Massimiliano Castellani, Avvenire 12/4/2014, 12 aprile 2014
SORIANO E ARPINO FRATELLI DI STADIO
«Quanto tempo rimarrà qui? – Sono arrivato da una settimana, avevo in programma di rimanere, ma sono proprio a corto di quattrini. – Non si preoccupi, io devo rimanere per tutta la vita e vado in giro con venti dollari in tasca». È un passaggio del dialogo onirico tra Osvaldo Soriano e Philip Marlowe, il detective cinico e romantico partorito dalla fantasia inesauribile di Raymond Chandler. Un incontro di finzione quello tra l’argentino, scriba massimo del giornalismo sportivo, e il principe del giallo poliziesco americano, sulla tomba del comico Stan Laurel: Stanlio, il “gemello” cinematografico di Ollio, Oliver Hardy. Tre figure mitiche, Laurel, Hardy e Chandler, nell’immaginario fertile de “El Gordo” Soriano, alle quali dedica il suo primo romanzo Triste, solitario y final.
Un’opera affascinante quanto surreale, il cui titolo dagli anni ’80 è diventato espressione tra le più abusate nello slang giornalistico. Del resto il suo irregolarissimo autore-protagonista, lo scrisse rigorosamente di notte nella redazione del quotidiano “di lusso” di Buenos Aires, La Opinión , l’anno prima dell’esilio forzato per sfuggire alla minaccia del regime militare di Videla. Nel 1973 Triste vide la luce grazie alle Ediciones Corregidor, e da noi ora compie quarant’anni la prima edizione, pubblicata nel 1974 da Vallecchi. Un capolavoro che ha rischiato di diventare Un’ombra ben presto sarai (romanzo successivo, appartenente alla mezza dozzina di perle narrative di Soriano), se non fosse stato captato dalle antenne sensibili di un altro straordinario irregolare della letteratura, Giovanni Arpino.
Il 29 novembre di 1974 Arpino, stupito e indignato dall’indifferenza con cui era stato accolto il debutto di quello sconosciuto eppure talentuoso trentenne di Mar del Plata, scriveva dalle colonne della Stampa: «È da giugno che il libro si trova (o dovrebbe trovarsi) negli scaffali degli “economici”. Ma non ho letto un rigo su questa storia eccezionale, veloce come un fumetto, esilarante, virilistica e amara… Soriano, giornalista sportivo e scrittore privo di tracce ereditarie, forse non riuscirà a ripetersi. Ma certo, nel filone eroico o elegiaco o di denuncia sudamericano, lui rappresenta il lato ariostesco: indispensabile pimento della vita». Soriano, per puro caso, si ritrovò quell’articolo tra le mani nel suo rifugio davvero triste e solitario di Bruxelles (era senza un soldo e non conosceva praticamente la lingua), tre anni dopo la pubblicazione. «Desidero dirle innanzitutto che nessuna recensione fra quelle apparse sinora nei Paesi in cui è stato pubblicato Triste solitario y final mi ha commosso così tanto», scrive l’argentino a colui che da quel momento in poi sarebbe diventato il “fratello italiano”. Un fratello del quale divorò tutte le opere, tradotte (da Un delitto d’onore a La suora giovane ), e, dopo aver visto il film di Dino Risi Profumo di donna tratto dal romanzo Il buio e il miele di Arpino, si lasciò andare a una sincera venerazione: « Querido Giovanni, nel leggerti, sento che i miei personaggi sono di una banalità che sfiora la stupidità. Lo stesso mi capita di fronte a Fitzgerald a Nathanael West o a Caldwell». Confessioni che si leggono nello scambio di lettere (in parte raccolte nel bellissimo saggio Bracconieri di storie di Massimo Novelli) iniziato il 25 aprile 1977. Un carteggio in cui i due autori si confrontano sulla necessità, lo stile e la fatica del mestiere di scrivere. Per Arpino «la vita o è stile o è errore», scrive in Passo
d’addio , e Soriano ribatte in Ribelli sognatori e fuggitivi : «Se uno scrittore lavora anche nel giornalismo deve saper tenere un delicato equilibrio tra la pura informazione e l’esercizio dello stile. Col passare del tempo, quel che resta è lo stile. Per questo leggiamo con piacere gli articoli di Borges, Hemingway o Calvino ». Grazie ad Arpino Soriano entrò in contatto con Calvino, che avrebbe fatto pubblicare all’Einaudi tutte le sue opere a cominciare da Triste , inserito nella collana Nuovi Coralli nel 1978. L’anno del Mundial d’Argentina che Arpino, dopo aver consegnato alla letteratura sportiva l’esemplare romanzo Azzurro tenebra, seguì da inviato per La Stampa . Tornò in Italia dopo aver visto l’Argentina «triste ma non ancora final» vincere in campo con l’aiuto del potere organizzativo, felice solo di informare Soriano dell’ennesimo encomio per il suo romanzo apparso su “Tuttolibri” a firma di Nico Orengo. «Nell’anno dei tre papi, speriamo che accadano cose buone. Non è ancora vietato nutrire speranze. O sì?», chiosa Arpino. Tutte le loro speranze erano riposte nella scrittura. «Uno scrittore si salva solo scrivendo», ripeteva Osvaldo che però, attanagliato dalla crisi da pagina bianca, dal nuovo esilio di Parigi si sfogava: « Querido Giovanni, uno scrittore quando non scrive si sente come un gatto che non può saltare i muri, né salire sugli alberi». Arpino lo rassicurava: «Lavora, sii felice anche se il mondo non vuole permetterlo... Il mondo morirà, la scrittura morirà, ma dobbiamo resistere e fare». Arpino resisterà fino al 10 dicembre 1987, quando a 60 anni volò via per sempre dall’ombra delle colline. Atterrando a Roma di ritorno dall’Argentina dove era tornato a vivere e a scrivere, Soriano apprese della morte del suo amato Giovanni. El Gordo (che se ne andrà esattamente dieci anni dopo, nel 1997), affranto per la perdita del “fratello italiano”, quel giorno chiuso nel suo dolore lo salutò sottovoce con le parole di Marlowe: «Arrivederci amico, non le dico addio. Gliel’ho detto quando aveva un senso. Gliel’ho detto quando ero triste, solo e alla fine».