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 2014  aprile 13 Domenica calendario

«ROMA LA AMO LA ODIO, LA PERDONO»


[Enrico Vanzina]

La ama, un po’ la odia anche, ma alla fine la perdona sempre. Perché una città come Roma, racconta Enrico Vanzina, se ti entra nel cuore, poi ci resta. E lì rimane, per tutta la vita.
Roma offre molti spunti cinematograficamente?
«Roma è un set a cielo aperto, che contiene tante realtà. Noi abbiamo cercato di raccontare nei nostri film le varie zone, dal centro alla periferia. Ogni quartiere è un mondo a parte».
Un pregio ed un difetto di Roma?
«La sua imponente bellezza e la sua potenza sono contemporaneamente la sua forza e la sua disgrazia. Andy Warhol diceva “Roma è l’esempio di quello che succede quando i monumenti durano troppo a lungo”. Quando una città ha la "responsabilità" di erigersi su tanti strati di storia, alla fine ti distrugge, perché quello che arriva di nuovo finirà nel dimenticatoio».
È difficile emergere a Roma?
«C’è un racconto di Ennio Flaiano, "Il marziano a Roma". Un giorno un marziano atterra a Villa Borghese. Tutti impazziscono, tutti lo vogliono vedere, viene ricevuto dal Papa, dal Presidente della Repubblica. Lui alloggia in un albergo in via Veneto ed una sera rientrando vede un nugolo di fotografi, che crede siano lì per lui. Ma in realtà è arrivato un importante re e quando lui incuriosito si avvicina il fotografo gli fa: “a marzià e scansati”».
Il cinema ha sempre valorizzato a Roma?
«Anche troppo. Il cinema italiano è molto romanocentrico, perché Roma è sempre stato il set preferito dei grandi registi. Basti vedere da ultimo Sorrentino. In più quasi tutti gli attori italiani famosi sono romani e vivono a Roma, da Sordi, Manfredi, Verdone, De Sica, Proietti».
È entusiasmante lavorare a Roma?
«È sempre bello perché Roma offre scorci e spunti interessanti, ma è diventato anche molto difficile e faticoso girare qui. Nelle piccole città di provincia, sono felici ed orgogliosi quando vedono allestire il set, c’è curiosità, eccitazione. I romani sono quasi infastiditi».
È nato a Piazza di Spagna, poi si è trasferito ai Parioli, e ora vive di nuovo in centro. È molto legato a queste zone.
«Sono stato fortunato, perché ho vissuto nelle zone più belle di Roma. I miei nonni abitavano all’Aventino, che pure mi piaceva moltissimo. Ma ci sono anche altri quartieri che apprezzo molto, la zona di Porta Pinciana, Corso Trieste, il quartiere Coppedè. Oggi se dovessi cambiare mi piacerebbe vivere in Prati».
Un punto al quale è affezionato?
«Piazza Mignanelli, mi ricorda la mia bellissima mamma».
È cambiata Roma da quando era ragazzino?
«Molto. Sono socio al Circolo dei Canottieri Aniene e quando faccio canottaggio passo sul fiume attraverso i posti nei quali mio padre girò il celebre inseguimento tra Totò e Fabrizi in Guardia e ladri. All’epoca qui c’erano solo campi e casette, era considerato hinterland, ora è il cuore pulsante della città. Questa cosa mi emoziona perché dà il senso del divenire delle cose».
Cambierebbe città?
«No, perché, ancora oggi, Roma riesce a stupirmi ogni giorno».
Cosa rovina Roma?
«I parcheggi in seconda fila».
È un gran tifoso della Roma…
«Il più grande tifoso. La Roma mi ha rovinato e illuminato la vita! È il secondo grande amore, anche se il calcio è cambiato, ora gira troppo intorno al denaro e poco intorno alla passione.
Il suo rapporto con la Capitale?
«Semplice, la amo. Ma talvolta la odio, poi la perdono, come nelle migliori storie d’amore. Flaiano diceva “Roma non giudica ma assolve. Accoglie tutti e perdona tutti i difetti e i vizi».
Francesca Genovesi