Leonardo Servadio, Avvenire 13/4/2014, 13 aprile 2014
GRATTACIELI, GLI USA A NASO IN SU
Non è il più alto al mondo. Ormai la corsa ai vertici è appannaggio dell’Oriente. È il più alto dell’Occidente: 541 metri. Lontano dagli 828 metri di Burj Khalifa a Dubai e ben sotto i 601 metri della saudita Torre dell’Orologio reale alla Mecca che slancia la mezzaluna verso le stelle. Ma il One World Trade Center di New York , da poco completato a Manhattan, ha un’importanza che supera le dimensioni. Tutti i grattacieli sembrano artefatti seriali, il loro gigantismo convoglia l’attenzione sulle loro misure. Il disegno schematico, le facciate a vetri, li fanno sembrare tutti simili tra loro. Ma a guardare più attentamente si nota che, pur con le similitudini che li accomunano, pur nell’atteggiamento progettuale globalizzato che domina ovunque, ognuno ha qualcosa che lo distingue. Il One World Trade Center è un proclama di ottimismo che compagina il sogno americano con l̵7 ;arido potere economico. Simboleggia la capacità di risorgere dalle ceneri. «Un’affermazione di speranza e una sfida scritta con l’acciaio e col cristallo, una meraviglia di pertinacia, espressione di un popolo costretto letteralmente a scavare a fondo per ripartire, dopo aver sofferto un terribile colpo». Così ne scrive Josh Sanburn sulla rivista Time.
Completata negli aspetti strutturali, la nuova torre che domina New York sarà abitata entro la fine del 2014. Ha fondazioni profonde 60 metri e gli operai che le scavavano ogni giorno trovavano brani di vestiti, corpi, suppellettili schiacciati nel terreno dal collasso delle torri gemelle dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. Abbattute perché espressione dal capitalismo americano, rinascono in quest’unico pilastro il cui disegno rievoca il grande obelisco bianco che domina la spianata verde della capitale, in ciò sottolineando anche l’unione del Paese: nei suoi aspetti politici, storici, sociali rappresentati da Washington DC, e in quelli economici, culturali, imprenditoriali, incarnati da New York.
Ci son voluti sette anni per erigerla, dal 2006 al 2013; ora si sta completando l’architettura interna dei suoi 104 piani. È costata 3,9 miliardi di dollari, quasi tre volte Burj Khalifa che pure la supera in altezza di 287 metri. Perché non solo è dotata di ogni più avanzato ritrovato tecnologico e per il risparmio energetico, ma è anche intesa a evitare il ripetersi del disastro dell’11 settembre. Le Torri gemelle avevano una struttura di acciaio che si fuse col calore dell’incendio innescato dagli aerei che le colpirono. La nuova torre ha un nucleo portante protetto da quasi 160 mila metri cubi del cemento più solido, capace di resistere a una compressione di 14 mila Psi (libbra per pollice quadrato): per paragone il cemento comune ha una resistenza pari a 3 mila Psi. Insomma, il fusto che la sostiene è duro come il granito, e vi si trovano settantun ascensori, molteplici rampe di scale, i sistemi automatici antincendio. È destinato resistere nel tempo, e questo è un concetto nuovo, estraneo agli edifici più recenti che a volte in città come New York, sono sostituiti dopo pochi lustri. Il pennone eleva a quota 1776 piedi (tanti quanti gli anni della rivoluzione americana) un faro la cui luce si diffonde per 80 chilometri all’intorno. ’Beacon of hope’, faro di speranza per il mondo, è per tradizione il modo in cui gli Stati Uniti amano pensarsi.
Ma non meno carica di significati è la torre della Mecca, la seconda più alta al mondo. Sul suo pennone c’è la mezzaluna, simbolo dell’Islam. Anch’essa di notte si illumina, come l’orologio che sta poco sotto, a circa 480 metri, i cui quattro quadranti da 46 metri di diametro si vedono sui quattro lati da una distanza di 25 chilometri. Sta di fronte alla Ka’bah: il luogo sacro dove almeno una volta nella vita ogni musulmano deve recarsi in pellegrinaggio. E ne è il segno che da lontano avvistano i pellegrini in arrivo. La costruzione del complesso di cui fa parte è costata sui 15 miliardi di dollari: include altre sei torri di circa 250 metri l’una e in totale dispone di un milione e mezzo di metri quadrati di superfici ove possono trovare posto 100 mila ospiti, in vari hotel, ovviamente lussuosissimi. Perché l’islam non è solo la religione delle grandi masse, ma anche quella dei grandi petrolieri arabi. Ci sono un osservatorio lunare, un museo islamico, diversi eliporti.
È anzitutto un monumento ed è stato costruito dal gruppo saudita Binladen, il cui nome peraltro è stato reso famoso da Osama, il fondatore di Al Qaeda. Se questi distrusse le torri gemelle di New York, altri Binladen non solo hanno eretto una delle torri più alte del mondo, ma hanno cominciato a costruire la Torre del Regno a Gedda. Nel 2019 dovrebbe arrivare al chilometro verticale di altezza. Chi mai oserà superarla?
Forse neppure la Cina. Qui a Shanghai si sta completando una torre la Shanghai Tower , che coi suoi 632 metri sta scalzando la Mecca dal secondo posto. E poco lontano c’è il Financial Center, coi suoi 492 metri sinora il più alto di Shanghai, sovrastato da un’apertura quadrangolare. All’origine doveva essere rotonda, ma vi fu un sollevamento di massa: nel tondo si ravvisava un richiamo alla bandiera giapponese, di cui la Cina soffrì l’imperialismo, e questo non era tollerato. Per quanto fosse un centro finanziario, tutti lo percepivano come il simbolo della città. Il 90 per cento dei grattacieli superiori ai 200 metri innalzati nel 2013 sono in Asia: (74 per cento nel Lontano Oriente, 16 per cento nel Medio Oriente). A prescindere dalla loro destinazione, si nota la ricerca di qualcosa di specifico che li connoti. Per esempio il JW Marriott Marquis di Dubai, alto 355 metri: consta di due torri, la prima del 2012, la seconda sarà abitabile tra qualche mese. Le facciate ricurve unite, su una linea verticale, in pianta appaiono come le valve di una conchiglia. In alzato presentano cornici verso l’alto aggettanti, come accade con gli anelli che formano i tronchi delle palme: anche in Taipei 101 , edificio principe della capitale taiwanese si adottò un disegno simile. Ma a Dubai la vicinanza col modello degli alberi tipici della regione è più marcato, plastico, e ricercato. A prima vista potrebbe fare pensare a un ritorno del postmoderno, ma in realtà il vigore tecnologico e l’influsso del disegno organico esprimono un tentativo diverso di superare l’uniformità globalizzante. C’è la ricerca della connessione col luogo. Dubai, vista da lontano, è ormai un ciuffo di grattacieli, ma non è un’imitazione di New York o di Chicago, le città capostipiti della verticalità sono evidenti.
Simile ricerca è evidente nelle quattro Torri di Piazza Sowwah di Abu Dahbi . Si raccolgono attorno a un laghetto artificiale e la loro sezione trasversale presenta un profilo simile a quello di una spiga, che si dilata verso l’alto. Il tutto è studiato per far circolare l’aria fresca in uscita dagli ambienti interni, nei doppi vetri delle facciate, per spingere rapidamente fuori l’aria surriscaldata dal sole che vi si raccoglie. Un sistema ’passivo’ di controllo della temperatura, simile a quelli da sempre in uso negli edifici tradizionali della zona, ma portato su una scala gigantesca. Non c’è solo globalizzazione, nei grattacieli. C’è anche molto dell’identità dei popoli.