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 2014  aprile 12 Sabato calendario

LE CAMERE NON SI VOGLIONO TAGLIARE GLI STIPENDI


Trovo strano che il segretario generale della Camera e del Senato prendano le cifre che prendono. Spero abbiano l’intelligenza, la forza, la lungimiranza e il coraggio di tornare in sintonia con il Paese. Spero che gli organi costituzionali si adeguino”. Così Matteo Renzi durante la conferenza stampa di presentazione del Def martedì scorso. Un affondo non casuale. Il segretario generale della Camera, Ugo Zampetti (in carica da 15 anni) percepisce 479 mila euro lordi, ai quali va aggiunta un’indennità netta mensile di 662,02 euro. Il segretario generale del Senato, Elisabetta Serafin (in carica da tre) 427 mila. Cifre che superano il tetto attuale per i manager di Stato, fissato a 311,658 euro (equiparato al primo presidente della Corte di Cassazione) e sono quasi il doppio di quello che vorrebbe stabilire il premier. Ovvero i 238 mila euro lordi, equivalenti all’indennità percepita dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ora, il governo non può interferire con gli organi costituzionali, che godono di una loro autonomia. Però, sta cercando di fare pressione, attraverso la moral suasion. Tant’è vero che il sottosegretario a Palazzo Chigi, Graziano Delrio, qualche giorno fa ha posto la questione a Zamparini e Serafin. I due – almeno a parole – si sono mostrati disponibili. Tanto a fare muro ci hanno pensato le strutture delle Camere. Ovvero i funzionari. Perché poi Zampetti e Serafin – sorta di amministratori delegati di Montecitorio e Palazzo Madama – non sono i soli a guadagnare cifre esorbitanti. Intanto, la Camera ha due vicesegretari, Guido Letta (340 mila euro annui) e Aurelio Speziale (328 mila). Ma in generale i consiglieri al massimo della carriera possono arrivare a prendere 400 mila euro. Come stupirsi, dunque, della barriera fatta dagli uffici? Se i vertici finiscono a guadagnare meno, crolla la retribuzione di tutti gli altri, come un castello di carta. Davanti alle pressioni del governo si è fatta valere l’autonomia degli organi costituzionali: per abbassare gli stipendi – dicono – ci vorrebbe una legge costituzionale. Eppure, quando si tratta di stabilire degli aumenti bastano le delibere dell’ufficio di Presidenza della Camera interessata. Soldi che poi vanno a pesare sul bilancio dello Stato.
IL GOVERNO non ha nessuna intenzione di mollare. Venerdì prossimo insieme alla misura che restituisce i famosi 80 euro al mese agli italiani, dovrebbe essere varato il nuovo tetto per i manager. È certo che rientreranno quelli delle aziende quotate. Sulle non quotate è ancora tutto da vedere. È in corso un’indagine conoscitiva, che dovrebbe tener conto dei risultati raggiunti dalle varie società. L’esecutivo – dunque – punta sul fatto che la casta non si può arroccare più di tanto, in momenti come questi di spending rewiew , crisi e sacrifici per tutti. Spiega il questore della Camera, Paolo Fontanelli: “È una questione di sensibilità, anche rispetto all’opinione pubblica”. Lo stesso Fontanelli ricorda che è in corso un’altra partita, quella sui vitalizi. Nell’ultima legge di stabilità, c’è stato un intervento straordinario sulle pensioni che ha tagliato del 5% gli assegni compresi tra centomila e 150.000 euro, del 10% quelli compresi tra 150.000 e 200.000 e del 15% oltre questa cifra. Intervento che riguardava anche i vitalizi dei parlamentari. La norma è stata applicata? Non ancora. Dovrebbe essere recepita nel bilancio rispettivamente di Camera e Senato, che si vota tra giugno e luglio. Condizionale d’obbligo, ovviamente.
Sempre per restare in tema di casta, l’Espresso ha rivelato ieri che la figlia di Laura Boldrini, presidente della Camera, quando torna in Italia (vive a Londra) è sotto scorta. E così le scorte della Boldrini salgono a tre: la sua, quella del marito e quella della figlia. “I dispositivi di scorta e tutela nei confronti di persone esposte a rischio sono disposti in modo autonomo dagli Uffici competenti”, si è sentito di precisare il Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Lei stessa intanto ci ha tenuto a “ringraziare” Renzi per l’impulso alla spending review: “Io mi sono autoridotta lo stipendio del 30%”. Un impegno che vale per tutta Montecitorio?

Wanda Marra, Il Fatto Quotidiano 12/4/2014