Caterina Giusberti, la Repubblica 14/4/2014, 14 aprile 2014
«A NOI FECERO NASCERE DUE GEMELLE DI COLORE. ORA SIAMO TUTTI FELICI»
«Hanno giocato con la vita di quattro persone, ci hanno trattato come provette. Ma tornando indietro lo rifaremmo mille volte: i figli sono di chi li cresce». Marta e Luigi (i nomi sono di fantasia) quattordici anni fa sono stati vittime di un errore al centro di riproduzione assistita del Policlinico di Modena: una provetta sbagliata, una siringa non lavata bene. Marta, italiana, ha ricevuto gli spermatozoi di un’altra coppia, proveniente dall’Africa del Nord. Risultato: i bambini, una coppia di gemelli, sono nati mulatti. Dopo quattro anni, nel 2004, hanno fatto causa al Policlinico e nel 2007 sono stati risarciti. «Ci è crollato il mondo addosso», ricordano. Ora dicono: «Siamo una famiglia normalissima».
Cos’avete pensato quando avete saputo dello scambio di embrioni avvenuto a Roma?
«Che continuano a fare pasticci – dice il padre – È un caso ancora peggiore del nostro, nessun legame genetico. Ma vogliamo dire a questa coppia che non è
così terribile come sembra: avranno due bambini, si accertino solo che siano sani, poi faranno le loro valutazioni giuridiche. Ma per adesso stiano tranquilli e vadano avanti: i figli sono di chi li cresce».
Cosa è successo quando avete scoperto che i vostri figli non erano geneticamente vostri?
«All’inizio non volevamo rendercene conto, questi bambini li volevamo così tanto — ricorda lei — Poi il pediatra ci ha convinto a fare il test. La cosa triste è stata che i medici non ci avevano detto niente, ci siamo sentiti ingannati. Subito abbiamo pensato alle malattie, all’Aids, all’ebola, ai rischi che avevamo corso. Poi, quando ce la siamo sentita, abbiamo denunciato l’ospedale: nel protocollo qualcosa non andava».
Pensate che altri possano aver subito un errore come il vostro?
«Io – dice il padre – mi auguro che nessuno cominci a fare dei test del Dna, perché in giro ce ne sono parecchi, secondo me. Se ci fossero nati due ragazzini bianchi non ce ne saremmo mai accorti».
Se l’aveste saputo prima avreste abortito?
«No, no, no, no – salta su la mamma – Avremmo fatto i controlli, ma abortire mai. Chi li conosce, chi li vede tutti i giorni, sa che siamo stati molto fortunati: sono dei ragazzi meravigliosi, educati, sensibili».
Cosa diceva la gente?
«È stato difficile, viviamo in un piccolo paese, c’è molta ignoranza in giro, a volte scappa la pazienza. All’inizio pensavano tutti che io – dice lei – fossi stata con un altro».
Quando lo avete raccontato ai vostri figli?
«Avevano undici anni, eravamo a cena, con la televisione spenta. Gli abbiamo fatto vedere i ritagli dei giornali, le trasmissioni che avevano parlato di loro».
E loro cosa hanno detto?
«Lo sapevano benissimo, avevano capito da soli. Hanno detto che non cambiava niente, che noi siamo i loro genitori».
E adesso?
«Sono orgogliosi di quello che abbiamo fatto per loro, il risarcimento è un’assicurazione per quando saranno grandi. Poi se lo vorranno potranno fare tre parti, anche con la sorella».
Qual è stato il momento più difficile?
«Quando abbiamo avuto una figlia naturale, inaspettatamente. È stato difficile spiegare a dei ragazzini di sei anni perché erano di colore diverso, ancora adesso ogni tanto la sorellina li prende in giro, dice: “Perché siete così abbronzati?”».
Ricorrereste di nuovo alla fecondazione assistita?
«Io – sorride la mamma – mi ritengo una donna miracolata dal Signore. Anche se magari la fecondazione non è molto cattolica...».