Grazia Longo, La Stampa 12/4/2014, 12 aprile 2014
«MIO FRATELLO NON È UN LATITANTE, È UN EVASO»
«Un gemello è più di un fratello». Alberto Dell’Utri, 73 anni, non solo è la fotocopia identica di Marcello, ma anche il suo principale difensore. Anche a scapito dell’evidenza.
«Latitante? No, mio fratello non è un latitante. È un evaso. Perché negli ultimi 20 anni è stato come in carcere, dietro le sbarre di accuse assurde come quelle di connivenza mafiosa. Accuse lontane anni luce dalla sua mentalità».
Eppure la condanna di concorso esterno in associazione mafiosa è assai circostanziata.
«Se fosse stato solo condannato sarebbe stato persino contento, invece è un perseguitato».
E tutte le prove contro di lui?
«Non ci sono prove. Ci sono solo racconti di pentiti che hanno sentito altri pentiti di contatti tra mio fratello e ambienti mafiosi. Non esiste alcuna prova provata di contatti reali tra mio fratello e la mafia».
Perché è scappato all’estero? Teme la condanna definitiva?
«Non è scappato, è andato in Libano per affari, per il commercio dei cedri. Poi ha avuto problemi di salute e quindi è stato costretto a rimanere fuori per curarsi».
Attualmente è ancora in Libano?
«Non lo so. Era a Beirut fino a martedì 8 aprile, ultimo giorno in cui l’ho sentito. Vede? (mostra il display del telefonino in cui risulta la chiamata dell’8 aprile, ndr). Non le racconto bugie, quel giorno mi ha detto che era a Beirut, poi non l’ho più sentito».
Neppure oggi? (ieri per chi legge, ndr)
«No, perché non risponde al telefonino. Ascolti adesso provo davanti a lei (digita il numero, ma il telefono squilla a vuoto)».
Forse non le vuole parlare per via di quella intercettazione in cui lei confidava al suo amico Vincenzo Mancuso che suo fratello sarebbe andato in Guinea Bissau o in Libano perché lì avrebbe potuto avere facilmente un passaporto diplomatico?
«Non credo, anche perché io parlavo di quei Paesi lì come luoghi in cui è meglio trasferirsi, a differenza del nostro Paese ormai invivibile».
Crede che suo fratello rientrerà prima di martedì prossimo?
«Non saprei. A me, martedì scorso, ha detto di sì, che sarebbe tornato. Ma tanto non cambia niente, perché qualsiasi sia l’esito della sentenza gli hanno comunque rovinato la vita».
Suo fratello rischia di trovarsi nella stessa condizione dell’ex premier Silvio Berlusconi, con una condanna esecutiva. Come sono i rapporti tra loro?
«Non è mai cambiato niente, c’è ancora tanto affetto. Condividono lo stesso destino giudiziario perché sono stati entrambi castigati perché venti anni fa si sono permessi di toccare i fili del potere. Si sono permessi di prendere il posto di chi governava allora, di fare quello che non era riuscito a nessuno prima di loro due. E non gli è stato perdonato. E poi mio fratello ha fatto tante cose interessanti con Berlusconi, lo ha aiutato a crescere anche dal punto di vista finanziario, ha creato delle aziende».
Secondo i giudici lo avrebbe aiutato molto anche per i voti, come mediatore del patto con la mafia.
«Non è vero, ma pensi un po’: tutti i milioni di italiani che hanno portato su Forza Italia sono mica mafiosi? Non è nella mentalità di mio fratello fare affari illegali. Chi lo conosce lo sa, al massimo è stato imprudente».
Imprudente?
«Sì, a portare ad Arcore Vittorio Mangano che poi risultò legato alla mafia. Ecco, mio fratello potrebbe solo essere condannato per imprudenza».
Le indagini per la verità rivelano altro.
«Perché mio fratello e Berlusconi davano fastidio. Pensi che quando ancora lavorava in Publitalia mio fratello portava i migliori clienti a Siracusa per visitare il meraviglioso teatro greco e per questo doveva atterrare a Catania. Beh, secondo i giudici andava a Catania per incontrare Nitto Santapaola e altri mafiosi. Ma Marcello non sa neppure chi siano».
A suo fratello manca la politica?
«No, la politica non è la sua passione, mentre gli piace crescere i giovani, formare la coscienza delle persone. Gli piace organizzare. E avrebbe meritato un ruolo istituzionale».