Massimo Numa, La Stampa 12/4/2014, 12 aprile 2014
SEAT PAGINE GIALLE, IPOTESI INSIDER TRADING
La situazione è drammatica. O tragica. Oltre 300 mila azionisti di Seat Pagine Gialle hanno visto polverizzare i loro investimenti nell’arco di 10 anni. Seguono altri colpi mortali, vedi la trasformazione da obbligazionisti della società Lighthouse in azionisti Seat nel 2011-2012. Oggi, pur essendo azionisti, il capitale è stato distrutto. Adesso aspettano una risposta (anche) dalla procura di Torino. Il pm Valerio Longi ha aperto un fascicolo in seguito a un esposto presentato dall’avvocato di Roma Ugo Scuro.
A dare il colpo di grazia è la clamorosa scoperta fatta dal nuovo management Seat a dicembre 2012: il valore di una posta in bilancio, i così detti beni «intangibili» da 2 miliardi di euro valevano semplicemente zero euro. Eppure il bilancio era stato oggetto di infinite verifiche dei più importanti consulenti sulla piazza finanziaria nazionale e internazionale,amministratori e sindaci. Gente che ha incassato parcelle da decine milioni di euro e che, a quanto pare, ha sbagliato tutto. Scatta la richiesta di concordato. Il 4 marzo 2014 l’Assemblea Seat decide che gli obbligazionisti diventeranno azionisti di maggioranza. Per chi ha perso tutto non basteranno secoli di rialzi a ripianare le perdite. Un concordato preventivo che taglia fuori da ogni ipotesi di risarcimento i risparmiatori. A meno che non risulti che, nelle more delle operazioni, «qualcuno» non fosse a conoscenza che quella posta in bilancio, pilastro della ristrutturazione avvenuta nel 2012 valesse zero e non abbia mandato al massacro - scientemente - la società e di conseguenza i 300 mila azionisti rimasti con le tasche vuote e la vita, in qualche caso, anche distrutta. Il pm Valerio Longi si chiude nel riserbo: «Stiamo lavorando - dice il magistrato - e di più non si può dire. È una materia complessa, ci vuole il suo tempo per individuare eventuali titoli di reato. Vedremo».
Decine di vittime di questa follia finanziaria con i risparmi di una vita distrutti non si danno pace e hanno fatto denunce alla procura di Milano (anche Confconsumatori) in cui si ipotizza il reato di insider trading, altri si interrogano - con un’angoscia crescente - sui retroscena dell’operazione. Il destino delle obbligazioni, tanto per esempio della Lighthouse (che si fonde con Seat), valore nominale di milioni di euro, trasformate in azioni a seguito della operazione proposta dal comitato di obbligazionisti, con il supporto dei manager della Seat nel 2011-2012. L’incipit di una disfatta.
Spiega uno dei risparmiatori rimasti senza un cent: «Fra dicembre 2012 e gennaio 2013 come per incanto tutti i fondi speculativi vendevano a razzo le azioni Seat. In questa fuga si potrebbe intravedere insider trading? La Consob indaga? Ha indagato? Vorremmo saperlo».
Ancora: «Ora il management afferma di ricoprire quelle cariche per spirito di servizio. A chi solleva l’ipotesi di un conflitto di interesse tra chi guidava i fondi bruciati nell’operazione convertendo, poi entrato nel vertice di Seat, la risposta sarebbe stata evasiva. Anche perchè tra i neo azionisti, con relative ingenti perdite del proprio capitale, ci sono anche i nuovi dirigenti...».
L’esposto entra nei dettagli: «Alla base della ristrutturazione avvenuta nel 2012 c’è un Comitato che chiede che le obbligazioni siano convertite in azioni, quasi un aumento di capitale».
Disperazione, rabbia e anche fatalismo: «Così, dalla azione di responsabilità contro ex amministratori e sindaci ben poco si otterrà, ma a beneficiarne non saranno i piccoli soci diluiti al 0,25% ma i nuovi azionisti. Seat non agirà contro i fondi che hanno percepito il maxi dividendo nel 2004. Perché? Sono gli unici che potrebbero avere qualcosa di valore se avessero responsabilità e ai poveri azionisti non resta che rivolgersi ai pm». Sperando riescano a dimostrare l’avvenuto insider trading su tutta l’operazione Seat. Appello finale. Cercasi «gola profonda» decisa ad aiutare la giustizia.
G. FORNOVO - G. PAOLUCCI
Il “gioiellino” spolpato
dalla finanza cattiva
Dalla privatizzazione a oggi, ecco chi ne ha approfittato
L. Fornovo E G. Paolucci
Questa è la storia di come la finanza cattiva abbia spolpato un’azienda sana e ricca. Tanto ricca che per spolparla e ridurla sull’orlo del baratro, quella finanza cattiva e predatrice ci ha messo un bel po’. Era un gioiellino, Seat Pagine Gialle. Con gli elenchi telefonici guadagnava un sacco di soldi: 50 centesimi ogni euro incassato, per anni. Anche quando i fondi d’investimento compravano e rivendevano il controllo, caricando ogni volta di debiti il gioiellino, Seat continuava a guadagnare. Anche quando quei debiti sono diventati insostenibili, con le casse svuotate per pagare interessi e dividendi straordinari, nel suo «core business» continuava a guadagnare. Ma quei debiti erano diventati troppi. E per anni Seat ha lottato per sopravvivere. I guai - anche se non subito - iniziano con la storia «moderna» di Seat, quando nel 1997 il Tesoro, nell’ambito della privatizzazione della Stet, vende il 61,27% della società per 1580 miliardi delle vecchie lire alla finanziaria lussemburghese Otto che spende 450 miliardi di capitale proprio e il resto sono debiti. Dietro la Otto ci sono i fondi-locusta come Investitori Associati, Bc Partners e poi Comit, De Agostini e con quote minori Bain Capital, Abn Amro e Sofipa. Seat è un ottimo affare, perché nel 1999 i soci incassano un dividendo di oltre 2 mila miliardi di lire e lo stesso anno vendono sul mercato l’11% per altri 940 miliardi. Nel 2000, la gallina dalle uova d’oro verso un altro cedolone da 1,1 miliardi, 600 dei quali vanno alla Otto. Sono gli anni della new economy e Seat, con un solido business di carta e mirabolanti prospettive su internet, vola in Borsa. La società fa gola a molti piccoli azionisti, ma anche a qualche pesce grosso. La Telecom di Colaninno lancia un’Opa da 13 mila miliardi di lire per fonderla con Tin.it. Gli azionisti che avevano comprato dallo Stato tre anni prima per un valore inferiore di circa cinque volte - più le cedole incassate - ringraziano e se ne vanno.
Passano tre anni e Telecom rivende per 3,7 miliardi di euro. Nel frattempo è scoppiata la bolla della new economy e le quotazioni di Seat non rivedranno più i valori «stellari» del 2000. Ma i fondi -locusta ci provano ancora: Investitori Associati e Bc, a cui si aggiungono Permira e Cvc diventano di nuovo azionisti. La società si trova con circa 3,5 miliardi di debiti, dei quali oltre la metà frutto della acquisizione fatta a debito nel 1997 e «riversata» sulla società. Però i fondi decidono di distribuire una nuova maxicedola. Stavolta 3,6 miliardi di euro. Poi collocano sul mercato il 12% della società e incassano altri 800 milioni. A fine anno i debiti sono diventati 4 miliardi. A finanziare Seat è la Royal Bank of Scotland e gli incauti obbligazionisti che sottoscrivono il prestito obbligazionario Lighthouse di 1,3 miliardi remunerato all’ 8%, ma senza la prelazione sui beni della società in caso di fallimento.
Seat continua a fare soldi con la carta e internet: le pagine gialle arrivano in tutte le case italiane. Il margine operativo è sempre alto: il 50%. Per ogni euro incassato, più di 50 centesimi sono di guadagni lordi. L’ad dell’epoca, Luca Majocchi, presenta tre piani industriali tra il 2004 e il 2007 ma non tutti funzionano. La società cresce all’estero ma gli obiettivi 2007 non sono stati centrati e Seat rivede al ribasso le stime per il 2008 e annuncia che non darà dividendi. S&P mette sotto esame il debito e a fine anno, quando viene lanciato un aumento di capitale da 200 milioni, Cvc se ne va. Nel 2009 Majocchi viene accompagnato alla porta e arriva Alberto Cappellini, che in breve tempo taglia i costi di oltre 100 milioni, chiude le operazioni in Turchia, rimette in piedi la società. Il problema è il debito di 2,6 miliardi. Per raffreddare la pressione delle banche viene lanciato il costoso prestito Lighthouse senior da 700 milioni, a un tasso del 10% e scadenza 2017. Verso la fine del 2011 Seat getta la spugna: non paga le cedole agli obbligazionisti per «default tecnico» e il rating precipita. Di lì in avanti è un’inesorabile agonia: nel 2013 c’è il ricorso al concordato preventivo, una sorta di amministrazione controllata. E il 4 marzo l’assemblea di Seat prende una decisione clamorosa: gli obbligazioni diventeranno azionisti di maggioranza. E il gioiellino della finanza sembra rovinato per sempre.