Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 13/4/2014, 13 aprile 2014
I LIMITI DEL SENATO DELLE AUTONOMIE
Nella riforma del Senato proposta dal governo c’è molto di buono e altro che si presta a una riflessione critica. Fermo restando che la nuova assemblea non debba essere eletta direttamente (si veda Il Sole 24 Ore del 3 aprile), sulla sua composizione si può e – a nostro avviso – si deve discutere. Il progetto attuale prevede che ci siano 61 membri di provenienza regionale e 61 di provenienza comunale. A questi rappresentanti di comuni e regioni si aggiungono 21 membri scelti dal capo dello Stato tra cittadini «che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti», oltre agli ex presidenti della Repubblica e agli attuali senatori a vita che sono 5 in tutto. Il totale fa 148. Ma non è il totale che conta ma la sua distribuzione. Prescindendo dai 21 membri non politici la rappresentanza del nuovo Senato sarebbe equamente divisa tra regioni e comuni. E questo è un punto su cui si deve riflettere. L’altro è la rappresentanza paritaria delle regioni. Cominciamo da questo ultimo aspetto. A ogni regione spettano sei senatori. Solo al Trentino Alto Adige – e non è giusto – ne spettano otto. I sei senatori sono così distribuiti: il presidente della regione, due consiglieri regionali e tre sindaci tra cui il sindaco del comune capoluogo di regione. Il totale fa 122 (61 più 61). Data la nostra forma di stato, che la Valle d’Aosta con i suoi 127.844 abitanti debba avere gli stessi rappresentanti della Lombardia che ne ha 9.794.525 è una incongruenza. La parità ha una sua ratio in uno stato federale. È così negli Usa. La California con i suoi 38 milioni di abitanti elegge due senatori come il Wyoming che ne ha 580mila. Ma gli Usa sono appunto uno stato federale. Noi no. Ma nemmeno in Germania, che pure è uno stato federale, i Länder hanno gli stessi rappresentanti nel Bundesrat, la camera alta. La tabella 1 in pagina mostra la sua attuale composizione. Come si vede i Länder con meno di due milioni di abitanti hanno tre rappresentanti, quelli tra i due e i sei ne hanno quattro, l’Assia ne ha cinque e quelli sopra i sette ne hanno sei. La rappresentanza non è perfettamente proporzionale alla popolazione ma il peso dei Länder comunque varia. Non si vede perché il nostro paese, che non è uno stato federale, debba ispirarsi al modello Usa e non a quello tedesco. Una diversa composizione del nuovo Senato più rispettosa dei pesi delle diverse regioni non tocca i paletti ritenuti da Renzi non negoziabili. In pagina sono presentate diverse proposte. La tabella 2 mostra come sarebbe il nuovo Senato se fosse formato esattamente come il Bundesrat. Ma questa è solo una delle possibili ipotesi. Un altro modo di procedere è quello di assegnare a ciascuna regione un numero fisso di senatori e poi aggiungerne una quota variabile in funzione della popolazione. Sia la quota fissa che quella variabile possono essere di grandezza diversa. In questo campo non esistono numeri magici. Nella tabella 3 la quota fissa è di cinque seggi e quella variabile è pari a un seggio ogni milione di abitanti. Il totale fa 149. La regione più piccola, la Valle D’Aosta, avrebbe 5 seggi mentre quella più grande, la Lombardia, ne avrebbe 14. Se questo divario fosse ritenuto eccessivo si potrebbe aumentare la quota fissa oppure fissare un tetto alla quota variabile. Al contrario se invece fosse ritenuto troppo piccolo si potrebbe ridurre la quota fissa da 5 a 4 oppure a 3 con il risultato aggiuntivo di diminuire il numero dei componenti dell’assemblea. Un’altra variante possibile è quella di assegnare i seggi aggiuntivi con una formula diversa da quella di un seggio ogni milione di abitanti. Questo è quello che si è fatto nella tabella 4. In questa ipotesi la quota fissa è pari a tre seggi mentre quella variabile funziona "alla tedesca". Una volta fissato il numero di senatori spettanti a ciascuna regione resta in piedi la scelta se regioni e comuni debbano essere rappresentati in misura paritaria. In Germania sono i Länder, e non i comuni (a parte città-stato come Amburgo e Brema), a essere rappresentati nel Bundesrat. E la stessa cosa vale nella maggior parte dei paesi. È raro che i sindaci facciano parte della camera alta. Ma l’Italia vanta una tradizione municipale che in molti casi non esiste altrove. E il nostro presidente del Consiglio è giustamente molto affezionato a questa tradizione. Che nel nuovo Senato ci siano dei sindaci non è una cattiva idea ma che questi debbano essere in numero pari ai rappresentanti delle regioni è materia di discussione. Per approfondire questo punto però non si può solo parlare di composizione della nuova assemblea, ma occorre riflettere anche sulle sue funzioni. Le due cose non sono indipendenti. Su questo ci sarà modo di tornare.
Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 13/4/2014