Riccardo Arena, La Stampa 12/4/2014, 12 aprile 2014
DELL’UTRI ALL’ESTERO: NON SONO SCAPPATO
Si indigna Antonio Ingroia, l’ex pm del processo, ormai consolidato leader politico della lista Tsipras in Sicilia. Si indigna Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, il magistrato ucciso da Cosa nostra. Marcello Dell’Utri è scappato e quella anticipata dalla Stampa di ieri appare come la cronaca di una fuga annunciata, annunciatissima da tanti, troppi segnali. Marcello Dell’Utri è latitante e - dice il vicequestore Borsellino - si tratta del «referente politico (e forse non solo politico) degli assassini di mio padre, i fratelli Graviano. Purtroppo la giustizia arriva per queste persone sempre in ritardo e alla fine, in un modo o nell’altro, non pagano mai per il male che hanno fatto».
Parole durissime, che rivelano come la ventennale vicenda giudiziaria del co-fondatore di Forza Italia non abbia consumato solo l’imputato eccellente, pronto, ieri, a ribadire in un comunicato «di avere già scontato una grave pena». Sì, perché dal suo rifugio misterioso - probabilmente il Libano, dove tre giorni fa ha pagato il conto dell’albergo in cui era ospitato - Dell’Utri ieri si è fatto sentire. Ha affidato ai suoi avvocati, Giuseppe Di Peri e Massimo Krogh, una nota in cui sostiene di non volersi «sottrarre al risultato processuale della prossima sentenza della Cassazione», ma parla anche di «condizioni di salute precaria», di «un intervento di angioplastica subito qualche settimana fa» e a causa del quale sta «effettuando ulteriori esami e controlli». La «aberrante richiesta di preventiva custodia cautelare» lo coglie dunque mentre si trova «già all’estero per il periodo di cura e riposo» e rimane «tuttavia in attesa fiduciosa» dell’esito del processo. Che poi tanto fiduciosa non dev’essere, perché le cure all’estero le ha organizzate giusto nei giorni (l’udienza sarà martedì) in cui la Suprema corte dovrà decidere se confermare o meno la condanna a sette anni per concorso in associazione mafiosa.
Il pagamento dell’albergo con carta di credito è stata forse un’inevitabile defaillance di una latitanza finora quasi perfetta: perché è stato solo così che la Dia lo ha localizzato a Beirut. Paradossalmente, infatti, il condannato eccellente non poteva - per la legge - essere intercettato, perché non gli veniva attribuito alcun nuovo reato. Il 24 marzo l’ex senatore del Pdl era stato visto su un volo da Parigi a Beirut, il 3 aprile era stato localizzato il suo cellulare, sempre nel turbolento Paese mediorientale.
Inseguito pure da un mandato di cattura europeo, quasi pronto un ordine di arresto internazionale, Dell’Utri ha approfittato della blanda richiesta (il divieto di espatrio) presentata inizialmente dal pg Luigi Patronaggio. Una richiesta non accolta dai giudici per motivi tecnici: per mafia si va solo in carcere, ha scritto la terza sezione della Corte d’appello, dando un indiretto suggerimento, visto che il collegio presieduto da Raimondo Loforti, di propria iniziativa, non poteva emettere provvedimenti più gravi di quelli richiesti. Ma l’impugnazione della decisione ha portato alla «discovery» delle carte, in cui il fratello gemello di Dell’Utri, Alberto, era stato intercettato dalla Procura di Roma, mentre rivelava i possibili rifugi dell’ex delfino di Silvio Berlusconi. E da quel momento, dalla seconda metà del mese scorso, come ieri ha sottolineato la Dia, l’imputato eccellente ha iniziato ad eclissarsi.
Il Libano era solo una delle possibili opzioni, assieme alla Guinea Bissau. Ma c’è anche la terza soluzione, quella della Repubblica Dominicana, di cui l’imputato è cittadino e che è un altro Stato non legato da accordi di estradizione con l’Italia. La Questura di Milano aveva segnalato già a fine gennaio il possesso di più passaporti, anche diplomatici, da parte dell’ex manager di Publitalia: e anche se la Farnesina smentisce che ne avesse di italiani, ne aveva comunque troppi.