Francesco Viviano e Alessandro Ziniti, la Repubblica 12/4/2014, 12 aprile 2014
DELL’UTRI SCAPPA ALL’ESTERO PER EVITARE SETTE ANNI DI CARCERE
“La casa, l’appoggio giusto, gente sul posto che ti dà una mano, ben sistemati”, Marcello Dell’Utri ha cominciato a cercarli almeno sei mesi fa. La villa di Santo Domingo non era più un posto sicuro dove rifugiarsi in vista della sentenza della Cassazione che potrebbe fargli passare i prossimi sette anni in carcere. L’idea giusta per sottrarsi all’ordine di cattura, gliel’avrebbe data un amico al quale, come ama ripetere, lo lega «solo la comune passione per l’arte», Gennaro Mokbel, imprenditore romano coinvolto nell’inchiesta su Finmeccanica con grossi agganci con la banda della Magliana. Sarebbe stato lui a indirizzare Dell’Utri verso il Libano, a metterlo in contatto con un politico libanese, ex presidente e candidato alle prossime elezioni (è l’identikit di Michel Aoun). Ma l’ex senatore ha lasciato tracce, facendosi notare in business class il 24 marzo su un volo Parigi-Beirut con un grosso bagaglio al seguito e con un cellulare che la Dia ha localizzato nella capitale libanese il 3 aprile.
Da ieri Dell’Utri è ufficialmente latitante. I giudici della Corte d’appello hanno firmato il decreto e un mandato d’arresto europeo dopo che la Dia ha depositato una nota di “vane ricerche”. Irreperibile per due giorni a tutti i domicili conosciuti. A casa la moglie ha risposto: «Non so dov’è mio marito». Identica risposta del figlio Marco e gli inviti orali a farlo presentare in un ufficio di polizia sono caduti nel vuoto. Dov’è finito Marcello Dell’Utri? Gli inquirenti sono convinti che sia in Libano e hanno già esteso all’estero le ricerche senza credere una parola di quelle che l’ex senatore ha diffuso per il tramite del suo legale Giuseppe Di Peri: «Non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Corte di Cassazione; sono in condizioni di salute precaria, ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica e sto effettuando ulteriori esami e controlli».
Già ai primi di novembre Dell’Utri aveva fretta. È il fratello gemello Alberto, inconsapevolmente, a rivelare le loro mosse parlando con l’amico Vincenzo Mancuso nel ristorante “Assunta Madre” a Roma, pieno di microspie. «Qua bisogna accelerare i tempi, fin quando che Marcello... se poi non ce la fa?». Dell’Utri però ha già un asso nella manica. Oltre al passaporto italiano se n’è procurato anche un altro, diplomatico, concessogli da “amici della Guinea Bissau che lo hanno preso in seria considerazione e gli hanno aperto le porte”.
Sebbene libero, visto che al momento della condanna la Corte d’appello aveva rigettato la richiesta di arresto formulata dalla Procura generale per pericolo di fuga, Dell’Utri sapeva che prassi vuole che imputati condannati in attesa di sentenza definitiva vengano tenuti discretamente sotto controllo. Ancora dalla conversazione tra suo fratello Alberto e Vincenzo Mancuso gli investigatori apprendono l’ipotetico itinerario: «Se io fossi Marcello prenderei un volo diretto per Tel Aviv... e poi da là se è possibile andarci in macchina è meglio, anche se si fa due ore e
mezza... aereo no, perché il timbro all’aeroporto, perché il passaporto a lui rimane... non bisogna lasciare traccia, io non conosco le distanze, però non ci deve arrivare con l’aereo». Poi l’indicazione decisiva: «Il programma è quello di andarsene in Libano, perché lì è una città dove Marcello ci starebbe bene, perché lui c’è già stato, la conosce, c’è un grande fermento culturale e per lui andrebbe bene».
Passano più di tre mesi prima che l’intercettazione effettuata nell’ambito di un’altra inchiesta della Procura di Roma arrivi sul tavolo del sostituto procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio che, a gennaio, era già stato messo sull’avviso dalla squadra mobile di Milano che lo aveva informato della difficoltà di controllare Dell’Utri in possesso di più di un passaporto. A quel punto, il 4 marzo, i pm di Palermo scelgono una linea soft: non la richiesta di arresto ma solo quella di divieto d’espatrio. Il 10 marzo la Corte d’appello la respinge spiegando che per gli imputati di mafia il divieto d’espatrio non è previsto dal codice: arresto o niente. In Procura decidono di ricorrere al Riesame. In quei giorni Dell’Utri è ancora in Italia: viene visto un paio di volte in ristoranti vicino Montecitorio, ma dal 20 nessuno lo vede più. Certamente non gli investigatori della Dia che non lo incrociano neanche una volta, in nessuno dei suoi domicili, né a Roma, né a Milano. Il 3 aprile, alla vigilia del nuovo “no” dei giudici al divieto d’espatrio, la Dia capta il telefonino di Dell’Utri nei pressi di Beirut. Lunedì scorso la Procura — ormai alle strette — chiede l’arresto e questa volta la richiesta è accolta. Ma Dell’Utri è già lontano. Un problema di salute anche di uno degli avvocati potrebbe indurre la difesa a chiedere uno slittamento dell’udienza in Cassazione.