Angelo De Mattia, l’Unità 12/4/2014, 12 aprile 2014
POLITICHE E SVILUPPO, FMI NON PUÒ DARE LEZIONI EX CATHEDRA
Le riunioni primaverili del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale sono sempre occasione di discussioni anche su temi che non rientrano nell’agenda dei summit. Anche per la sessione ora in corso ciò sta accadendo. Intanto, bisogna ricordare che la riforma del Fondo monetario – una rivisitazione che introduce solo una parte ridotta dei propositi riformatori avanzati prima dello scoppio della crisi globale e che prevede un aumento del peso degli Stati emergenti – da tempo votata ancora non è stata approvata dagli Stati Uniti. Si sarebbe dovuto fare del Fondo una sorta di banca centrale globale preposta all’analisi della formazione e dello sviluppo della liquidità internazionale; si era parlato di un nuovo ordine monetario internazionale; si era altresì deciso di operare la più netta distinzione tra le funzioni del Fondo e quelle della Banca mondiale, ma si è fatta poca strada in questa direzione. In questa sessione si dovrebbero affrontare la materia della regolamentazione delle attività economiche e finanziarie rimasta a mezza strada nonostante i propositi palingenetici manifestati durante la crisi. In particolare, si esige ancora una messa a punto l’argomento del too big to fail, delle banche troppo grandi per fallire e che pongono problemi di rischio sistemico, e quello dello shadow banking dell’attività bancaria-ombra, una delle cause della deflagrazione della tempesta finanziaria nel 2008. E’ ancora aperta la questione della separazione, in diverse aree del globo, ivi inclusa l’Europa, tra banche commerciali e banche d’investimento, che richiama lo statunitense Glass-Steagall Act del 1933 e l’italiana Legge bancaria del 1936.
Intanto, dal Fondo arrivano, con maggiore o minore durezza, sollecitazioni alla Bce perché tempestivamente adotti le preannunciate misure non convenzionali, considerato il crescente rischio di deflazione. Draghi ha risposto nei giorni scorsi che i generosi suggerimenti del Fondo sarebbero ancora più apprezzati se fossero diretti anche ad altre banche centrali, magari prima delle riunioni dei loro organi collegiali come è stato fatto per la Bce, in specie alla Federal Reserve. La Lagarde, a sua volta, ha controreplicato rivendicando l’autonomia di giudizio. Una querelle che rischia di diventare stracca e stantia. Certo, l’Fmi coglie una situazione di oggettiva difficoltà in cui l’Istituto di Francoforte viene ora a trovarsi per la reiterazione degli annunci, da oltre quattro mesi, di misure decise, poi diventate straordinarie, ma sempre associate alle condizioni «se necessario» e finora inattuate.
Ma proprio perché l’inflazione si avvicinerà al 2% – il limite che bisognerebbe osservare per il mantenimento della stabilità dei prezzi, agendo quando lo si supera sia verso l’alto sia verso il basso – solo alla fine del 2016, come la stessa Bce stima, non sarebbe il caso di temporeggiare ulteriormente nello scegliere nel nutrito carniere delle misure non standard quella o quelle da adottare per contrastare i rischi di inflazione, ridurre la frammentazione dei mercati del credito e dare così un impulso alla crescita. La ripetizione degli annunci rischia di creare un’inflazione di parole e perdere di credibilità. Potrebbe volersi attendere che passi questo mese nel quale si prevede un transitorio aumento dell’inflazione per decidere con maggiore ponderazione. Ma la medesima Banca centrale ha affermato che poi nei mesi successivi, dopo il lieve aumento possibile ad aprile, l’inflazione (intorno allo 0,6-0,7%) rimarrà stabile.
Dal canto suo, il Fondo monetario non può dare lezioni, assumendo la posizione di chi guarda ex cathedra e «giudica e manda», anche perché, ai fallimenti della sua linea di cieca austerità – di cui questo organismo è stato fautore per lungo tempo, anche all’interno della troika con Bce e Commissione Ue – non si può rimediare tentando di acquisire una veste diversa quando ad agire debbono essere altre istituzioni. Ha ragione Joseph Stiglitz quando afferma che l’Europa deve cambiare radicalmente passo e invita a trarre insegnamento dall’amara esperienza greca con una economia crollata del 25%: un danno non certo alleviato dal ritorno sul mercato dei titoli del suo debito sovrano.