Marco Passarello, Il Sole 24 Ore 13/4/2014, 13 aprile 2014
IL GRAFENE SALVERÀ LA LEGGE DI MOORE
«La quantità di transistor che è possibile stampare su un circuito integrato raddoppia ogni due anni». Nota come legge di Moore dal nome del dirigente Intel che la formulò, questa regola empirica predice lo sviluppo dell’elettronica da mezzo secolo in modo così affidabile che i produttori la sfruttano ancora per redigere la «roadmap internazionale della tecnologia dei semiconduttori». Ma non sarà valida all’infinito: prima o poi si raggiungerà un limite fisico che non permetterà di rimpicciolire ulteriormente i componenti elettronici stampati. Già da un decennio è diventato difficile proseguire su questa strada, dato che l’elevata concentrazione di transistor crea problemi di dissipazione del calore difficili da risolvere. Secondo Bob Colwell, esperto di nuove tecnologie presso il Darpa, la scala dei componenti non potrà scendere sotto i 7 nanometri, cosa che dovrebbe avvenire poco dopo il 2020. Per poter proseguire l’aumento delle prestazioni cui la legge di Moore ci ha abituato occorrerà perciò trovare modi alternativi rispetto all’aumento dei transistor per unità di superficie.
Una delle possibilità che oggi vengono prese in considerazione è quella di avere chip tridimensionali: non più lastre, ma cubi, con strati di circuiti sovrapposti. Si tratta però di una soluzione che incontrerà comunque presto i suoi limiti tecnici. Occorrerà perciò fare il grande passo e abbandonare il silicio, il materiale su cui da sempre si basa la tecnologia dei circuiti integrati, per passare ad altri che permettano di creare circuiti più veloci a parità di numero di transistor. Uno di questi materiali è il germanio, con il quale è già stato realizzato un chip che ha raggiunto velocità record (798 GHz di frequenza), anche se solo in laboratorio e in condizioni particolari.
Ma quello che genera maggiori speranze è il grafene. Isolato per la prima volta nel 2004, il grafene è uno stato allotropico del carbonio, come la grafite. In effetti la sua struttura molecolare è la stessa di quest’ultima, ma con una differenza: un cristallo di grafene ha lo spessore di un solo atomo. Per questo ha caratteristiche molto particolari: nel grafene la mobilità degli elettroni è cento volte maggiore che nel silicio. Inoltre si tratta di un materiale più durevole dell’acciaio, con un’elevata conducibilità termica (il che minimizza i problemi di dissipazione del calore). In più, avendo spessore quasi nullo, è anche flessibile, e perciò adatto anche ai display pieghevoli e ai dispositivi indossabili che ci aspettiamo di produrre nel futuro. Per questo molti lo vedono come il successore ideale del silicio.
Costruire processori basati sul grafene, tuttavia, è un’impresa non priva di difficoltà: richiede infatti di produrre in serie cristalli macroscopici, spessi un solo atomo ma lunghi e larghi diversi centimetri, cioè quanto uno dei "wafer" da cui si ricavano i chip. Maggiore l’area, maggiore la quantità di transistor che è possibile stampare. Finora si è cercato di partire da cristalli di grafene più piccoli per poi accorparli, ma questo generava difetti tali da deteriorare le proprietà elettriche e meccaniche del materiale. I procedimenti utilizzati per far crescere direttamente grandi cristalli, per esempio tramite la sublimazione di vapori chimici su una superficie di rame, sono invece difficilmente trasferibili su scala industriale. Le cose però stanno per cambiare: nei giorni scorsi Samsung, tra i maggiori produttori mondiali di chip, ha annunciato di avere sviluppato un procedimento per ottenere cristalli di grafene su larga scala. Il risultato ottenuto in collaborazione dal centro ricerche Samsung (Sait) e dalla scuola di scienza e tecnologia dei materiali dell’Università di Sungkyunkwan è stato orgogliosamente rivendicato: «Si tratta di uno dei passi avanti più significativi nella storia della ricerca sul grafene. Ci aspettiamo che questa scoperta acceleri la commercializzazione di questo materiale, che potrebbe dare inizio a una nuova era nella tecnologia elettronica di consumo».
Il procedimento, descritto in un articolo pubblicato su «Science», permette di far crescere un singolo cristallo di grafene su un chip di silicio, frapponendo tra i due uno strato di germanio. Quest’ultimo è un materiale anisotropo, cioè la disposizione dei suoi atomi è diversa nelle due direzioni. Questo permette di usarlo per allineare con precisione dei "semi" di grafene sulla sua superficie, che vengono poi fatti crescere attraverso la sublimazione di vapori, finché si fondono in un unico cristallo. Sul grafene viene poi applicato uno strato protettivo d’oro, che consente di separarlo meccanicamente dallo strato di germanio senza danneggiarlo.
Questo significa che vedremo presto chip al grafene nell’elettronica di consumo? Non ancora. Anche se le sue proprietà sono notevoli, perché inizi la produzione su larga scala è necessario che il procedimento diventi sufficientemente economico da renderlo conveniente rispetto ai vari concorrenti, come i nanotubi di carbonio, o altri materiali scoperti di recente. I primi utilizzi del grafene in elettronica saranno perciò quelli per cui sono sufficienti cristalli di minore qualità, come la dissipazione del calore e i supercondensatori. Tuttavia la probabilità di vedere processori al grafene in un futuro non lontano è considerevolmente aumentata.
Marco Passarello, Il Sole 24 Ore 13/4/2014