Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  aprile 13 Domenica calendario

L’ARTE DELLA FUGA DI UN ENIGMATICO VENDITORE

Nel giugno del 1995 la Procura di Torino arresta Marcello Dell’Utri, allora presidente di Publitalia, per false fatture e frode fiscale. Dell’Utri trascorre tre settimane nel carcere di Ivrea – «un’occasione per pensare, riposare e fare la dieta», dirà il giorno della scarcerazione – suscitando l’ammirazione del direttore del penitenziario: «Sono rimasto addirittura impressionato… Dell’Utri era tranquillo, ha preso in contropiede anche educatori e psicologi».
«Nessun detenuto eccellente l’ha mai presa con tanta filosofia. Si è fatto portare subito la Divina Commedia, un po’ di libri di Sciascia e di Nietzsche e si è messo a leggere». In quei ventun giorni riceve soltanto due visite, dalla moglie e da Vittorio Sgarbi. Una sera, però, Berlusconi lascia a bordo della sua Mercedes il villone di Arcore – di cui proprio Dell’Utri vent’anni prima aveva diretto i lavori di ristrutturazione – e chiede all’autista di portarlo a Ivrea, fino al grande penitenziario di corso Vercelli, dove è rinchiuso il suo ex compagno di università: e poi, prima di ritornare ad Arcore, gira a lungo, in macchina, intorno alla cittadella fortificata, pensando all’amico e standogli, per quanto possibile, vicino.
Il vero cerchio magico di Berlusconi – immortalato in una storica foto, anch’essa del 1995, scattata nel giardino della villa Blue Horizon, alle Bermudas – non è fatto di badanti e cagnolini e fidanzate, ma degli uomini che hanno costruito l’impero, e che in quell’immagine indimenticata facevano jogging in pantaloncini e maglietta bianca, due passi dietro il Capo: Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Carlo Bernasconi, Adriano Galliani e, naturalmente, Dell’Utri. Il quale racconterà quella vacanza come una specie di ritiro spirituale, o di rito collettivo di purificazione e alleanza: dieta stretta, corsa, esercizi spirituali e letture commentate di Francis Bacon e Platone.
L’amicizia fra Dell’Utri e Berlusconi risale agli anni dell’università, quando, secondo la leggenda, il futuro Cavaliere aiuta Marcello a laurearsi, passandogli gli appunti per gli esami. E «Marcello – ricorderà il fratello gemello Alberto – studiava solo su quelli, che erano perfetti». Di scambi di appunti, fra i due, ce ne saranno ancora molti. Dopo qualche anno come dirigente sportivo (a Palermo e a Roma) e come dirigente di banca (a Catania e a Palermo), Dell’Utri nel ’74 si trasferisce a Milano per lavorare all’Edilnord come segretario di Berlusconi. Nell’82 entra in Publitalia, cuore e soprattutto cassaforte del gruppo, e in pochi anni ne prende le redini come amministratore delegato e presidente.
La geometrica potenza di Publitalia è il capolavoro strategico di Dell’Utri: sotto la sua guida un esercito di mille venditori, organizzati militarmente regione per regione e città per città, fattura 2.500 miliardi all’anno. E quando Tangentopoli sgretola la Prima repubblica e disintegra i partiti di governo, è Dell’Utri a convincere Berlusconi a scendere in campo in prima persona, contro il parere di Confalonieri e Letta, di Galliani e Doris, mettendogli a disposizione il suo esercito di venditori, vantandogli le doti dei capi-area, ricordandogli che i club del Milan sono il doppio delle sedi della Dc, e che con i soldi e soprattutto con la televisione anche l’impossibile diventa possibile. E i soldi che tengono accesa la televisione è Dell’Utri a trovarli.
Per sé, avrebbe preferito un ruolo defilato, com’è nello spirito e nello stile del personaggio: siciliano riservato e di gusti raffinati, colto e gentilissimo, solitario, con una grande passione per i libri antichi e una spiccata curiosità intellettuale, il suo ruolo è sempre stato dietro le quinte. Ma proprio quei ventun giorni di carcere lo convinsero a candidarsi: «Io sono politico per legittima difesa – dirà in un’intervista al Fatto nel 2010 –. A me delle politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Mi candidai nel 1996 per proteggermi. Mi difendo anche fuori dal parlamento, ma non sono mica cretino. Quelli mi arrestano».
Alla camera per una legislatura, poi al senato fino all’anno scorso – quando viene convinto a restare fuori dalle liste insieme a Cosentino e Scajola – Dell’Utri effettivamente ha impiegato molto tempo a difendersi.
Sono in tutto nove i procedimenti giudiziari che lo hanno coinvolto in questi anni: due assoluzioni in Cassazione (tentata estorsione e calunnia aggravata), un patteggiamento (le fatture false e la frode fiscale che gli valsero l’arresto nel ’95), una condanna a otto mesi in appello per abusivismo, una a sette anni, sempre in appello, per concorso esterno in associazione mafiosa (è il motivo della richiesta di arresto di ieri, alla vigilia del pronunciamento della Cassazione), due rinvii a giudizio (trattativa Stato-mafia e P3) e due inchieste in corso (tangenti per un impianto solare, nonché estorsione ai danni di Berlusconi per la compravendita della villa sul lago di Como).
Il profilo giudiziario di Dell’Utri aggiunge una sfumatura di nero ad un personaggio sfuggente, enigmatico come soltanto i grandi siciliani sanno essere, eccentrico rispetto alla fenomenologia classica del berlusconismo – mai una festa, un eccesso, una ragazza – e con un lieve tratto aristocratico che ne fa un pezzo unico nell’universo a più dimensioni dell’ex Cavaliere. Nel suo studio a via Senato, nella grande biblioteca che ospita centinaia di libri antichi, incunaboli, prime edizioni di raffinata rarità acquistate alle aste di mezzo mondo, Dell’Utri intratteneva gli ospiti sorseggiando con infinita lentezza un bicchiere d’acqua appena macchiato da una goccia di anice, mentre raccontava la sua ultima scoperta bibliografica (alcune, come i falsi diari del Duce o il presunto capitolo inedito e rivelatore di Petrolio, si sono poi rivelate un bluff) con l’entusiasmo stupito di un ragazzo.
In un breve saggio uscito nel 1990 su Ideazione, Dell’Utri si ispirava alla Milano di Verri e Beccaria per proporre la creazione di nuovi musei – grafica, pubblicità, industria, moda, architettura – che dessero nuovo lustro alla capitale lombarda. È di quell’anno la nascita della Silvio Berlusconi Editore, dai cui tipi uscirà, fra l’altro, una splendida edizione numerata dell’Elogio della follia di Erasmo, con prefazione di Massimo Cacciari, e un’altra del Principe di Machiavelli con le annotazioni (in realtà apocrife) di Napoleone. Dieci anni dopo, nel 2002, Dell’Utri sponsorizza una prestigiosa rivista bimestrale, L’Erasmo, e lancia un settimanale di cultura, Il Domenicale.
«Se sono pronto al carcere? Col cavolo, spero di non andarci. Però psicologicamente sono pronto da una vita. Bisogna fare una borsa, metterci due libri, e te ne vai»: così Dell’Utri alla Zanzara, qualche mese fa. Ora che è in Libano, o forse in Guinea o nella Repubblica Dominicana, in fuga o in convalenscenza – «Trovandomi in condizioni di salute precaria sto effettuando ulteriori esami e controlli», ha fatto sapere ieri – forse ha mutato opinione. O forse no, e sta soltanto scegliendo i libri da mettere nella borsa.