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 2014  aprile 13 Domenica calendario

«STUDIO ALL’UNIVERSITA’ DEL PROF. CAPELLO. POI FARO’ L’ALLENATORE»

A Mosca, a Mosca. Così riparte la nuova vita di Christian Panucci: prima giocatore collezionista di scudetti e coppe dei Campioni, poi dirigente, ora tecnico. L’ex di Genoa, Milan, Real, Inter, Roma, Monaco fa l’apprendista zar con la nazionale rus­ sa: affianca Fabio Capello al comando, ruba il me­ stiere a Italo Galbiati, grintoso e pluridecorato se­ condo anche di Nils Liedholm e Arrigo Sacchi. Pa­ nucci studia da allenatore e prepara con i suoi na­ vigati professori il primo esame, il Mondiale in Brasile. Si divide tra l’Italia e la Russia: «Appena posso sto con mio figlio Juan, che ha 13 anni e pra­ tica il basket. Sono single, devo trovare la donna giusta. Nel tempo libero non gioco più a calcio, giu­ sto qualcosa alle partite di beneficenza. Sono di­ ventato golfista, malato di golf. E’ cominciato tutto per caso, a Madrid, nel residence La Moraleja: co­ me tantissimi calciatori abitavamo vicino al green e ogni volta in giardino finivano le palline. Un gior­ no alla club house un maestro mi ha detto: “Perché non provi?”. Da allora non ho più smesso, nemme­ no quando vado in vacanza: ho la casa a Marbella, in Spagna, sono vicino di Fabio Capello».
Capello, appunto. Come è nata l’idea di fare l’al­ lenatore? «Si è acceso qualcosa quando ho fatto il dirigen­ te a Palermo: mi sono sentito abbastanza portato al rapporto con i giocatori. Vedere e riscontrare che mi seguivano e che mi rispettavano mi ha dato soddisfazione. Nello spogliatoio ho notato che le regole che davo venivano applicate. Uno per tanti anni pensa e si comporta da calciatore: hai le tue responsabilità, ma una volta che giochi bene e con­ tribuisci a far crescere la squadra hai svolto il com­ pito. Da dirigente o da tecnico, la prospettiva cam­ bia del tutto: non devi più preoccuparti di te stesso, ragioni in un’ottica diversa, nell’interesse esclusivo del gruppo. E se noti che la macchina risponde ai comandi, è un bel traguardo».
Il salto verso la panchina però non è così auto­ matico? «Il brivido che si prova da tecnico me lo ha tra­ smesso Fabio. Mi ha chiamato e mi ha detto subito: “Dai, vieni con me a fare il vice”. Da due anni colla­ boro con lui. La fortuna è non soltanto essere al fianco di Capello, ma poter imparare anche da Ita­ lo Galbiati, un grande maestro sotto tutti i punti di vista. Per me è come frequentare l’università degli allenatori, non è da tutti avere una chance del ge­ nere. Provo a crescere con Capello: lui programma le sedute, io curo la fase difensiva, ma si spazia su tutto. Capello è un duro, con lui le conquiste te le devi meritare: verso di lui provo un senso di rico­ noscenza devastante, ho un rapporto fantastico sia con l’uomo sia con il manager. Sul lavoro non si scherza, ci sono ruoli ben definiti, lui è il capo. Tra di noi siamo molto sinceri, quando gli devo dire qualcosa non mi tiro indietro, apprezza la mia schiettezza».
Da ex del Milan che idea si è fatto della situazio­ ne in casa rossonera? «Più che altro, occorre allargare l’orizzonte, fare un discorso generale su tutto il calcio italiano. Se i risultati non arrivano, vuol dire che mancano soldi e bravi giocatori. Ormai il mercato è cambiato, è indispensabile scovare i giovani in gamba. So che è un lavoro complicato, ma bisogna lavorare in pro­ spettiva. Si può anche scegliere di diventare come l’Ajax, che scopre e poi rivende i talenti. Ma poi occorre vedere se si è in grado di selezionare, capi­ re se uno è da Milan, da Genoa, o da altro club. Una volta ti conoscevano sotto tutti i punti di vista, sa­ pevano chi eri, che vita facevi, se andavi in discote­ ca, che gente frequentavi. Aveste visto tutte le in­ formazioni che raccolse su di me Ariedo Braida, un grandissimo dirigente, prima di portarmi al Milan.
Per fortuna a 19 anni mi comportavo già da profes­ sionista». Da giocatore era un tipo fumantino… «Sono uno che ha sempre detto ciò che pensava, senza giri di parole. Dalla mia c’è la costanza: ho lavorato, fatto sacrifici, la serietà non è stata mai messa in discussione. Basta chiedere a chi ha giocato con me. Sì, con tanti allenatori ci sono stati confronti: con Capello, Spalletti, Sacchi, Ranieri. Con tutti questi grandi alle­ natori mi sento spesso, accetto consigli. L’unico con il quale ho rotto in via definitiva è stato Lippi, ai tempi dell’Inter, che poi mi scartò anche in Na­ zionale. Pazienza, me ne son fatto una ragione. E poi sapete com’è: gli anni passano, si matura...».
Qual è la vostra giornata tipo in nazionale? «Parte con la discussione del programma di al­ lenamento, ci si confronta, si discute come svilup­ pare il lavoro. Io seguo e correggo gli esercizi. Ab­ biamo con noi un preparatore atletico eccezionale, Massimo Neri, fedelissimo di Capello. In naziona­ le è molto diverso rispetto al club, il ritmo è più serrato».
Faticoso? «No. Anche perché mi sono calato in un ruolo che sento su misura per me. Non vedo l’ora che arrivi il Mondiale. Tutto ciò non me lo aspettavo, poi Fabio mi ha convinto. Ed eccomi qui».
Come ve la cavate con la lingua? «Abbiamo con noi un valido interprete, Alex dello Zenit, che non è un semplice traduttore, ma sa usare anche i toni giusti. Ricorriamo a un po’ di inglese che tutti afferrano, poi sfrutto 15­20 parole chiave in russo. Riusciamo a farci capire da tutti».
Ci descriva la nazionale russa.
«E’ un gruppo di grandi lavoratori. I nostri uo­ mini­chiave possono essere Kokorin, Ignasevic e Berezuski. Ma la nostra caratteristica principale è l’unione. Non è da tutti costringere agli spareggi il Portogallo di Cristiano Ronaldo. Il vero fuoriclasse è Capello, che ha una gestione del gruppo e una percezione fuori dalla norma. C’è organizzazione.
Capello pretende, ma concede tanto. Spazia a 360 gradi, rende tutti importanti».
Che Mondiale potrà essere per voi russi? «Il gruppo è tosto, dotato di grande carattere.
Sarà difficile buttarci fuori. In tanti dicono che sia­ mo capitati in un girone facile, ma non è così. Il Belgio ha già dimostrato quanto peso ha, la Corea del Sud può far male soprattutto in attacco, l’Alge­ ria è da scoprire. Ci ritroveremo in ritiro a Mosca dalla terza settimana di maggio ai primi di giugno, poi si partirà per San Paolo».
Che cosa la stuzzica di più? «Ciò che mi spinge è la stima del mister, lo spa­ zio che mi lascia: è la più grande gratificazione».
Quali programmi ha a lungo termine? «Ho rinnovato il contratto con la federazione, ma siamo d’accordo con Capello che se doves­ se arrivare un’offerta interessante la prende­ rò in considerazione».
C’è anche la prospettiva del Mondiale 2018 in Russia. «Certo, per me si tratterebbe di un progetto a lungo termine. Nel Paese ci sono grandi disponi­ bilità economiche, sono in grado di organizzare bene una manifestazione così impegnativa. La Russia ha tradizione».
Nel frattempo fa il commentatore in tv. Ci ha preso gusto anche lì? «A Sky mi diverto. Parlo con rispetto, cerco di dire le cose con chiarezza, ma è un “di più”. La mia idea è imparare bene a fare l’allenatore, spero di trovare una panchina»