VARIE 12/4/2014, 12 aprile 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - DELL’UTRI RIACCHIAPPATO
REPUBBLICA.IT
Mafia, fine della latitanza per Dell’Utri: arrestato in un lussuoso albergo di Beirut
L’ex senatore Pdl è stato fermato stamani dall’intelligence libanese: con sé aveva il passaporto e una cospicua somma di denaro. Ora si trova negli uffici della polizia della capitale. L’annuncio dato dal ministro Alfano: "Il governo si attiverà subito per l’estradizione". Una carta di credito e l’accensione del telefonino hanno consentito agli uomini dell’Interpol e della Dia di localizzarlo. Il pg Patronaggio: "Ottimo successo operativo, attendiamo con serenità l’esito del processo"
ROMA - E’ finita la latitanza di Marcello Dell’Utri, 74 anni, arrestato stamani (alle 9.30 locali) dall’intelligence libanese in un lussuoso albergo di Beirut: si tratta dell’InterContinental Phoenicia, hotel a 5 stelle affacciato sul porto turistico della città. Quando la polizia ha fatto irruzione nella struttura in cui alloggiava, Dell’Utri era da solo e si trovava a letto: oltre al passaporto, con sé aveva anche una cospicua somma di denaro. In Italia l’annuncio è stato dato qualche ora dopo dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, a margine dell’assemblea del Nuovo centrodestra: "Dell’Utri - ha detto Alfano - si trova negli uffici della polizia libanese, a Beirut. E’ stato rintracciato dalla polizia libanese che ora è in contatto con la polizia italiana in ottemperanza con il mandato di cattura internazionale. E’ in corso una procedura che diventerà estradizionale".
Una carta di credito che Dell’Utri ha utilizzato e l’accensione del telefono cellulare hanno consentito agli uomini della Dia (Direzione investigativa antimafia) di localizzare l’ex senatore che dal 3 aprile scorso si sarebbe trasferito a Beirut con un volo aereo decollato da Parigi: monitorato fin dal suo arrivo, due giorni dopo è iniziato il pedinamento.
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"Dell’Utri - ha aggiunto il titolare del Viminale - è stato rintracciato dalla polizia libanese che aveva avuto indicazioni dalla polizia italiana in ottemperanza a un mandato di cattura internazionale". Nella capitale del Libano si trovano funzionari della Dia di Palermo e dell’Interpol, che erano sul posto già da alcuni giorni. Ora, in virtù di un patto bilaterale di estradizione tra Libano e Italia, Dell’Utri potrà essere estradato non appena formalizzate le procedure burocratiche. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, è rientrato a Roma da Torino (dove ha partecipato all’apertura della campagna nazionale dem per le europee) proprio per apporre il suo via libera alla richiesta. Nel pomeriggio, a margine del convegno organizzato dalla minoranza Pd nella Capitale, il Guardasigilli ha poi dichiarato: "Abbiamo avviato tutte le procedure funzionali all’estradizione previste dalla legge e dai trattati".
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Nel frattempo, il procuratore generale di Palermo, Luigi Patronaggio, (leggi l’intervista) ha commentato: "Nonostante la forte pressione mediatica che talvolta rischia di vanificare il nostro lavoro e quello delle forze di polizia che ci collaborano, ritengo che, in sinergia con la Dia e l’Interpol, con l’arresto di Dell’Utri abbiamo ottenuto un ottimo successo operativo". Era stato Patronaggio a chiedere più volte alla Corte d’Appello di Palermo il divieto di espatrio prima, e l’arresto dopo, ma soltanto il 7 aprile i giudici hanno accolto la richiesta di arresto per Dell’Utri. "Attendiamo adesso con serenità - aggiunge il pg - l’esito del processo in Cassazione". Nel giorno dell’arresto, tuttavia, il primo presidente della Corte d’appello di Palermo, Vincenzo Oliveri, tira sì, un sospiro di sollievo ma rispedisce al mittente le accuse sulla responsabilità della fuga e dice: "L’errore non è dipeso dalla Corte d’appello bensì dalla Procura generale".
Da ieri mattina l’ex senatore (di Forza Italia prima e del Pdl poi) era ufficialmente latitante (con tanto di ’ricerche’ partite anche sui social) a seguito di un ordine di custodia cautelare in carcere per pericolo di fuga. Dopo due giorni di ricognizione, la Corte d’appello di Palermo ha firmato il decreto di latitanza alla vigilia dell’udienza di Cassazione che martedì deciderà sulla condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel pomeriggio di ieri, Dell’Utri si era fatto vivo con una nota diffusa dal suo avvocato Giuseppe Di Peri: "Tengo a precisare che non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione - aveva detto - e che trovandomi in condizioni di salute precaria, per cui tra l’altro ho subìto qualche settimana fa un intervento di angioplastica, sto effettuando ulteriori esami e controlli".
"Apprendo della aberrante richiesta di preventiva custodia cautelare mentre mi trovo già all’estero per il periodo di cura e riposo - aveva sottolineato ancora -. Rimango tuttavia in attesa fiduciosa del risultato che esprimerà la Massima Corte che ha già rilevato incongruenze e fumus nella prima sentenza di appello, annullandola conseguentemente. Mi auguro quindi che un processo ventennale, per il quale ritengo di avere già scontato una grave pena, si possa concludere definitivamente e positivamente".
Stamani a caldo, l’avvocato Di Peri si è limitato a dire: "L’eventuale esistenza di un trattato per l’estradizione tra Italia e Libano, di cui non conosco i termini, è la prova che Dell’Utri non aveva alcuna intenzione di darsi alla fuga, altrimenti avrebbe scelto un Paese diverso, e che non c’è stato alcun piano relativo al suo allontanamento". Qualche ora più tardi, il legale ha aggiunto: "Spero che la polizia locale gli abbia fatto contattare un avvocato del posto. Le procedure per l’estradizione sono partite, ma passerà almeno qualche settimana"
L’estradizione tra il Libano e l’Italia è regolata e trasformata da un accordo bilaterale firmato il 10 luglio del 1970 e trasformato in legge il 112 febbraio 1974. L’accordo bilaterale è in vigore dal 1975. L’articolo 23 della legge stabilisce che "si potrà porre fine all’arresto provvisorio" se il governo del Libano non riceverà i documenti richiedenti l’estradizione "entro 30 giorni". Se riceverà la richiesta di estradizione, il Libano farà conoscere allo Stato richiedente "per via diplomatica" la sua decisione. Le spese relative alla procedura di estradizione saranno a carico dello Stato richiedente, essendo inteso che "lo Stato richiesto non reclamerà né spese di procedura né spese di carcerazione". Un iter che, comunque, è tutt’altro che semplice: a giocare un ruolo determinante sarà la contemplazione, da parte dell’ordinamento giuridico di quel Paese, del reato associativo di tipo mafioso. A questo va aggiunta la possibilità che Dell’Utri abbia scelto il Libano non a caso, potendo contare magari su coperture diplomatiche che rallentino o facciano entrare in stallo l’iter. Ad ogni modo, per evitare di incorrere in una decadenza dell’efficacia della misura custodiale, Dell’Utri dovrà essere interrogato entro i prossimi 5 giorni.
Il consigliere dell’ambasciata italiana in Libano, Riccardo Smimmo, sottolinea: "Ci siamo attivati sul caso. Forniremo assistenza consolare a Marcello Dell’Utri come a qualsiasi altro connazionale italiano. Stiamo verificando quali sono i passi da fare. Agiremo comunque all’interno del trattato di collaborazione giudiziaria che abbiamo con il Paese".
MERLO SUL FOGLIO
Salvatore Merlo per "il Foglio"
"Mangano, dicono... Ma quella di Mangano è una storia così cretina che io, davvero...". E Fedele Confalonieri recita pacato, pulito, rotondo: "Berlusconi aveva comprato Arcore, che c’ha un giardino di un milione di metri quadrati, con dei contadini, dei campi, degli alberi. Ci voleva un soprastante, una specie di contadino capo. E Marcello, che ad Arcore si occupava di tutto, persino delle tende del salotto, e che è siciliano, finì col chiamare un altro siciliano: Mangano appunto.
Ecco, se Marcello fosse stato bergamasco, Mangano si sarebbe chiamato Pesenti e forse non sarebbe stato mafioso. Ma noi che ne sapevamo? La mafia... Mi vien da ridere, se non fosse una tragedia. Vede, la verità è sempre quella di Pirandello, che era siciliano pure lui. La verità è una donna velata che dice: sono quella che voi credete che io sia.
Una categoria relativa. E da qui il conflitto, il dramma, la lotta di ciascuno per imporre agli altri la propria verità".
E la verità di Confalonieri su Marcello Dell’Utri è che "adesso una brava persona, un uomo colto, il più simpatico che io conosca, è diventato una vittima sacrificale, colui che deve pagare assieme a Berlusconi per essergli stato il più vicino di tutti nelle sue maggiori realizzazioni. Marcello era Publitalia, e poi è stato la politica del Cavaliere, l’uomo che addestrava le truppe, i quadri, i manager di quello che sarebbe stato chiamato, con fatuo disprezzo, il partito azienda".
E nelle parole di Confalonieri si specchiano gradatamente la sorpresa, l’offesa, un’angosciata protesta, l’impeto d’una ribellione: "Oggi potevo esserci io al posto suo. E se non se la sono presa con me è soltanto perché non sono entrato in politica. E l’ho scampata.
Con Berlusconi era così in quegli anni, stavi con lui attorno al tavolo, e lui improvvisamente ti dava un incarico, ti traeva con un gesto imperioso dal tuo stato, come un sovrano magico e irresistibile: ‘Adesso vai a fare il proconsole in Gallia’, ‘adesso tu mi organizzi un partito’. A Marcello è andata così. Lui ha sempre avuto un rapporto fideistico con Berlusconi, molto più di quanto non lo abbia io, che Silvio lo conosco da quando eravamo bambini. Marcello arrivò nel nostro gruppo nel 1973, ed era l’assistente di Silvio, si erano conosciuti all’università.
Stava sempre nella casa di Arcore, c’era tanto da fare allora: l’ha arredata lui quella casa, ha riempito la biblioteca, ha curato i restauri, comprava persino i quadri, con quel suo gusto eclettico. Poi arrivarono gli anni di Publitalia. E se Berlusconi era il Gesù della pubblicità, Marcello era il suo san Paolo. Il realizzatore, l’organizzatore, il motivatore. Quei due s’inventarono delle convention chiamate ‘professione amicizia’. Oggi si direbbe ‘costumer care’.
Marcello organizzava incontri, cene, pranzi, feste. Usava la villa di Arcore per avvolgere i clienti, portava le stelle della nostra televisione, come Enrico Beruschi ed Ezio Greggio. Li faceva divertire. Poi la stessa cosa, il costumer care, lo ha applicato in politica. Così quando Silvio ha inventato Forza Italia lui l’ha seguito subito. Io storcevo il naso, lui ci credeva". Martedì, forse, la sentenza definitiva in Corte di cassazione. E sono giorni di ansia, di cattivi auspici, di recriminazioni e di incubi.
"Mi ricordo che una volta quel Mariotto Segni disse che Fininvest, la televisione, Publitalia e tutto il gruppo eravamo il braccio armato di Berlusconi, che eravamo come i nazisti. Quando Berlusconi dice che hanno tentato in tutti i modi di farlo fuori, guardi che ha ragione. Perché è proprio così. Abbiamo avuto poteri fortissimi contro, per vent’anni. E una parte della magistratura è andata dietro ai nostri nemici. Ma una colpa Marcello ce l’ha", dice Confalonieri.
"E’ stato d’una ingenua superficialità. E ha avuto un avvocato così così. A Palermo è stato interrogato per ore su incontri, pranzi, conoscenze che risalivano a moltissimi anni prima. Non si ricordava bene, si è contraddetto, ha sbagliato date e nomi. Come era ovvio che accadesse. Mentre i magistrati gli offrivano i pasticcini, e intanto prendevano appunti. Si è messo nei guai perché era sicuro di non aver fatto nulla di male.
Anche io ho subìto questo genere di interrogatori. Mi sequestrarono un’agenda vecchissima e mi chiedevano cose di vent’anni prima, su Squillante, sui giorni in cui l’avevo visto. Questi interrogatori sono dei labirinti, cosparsi di specchi deformanti e trabocchetti nei quali si rischia di cadere a ogni passo. Ecco, Marcello ce l’hanno fatto cadere dentro".
E da quel momento in poi, racconta Confalonieri, la vita, che pure gli scorreva facile e vittoriosa, per Dell’Utri è diventata un alimento crudo e grossolano da cercare faticosamente. Da strappare con fatica. "Ha affrontato tutta questa storia con stoicismo. Una forza bestiale. Certo, poteva evitare di dire che Mangano era un eroe. Ma io lo capisco cosa voleva dire. Voleva dire che Mangano l’avrebbe potuto distruggere, se soltanto avesse mentito.
E non lo fece. La verità su Mangano è che appena capimmo chi era lo mandammo via da Arcore. Si ricorda la famosa intercettazione telefonica mandata in onda da Santoro, dove parliamo dell’esplosione ad Arcore, del tentativo di estorsione di Mangano, e ridiamo? Mica siamo degli idioti. Ridevamo perché non lo consideravamo pericoloso, perché ci sembrava un patetico tentativo d’estorsione.
Per me la storia è semplice: Marcello è palermitano, ha conosciuto tante persone, e se ha stretto la mano di qualche mafioso non se n’è accorto. Lui allenava quella squadra di calcio a Palermo, la Bagicalupo. Fu lì che conobbe Mangano, ma conobbe anche Pietro Grasso, il presidente del Senato, l’ex procuratore nazionale antimafia". Poi c’è l’amicizia con Cinà, l’altro mafioso.
"Erano compagni di scuola. Io raccomandai persino il figlio di questo Cinà, che voleva fare il calciatore. Lo feci prendere al Varese da mio cugino, che era il presidente della squadra. Sono tutte sciocchezze. Guardi, io Marcello lo conosco da quarant’anni. La mafia ha la faccia bestiale, gli occhi iniettati di Totò Riina, non il viso dolce e spiritoso di Marcello Dell’Utri.
Mi ricordo ancora il giorno in cui Berlusconi ci mostrò la sua tessera della P2. Era in una di quelle sue improvvise meraviglie, che gli hanno fatto attorno al capo un’aureola di accattivante follia. Ridevamo di quella tessera. Non contavamo niente, eravamo dei bambini. Marcello rideva di Berlusconi, lo prendeva in giro, lui che si dava arie di grande immobiliarista: ‘Ma c’è scritto apprendista. Non sei nemmeno un muratore vero’".
BORROMEO SUL FATTO
1 - «DELL’UTRI ARRESTATO IN LIBANO»ALFANO: «CHIEDEREMO ESTRADIZIONE»
Da "Corriere.it"
MARCELLO DELL’UTRIMARCELLO DELL’UTRI
«Marcello dell’Utri si trova in questo momento negli uffici della polizia libanese». L’arresto dell’ex senatore di Forza Italia è stato annunciato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano a margine dell’assemblea di Ncd. Alfano ha anche annunciato che verrà chiesta l’estradizione per l’ex senatore. «È naturale e conseguente» ha detto il ministro all’Ansa. «Dell’Utri è stato rintracciato a Beirut dalla polizia libanese che ora è in contatto con la polizia italiana in ottemperanza con il mandato di cattura internazionale - ha detto ancora Alfano È ora in corso una procedura che diventerà estradizionale».
«MI sto curando, non fuggo»
La notizia arriva il giorno il mandato d’arresto emanato dalla corte d’appello di Palermo. L’ex senatore, condannato in appello per concorso in associazione mafiosa, era da venerdì ufficialmente latitante a pochi giorni dal giudizio della sentenza definitiva in Cassazione. Aveva fatto sapere - attraverso un comunicato - di non essere «in fuga» ma di essere andato all’estero per curarsi.
Marcello Dell’UtriMarcello Dell’Utri
2 - E MARCELLO DISSE: "SILVIO? ALTRA STORIA"
Beatrice Borromeo per il "Fatto quotidiano"
Sono depresso. È una cosa davvero terribile, non mi è mai capitato di sentirmi così. Alla mia età, sto pensando per la prima volta di andare in analisi": è con questo sms che Marcello Dell’Utri, lo scorso 4 marzo, ha declinato un’intervista in programma da qualche tempo. "Davvero non me la sento di parlare, non riuscirei a dire niente, per ora".
APPENA UNA SETTIMANA prima, all’hotel Eden di Roma, davanti a un bicchiere di vino rosso ("Uno solo, perché mi hanno appena operato al cuore"), l’ex senatore di Forza Italia pareva scoraggiato come mai prima. Seduto in una saletta vuota, aperta solo per lui che lì è di casa, pareva disinteressato sia agli sviluppi politici (al premier ho mandato un messaggino con su scritto: "Caro Renzi, non ti esaltare, è ancora tutto da dimostrare"), sia alle sorti processuali di Silvio Berlusconi ("Lo vedo benissimo, in fondo lui ha davanti solo un anno e nemmeno in carcere. Non mi preoccupa, è in forma").
Marcello Dell’UtriMarcello Dell’Utri
E non trovava nessun conforto nemmeno dal suo destino che s’incrocia con quello dell’ex Cavaliere, 20 anni esatti dopo la nascita del loro partito: "Eh già, è curioso. Ma io e Berlusconi non siamo proprio nella stessa situazione". Non lo sono: martedì prossimo la Corte di Cassazione potrebbe confermare la condanna a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e Dell’Utri, da ieri - quando è scattato l’ordine di arresto - è irraggiungibile.
L’unico messaggio l’ha mandato all’Ansa dicendo che non ha intenzione di sottrarsi alla giustizia, ma senza specificare dove si trova: "Tengo a precisare che non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione, e che trovandomi in condizioni di salute precaria - ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica - sto effettuando ulteriori esami e controlli". "Non so dove sia, leggo dai giornali che potrebbe essere in Libano o in Guinea Bissau - spiega al telefono il suo avvocato, Pino di Peri - quel che è certo è che Dell’Utri si trova in una situazione difficilissima. Per uno come lui scappare, se è vero che l’ha fatto, dev’essere stata una scelta drammatica, frutto di un violento conflitto interiore. Anche perché mantenere lo stato di latitanza è davvero complesso".
Non è la prima volta, però, che si ipotizza la fuga del braccio destro di Berlusconi. La sua villa da favola a Santo Domingo, nonostante i tentativi di convincere la stampa del contrario ("Io qui ci sto bene due settimane, dopo mi rompo i coglioni, non c’è niente da fare"), pareva il rifugio perfetto. Ma poi l’allora pm Antonio Ingroia trovò un accordo con le autorità locali e Dell’Utri spiegò al Fatto che quell’opzione non era più praticabile: "Mi hanno già sequestrato la casa e bloccato i conti in banca. Verrei sicuramente estradato", disse.
E se il viaggio nella Repubblica Dominicana proprio alla vigilia dell’ultima sentenza di Cassazione - quella del marzo 2012 che poi rinviò il processo alla Corte d’appello - era soltanto, sostenne lui, "forse la mia ultima vacanza" - oggi tra i suoi amici c’è chi giura (ma senza prove) che Dell’Utri è tornato lì. Proprio nel 2012, poi, alcune fonti avevano informato il Fatto che l’ex senatore aveva confessato ai fedelissimi che, in caso di sentenza di condanna, aveva intenzione di fuggire.
Ma a noi raccontò un’altra storia, simile a quella affidata ieri all’Ansa: "È assolutamente falso. Sono a Roma e il 9 marzo volerò a Palermo per essere presente all’udienza. Non scapperei mai. Spero di non finire in carcere, ma se così fosse reggerei il colpo. Sono abituato a cose forti, non ho paura". D’altronde Dell’Utri è imprevedibile: il giorno prima di raccontare al nostro giornale che la sua carriera politica era finita perché lo scudo parlamentare non gli serviva più, dava ancora interviste ad altri quotidiani ribadendo: "Da senatore non mi dimetterò mai".
Marcello Dell’UtriMarcello Dell’Utri
E ora che il suo telefono squilla a vuoto, proprio come quello del figlio Marco e della moglie Miranda (che da tempo vive a New York), ci si prepara all’ennesimo colpo di scena. Spiega l’avvocato Di Peri che il motivo per cui la Corte d’appello rifiutò la richiesta di custodia cautelare in carcere domandata dal procuratore generale, che temeva la sua fuga, era questa: "Il mio cliente si è presentato a ogni singola udienza, ha sempre dichiarato che sarebbe rimasto in Italia e che avrebbe rispettato la sentenza. Non ha mai fornito elementi per convincere i giudici del contrario. Fino a ora".
Potrebbe essere la verità oppure una strategia raffinata che l’ha reso libero di volare all’estero a pochissimi giorni dalla pronuncia di Cassazione, e che, se davvero Dell’Utri vivrà da latitante, deve aver richiesto tempo e pianificazione. A proposito, all’hotel Eden, mentre beveva il suo vino, lo sguardo di Dell’Utri cadeva in continuazione su un volume appoggiato sul tavolo: "Devo presentarlo tra qualche giorno in teatro. Quante volte l’ho letto... E ogni volta lo trovo sempre più interessante". Era Il Principe di Machiavelli.