel dating online decidiamo di incontrarci solo dopo aver acquisito quelle informazioni. All’obiezione che quest’ultime potrebbero essere false rispondono una serie di studi che circoscrivono il fenomeno a questioni di "numeri": ovvero, le donne barano fondamentalmente sul numero dei chili, gli uomini sui centimetri di altezza. Ma nessuna di queste mistificazioni risulta generalmente così sfrontata da provocare al ricevente un conato di vomito al momento dell’incontro.
Un’altra rilevante differenza tra incontri dal vivo e online è la possibilità dei fruitori di questi ultimi di poter scegliere, grazie ai profili presenti sui siti, tra un numero impressionante di potenziali partner. Questo privilegio, una volta riservato solo a sultani e rockstar, si può oggi acquisire con una ventina di euro al mese iscrivendosi a un sito di incontri.
Questa (teorica) orgia di possibilità di accoppiamento, però, comporta i suoi effetti collaterali: secondo la ricerca americana, infatti, gli utenti rischiano di valutare centinaia di potenziali partner in base a singole caratteristiche, altezza e peso, per esempio, come stessero scegliendo una lavatrice su eBay, il che può portare a fare scelte non proprio lungimiranti. Inoltre, questo overload di potenziali partner può provocare un rifiuto all’idea di impegnarsi con uno in particolare. Un’altra, apparentemente banale, differenza tra incontri dal vivo e dietro un rassicurante 15 pollici è quella che si può riassumere in 3D vs 2D. Ovvero: quando incontriamo qualcuno dal vivo, ci fanno notare i ricercatori Usa, viviamo un’esperienza tridimensionale dell’altra persona. Sullo schermo di un computer, invece, questa esperienza sarà a due dimensioni, limitando pesantemente la capacità di valutare la nostra compatibilità con quel potenziale partner. Nell’era dei film 3D e della realtà aumentata, quindi, flirtiamo sempre più in 2D. Lo studio dell’Association of Psychological Science sottolinea, inoltre, come i siti di dating online si dividano oggi in due grandi macro categorie: quella più tradizionale dove sono gli utenti a selezionare i profili ritenuti più interessanti e quella che delega questa attività, da millenni appannaggio esclusivo di esseri umani, a un sistema di algoritmi in perenne aggiornamento. Il problema che ne deriva, spiega la ricerca, è che gli utenti di questi siti dominati dagli algoritmi vengono praticamente deresponsabilizzati: sulla base delle risposte fornite a una serie di questionari più o meno complessi, sono gli algoritmi a scegliere "scientificamente" quali sono le persone con le quali ogni utente ha le migliori chance di avere una relazione felice.
Questo esercito di cupidi digitali passa come un carrarmato su vecchie credenze come "gli opposti si attraggono". Gli algoritmi, infatti, fanno del loro meglio per tenere lontani individui con caratteri, interessi e preferenze radicalmente diverse. Le possibilità che queste persone si trovino bene insieme sono talmente basse – dice l’algoritmo – che non ci prendiamo la responsabilità di formare coppie che, potenzialmente, si odieranno tra sei mesi.
Alla luce di questa rivoluzione nel modo in cui le persone scelgono i loro partner sentimentali è lecito aspettarsi che anche i rapporti uomo-donna vengano in qualche modo modificati. Un blogger, Jon Millward, ha realizzato un interessante esperimento di quattro mesi utilizzando dieci finti profili utenti su OkCupid, uno dei siti dating top al mondo. L’esperimento, condotto sia negli Usa sia nel Regno Unito, prevedeva cinque account maschili e cinque femminili praticamente cloni: le foto presentavano livelli di attrattività equivalenti tra i due sessi, gli username suonavano allo stesso modo, le presentazioni erano identiche, i livelli socioeconomici e culturali e le risposte fornite ai questionari del sito erano esattamente gli stessi. Le uniche differenze riguardavano le foto e il genere sessuale. Risultato: le donne hanno ricevuto venti volte più messaggi degli uomini. Almeno in questo senso, non sembra che il dating online sia molto diverso da quello offline. Possiamo quindi dire che queste piattaforme di incontri virtuali ci privino della naturalezza della conoscenza casuale del bel tempo andato? Non proprio. Come giustamente ricordato dallo studio, è qualche migliaio di anni che una terza parte interferisce più o meno pesantemente sulle nostre scelte sentimentali – basti pensare alle pressioni della famiglia, a quelle dei leader religiosi e ai matrimoni programmati tutt’ora presenti in molti Paesi –.
Insomma, qualcuno ha sempre voluto metter becco nelle nostre relazioni, e, proprio quando stavamo cominciando a essere liberi, sono arrivati gli algoritmi.

Alex Oriani, Il Sole 24 Ore 13/4/2014