Sergio Romano, Corriere della Sera 13/4/2014, 13 aprile 2014
PERCHE’ LA CRISI SIRIANA NON INTERESSA PIU’
Da un po’ di tempo, non si parla più di Siria e della locale guerra civile in atto da anni. È vero che siamo stati distratti (e lo siamo ancora) dalla vicenda Ucraina/Crimea, e dal «rullo compressore» Renzi, che ci vuole fare credere che verranno aboliti Senato e Province, mentre si sta generando un caos indescrivibile
ed incomprensibile a chiunque, probabilmente anche agli stessi proponenti.
Ritornando alla Siria, che cosa sta succedendo? Dobbiamo considerarla persa definitivamente come stato unitario, visto che oggi appare controllata a macchia di leopardo da gruppi e fazioni, spesso in lotta fra di loro?
Valentina Micillo
valentinamicillo@hotmail.it
Cara signora,
Il tentativo riformista del presidente del Consiglio non ha alcun rapporto con la percezione della crisi siriana e il grado d’attenzione che le è riservato dalla comunità internazionale. È un problema italiano che tocca a noi risolvere e che il mondo giudicherà a cose fatte. La crisi ucraina, invece, è certamente una delle ragioni per cui l’attenzione verso la Siria è molto diminuita. Ma ve ne sono altre. In primo luogo non è possibile continuare a trattare una questione che nessuno è in grado di affrontare con ragionevoli possibilità di successo. L’esperienza libica ci ha insegnato che non si interviene a gamba tesa nel dramma di un Paese quando non è possibile fare attendibili previsioni sugli effetti dell’intervento. Che cosa sarebbe accaduto se i missili minacciati da Obama in un momento di febbre interventista avessero aiutato i ribelli a prevalere sulle truppe del regime di Bashar Al Assad? Qualche consigliere della Casa Bianca avrà ricordato al presidente americano ciò che accadde in Afghanistan quando gli Stati Uniti, finanziando e armando i fedayn , costrinsero i sovietici a ritirare le loro truppe dal Paese. Vogliamo una Siria talebana? Vogliamo correre il rischio di regalare ad Al Qaeda una base mediterranea da cui estendere la propria influenza sulla regione?
Per spiegare la nostra minore attenzione alle vicende siriane occorre ricordare che la crisi, oltre all’evidente dramma della popolazione civile, presentava un altro rischio: la possibile internazionalizzazione del conflitto. Alcuni Paesi – Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Iran – erano già pericolosamente coinvolti. Altri – Russia, Stati Uniti, alcuni Stati europei – potevano essere indotti a entrare in campo per difendere i propri interessi. La Russia non avrebbe mai accettato una Siria interamente sottratta alla sua influenza. Gli Stati Uniti non avrebbero mai accettato un decisivo rafforzamento della presenza russa e iraniana nel Mediterraneo. La conferenza di Ginevra dello scorso gennaio non ha creato le condizioni per la pace, ma ha avuto l’effetto di dimostrare che le maggiori potenze erano consapevoli di questo rischio e avrebbero cercato di evitarlo. È probabile che nel frattempo anche la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar e l’Iran abbiano cominciato a considerare gli avvenimenti con maggiore distacco. La Turchia ha abbattuto un aereo siriano, ma il fatto è accaduto alla vigilia delle elezioni amministrative del 30 marzo ed è parso a molti una specie di spot elettorale. Credo che siano queste, cara signora, le ragioni per cui oggi si parla meno della Siria.