Francesco Viviano e Alessandra Zinniti, la Repubblica 13/4/2014, 13 aprile 2014
LA RESA DI MARCELLO DOPO 48 ORE DI FUGA
Lo hanno sorpreso come nel copione della più classica delle caccia all’uomo: in pigiama, ancora a letto, 30.000 euro in banconote da 50 euro in un’unica mazzetta alta quanto un mattone legate con una fascetta, la valigia aperta e disfatta ancora a metà, tre libri sul comodino, un iPod con la sua musica classica preferita.
Una rapida occhiata interrogativa, l’esibizione dei tesserini di servizio. Ma Marcello Dell’Utri aveva già capito tutto. «Buongiorno, entrate vi aspettavo», ha
sussurrato a mezza bocca aprendo la porta agli uomini dei servizi di sicurezza libanesi e al funzionario italiano dell’Interpol che alle 8.30 di ieri mattina hanno bussato alla porta della sua suite da 500 euro al giorno. Poi il silenzio più assoluto, le labbra serrate in un volto segnato dalla tensione e dall’emozione. Appena il tempo di vestirsi, niente manette. È finita così la brevissima quanto maldestra latitanza di uno dei ricercati più eccellenti della storia giudiziaria d’Italia. Trascorsa in una suite da sogno affacciata sul porto di Beirut, ai piani alti dell’hotel Intercontinental Phoenicia, uno dei più lussuosi della capitale libanese, con tanto di centro benessere, due piscine, sette ristoranti, una lunga galleria di negozi.
Se Marcello Dell’Utri pensava davvero di sottrarsi così alla cattura ordinata dai giudici della Corte d’appello di Palermo ad una settimana dal pronunciamento della Corte di Cassazione, lo ha fatto davvero in modo dilettantesco. Al Phoenicia, dove era già stato il mese scorso, ai primi di marzo, come gli investigatori hanno ricostruito dal registro delle presenze, era arrivato giovedì, non certo nascondendosi. Ha presentato il suo passaporto italiano, ha fornito la sua carta di credito a garanzia, la stessa che puntualmente ha lasciato traccia fornendo agli investigatori, già abbastanza certi della sua presenza a Beirut, il tassello che mancava alla sua localizzazione. In quel momento Dell’Utri sapeva già che in Italia lo stavano cercando. Gli uomini della Dia, con l’ordine di custodia cautelare in mano, erano già andati a bussare alla sua casa milanese di via Senato, a quella romana, all’abitazione del figlio Marco. «Mio marito non c’è, non lo vedo da giorni e non so dov’è», la risposta della moglie Miranda.
Il telefonino e la carta di credito. Lo hanno preso così gli investigatori della Dia e quelli dell’Interpol italiana diretti dal vicecapo della polizia Francesco Cirillo, sicuri che a Beirut Dell’Utri fosse almeno dal 3 aprile. Quel giorno, infatti, quando ancora in Italia la Procura generale attendeva l’esito del ricorso presentato al Riesame contro il diniego al divieto d’espatrio, uno dei cellulari intestato a Dell’Utri si era improvvisamente acceso, consentendo così la localizzazione tramite l’imei, il codice identificativo del terminale mobile. Era nei pressi di Beirut, proprio lì dove il fratello gemello Alberto, quattro mesi prima, auspicava che potesse trovare «l’appoggio giusto, la gente giusta sul posto che ti dà una mano». Da quel telefonino, acceso e poi spento, non era mai partita né arrivata alcuna chiamata nei giorni precedenti, né nei giorni successivi. Il 3 aprile, giovedì della scorsa settimana, Marcello Dell’Utri era ancora un uomo libero, che la Dia non poteva intercettare e che avrebbe dovuto solo sorvegliare discretamente a distanza ma che, dal 20 marzo, non era mai riuscito a incrociare in nessuno dei suoi domicili conosciuti, né a Roma, né a Milano. Nella casa di via Senato non si era mai visto né entrare né uscire nessuno, neanche la moglie, nessuno neanche negli uffici di solito frequentati dall’ex senatore. Gli investigatori avevano tenuto d’occhio persino i luoghi d’incontro culturali, gli appuntamenti di solito frequentati da Dell’Utri, presentazioni di libri, vernissage. Niente. Dell’Utri sembrava sparito d’incanto.
Eppure forse proprio in quei giorni l’ex senatore era ricoverato al San Raffaele a Milano per un intervento di angioplastica, poi si sarebbe recato a Madrid per una visita di controllo da un noto cardiologo. Così almeno racconta il fratello Alberto confermando le vaghe spiegazioni fornite venerdì mattina da Marcello Dell’Utri per il tramite del suo avvocato Giuseppe Di Peri all’esplodere della notizia della sua latitanza. «Non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione, sono in condizioni di
salute precaria, ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica e sto effettuando ulteriori esami e controlli».
Ma quando e come è arrivato dell’Utri a Beirut? E soprattutto dove è stato e cosa ha fatto in tutti i giorni in cui per gli investigatori italiani è stato irreperibile? Quel che è certo è che dall’Italia non è andato via in aereo. I controlli degli investigatori italiani avevano già dato esito negativo. È probabile che da Milano sia andato via in treno alla volta di Parigi da dove il 24 marzo ha preso il volo Air France per Beirut. Viaggio in business class con un grosso bagaglio al seguito. All’hotel Phoenicia però è arrivato solo giovedì 10 aprile, quando già i suoi familiari lo avevano avvertito che la corte d’appello di Palermo aveva emesso un mandato di cattura nei suoi confronti. Dove sia stato prima, cosa abbia fatto e chi abbia incontrato è ancora tutto da ricostruire. E certo i tabulati dei suoi cellulari, che ora gli investigatori stanno esaminando, daranno indicazioni utili sui suoi spostamenti e sui suoi contatti.
Giovedì sera la strisciata della sua carta di credito ha praticamente fornito agli investigatori l’indirizzo del suo lussuoso rifugio. E venerdì mattina, quando i giudici hanno firmato il mandato di cattura europeo e il “wanted” con il suo nome e il suo volto veniva diramato alle polizie di mezzo mondo, gli uomini dell’Interpol avevano già in mano l’indicazione vincente. La certezza che l’ex senatore fosse in camera l’hanno avuto solo ieri mattina. Alle 8.30 in quattro sono andati a bussare alla porta della lussuosa suite, una camera da letto, un soggiorno con vista piscina e lo sfondo del porto di Beirut in lontananza. In camera il necessario per una lunga permanenza, dagli abiti contenuti nel bagaglio ai tanti libri e soprattutto a quei trentamila euro in banconote da 50 euro la cui disponibilità, ovviamente, andava a sommarsi a quella delle carte di credito che Dell’Utri aveva con sé e che, almeno al Phoenicia, ha continuato ad usare.
La sua prima notte da detenuto, Dell’Utri l’ha passata nel bunker della Direzione generale delle forze di sicurezza interne dove, subito dopo l’arresto, è stato raggiunto da funzionari dell’ambasciata italiana che hanno provveduto ad indicargli un avvocato libanese che lo assisterà ne primi appuntamenti, dall’udienza di convalida al procedimento di estradizione.