Pezzi del Corsera, 11 aprile 2014
DAL NOSTRO INVIATOPALERMO ?
Hanno avuto ragione, i difensori di Marcello Dell’Utri, a suggerire al loro assistito di farsi vedere dai giudici alla lettura della sentenza. Perché la sua presenza in aula al momento della nuova condanna per mafia è uno dei motivi che hanno convinto la Corte d’Appello di Palermo a negare la richiesta di arresto dell’ex senatore. «Va escluso il pericolo di fuga in relazione al comportamento dell’imputato che ha partecipato alle udienze dibattimentali, compresa quella odierna ? hanno scritto i magistrati nel provvedimento di rigetto ?, e non ha mai mostrato di volersi sottrarre all’esecuzione della pena». Tanto più ora che non ha più l’immunità parlamentare a proteggerlo, e dunque ben poteva temere l’arresto. Il sostituto procuratore generale riteneva (e probabilmente ritiene ancora, sebbene non abbia ancora deciso se rivolgersi o meno al tribunale del riesame) il contrario. Ricordando, con tanto di note redatte dalla questura di Milano, i viaggi all’estero di Dell’Utri in Spagna e Centro America alla vigilia del verdetto della Cassazione che un anno fa poteva spalancargli le porte della galera. Quel che probabilmente tentò nel 2012 potrebbe rifare adesso, in vista del nuovo giudizio definitivo previsto, a occhio e croce, per l’inizio del prossimo anno. Perciò il rappresentante dell’accusa suggeriva la carcerazione preventiva. Ma i giudici hanno risposto no. «Si tratta di notizie imprecise e generiche, apprese dalla polizia da fonti confidenziali ? ha replicato la Corte d’Appello ?, che non dimostrano la volontà di un allontanamento definitivo». Ma il pubblico ministero aveva sottolineato anche un altro motivo per arrestare l’ex senatore: la possibile reiterazione del reato di concorso in associazione mafiosa, giacché dal suo punto di vista Marcello Dell’Utri non ha mai smesso di essere legato a Cosa nostra. Anche questo argomento, però, è stato respinto dai tre giudici che hanno condannato l’imputato. L’ultima condotta dimostrativa di colpevolezza, hanno scritto, risale al 1992, come stabilito dalla Cassazione nel precedente verdetto. E il fatto che a partire da quella data non siano emerse «condotte penalmente rilevanti o rapporti significativi» con esponenti mafiosi, «costituisce elemento concreto per escludere la sussistenza dell’esigenza cautelare». Infine, dopo due giudizi di appello sostanzialmente conformi, non c’è pericolo di «inquinamento probatorio». Così, nonostante la terza condanna di fila, l’imputato Dell’Utri resta libero. In attesa di quella definitiva o ? come lui chiederà e si augura ? di un nuovo annullamento. Oppure della prescrizione, che scatterà comunque nel 2014. La decisione sottoscritta dai tre giudici della Corte d’Appello Raimondo Loforti, Daniela Troja e Mario Conte è arrivata già nella serata di lunedì, poco meno di un’ora dopo l’istanza del sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio. Ma solo ieri mattina è stata comunicata ai difensori, dopo che Dell’Utri aveva lasciato l’albergo palermitano ed era salito su un volo diretto a Milano. «Hanno rigettato la richiesta del mio arresto? Beh, che dire, l’ammalato prende un brodino», ha commentato l’ex senatore quando l’hanno avvertito, rifugiandosi in una delle battute con le quali cerca di sdrammatizzare la vicenda giudiziaria nella quale è coinvolto da quasi vent’anni e che si sta avvicinando al traguardo finale. Senza che, per adesso, sia riuscito a uscirne scagionato. Anzi. Insieme all’ultima condanna a sette anni di carcere, l’altra sera, s’era materializzato anche lo spettro del carcere preventivo. Che lui cercava di allontanare, intorno alla mezzanotte, assaporando un sigaro cubano e un bicchiere di rosso nella penombra del bar dell’albergo. «Mi parrebbe una misura abnorme, ma in questo Paese di cose abnormi ne capitano parecchie», commentava mostrandosi rassegnato e teso allo stesso momento. I giudici avevano già deliberato di non arrestarlo, ma lui ancora non lo sapeva. RIPRODUZIONE RISERVATA
Bianconi Giovanni
Pagina 21
(27 marzo 2013) - Corriere della Sera
Il politico sotto accusa
L’attesa dell’ex senatore nella hall. «Romanzo criminale»
«Già prima della Cassazione avevo la valigia pronta per ogni evenienza, piena di libri. Nel caso peggiore avrei bussato io al portone di Rebibbia» L’avvocato «L’imputato è stato presente alle udienze, questo spazza via il dubbio sulla volontà di fuga»
PALERMO ? Diciamo che se l’aspettava un’altra condanna Marcello Dell’Utri. Ma non si aspettava di vedere arrivare ieri sera alle 20 il suo avvocato Giuseppe Di Peri trafelato nella hall dell’Hotel delle Palme con la notizia della richiesta di arresto presentata dalla Procura generale alla Corte di appello. La stessa che due ore prima nell’aula bunker di Pagliarelli aveva spento ogni ironia sul volto dell’uomo accusato di aver fatto per trent’anni da intermediario fra Cosa nostra e Silvio Berlusconi, un occhio arrossato, in mattinata occasione di battute sulla congiuntivite presa «per solidarietà» col Grande Capo. Burle cancellate nella serata più nera di Palermo per il fondatore di Forza Italia che vagava disorientato nella hall di questo albergo un tempo tratteggiato come il santuario degli intrighi siciliani: «Non parlo con nessuno. E che devo fare? Attendo. Avvocato, parli lei...».Era tornato mogio dall’aula in cui il sostituto pg Luigi Patronaggio firmava a sua insaputa la richiesta. Mogio ma non abbattuto: «Stavo in aula come lo studente alla maturità, in attesa del giudizio. Speravo. Ma è arrivato il verdetto che accetto. Perché questa è una telenovela senza fine, già approdata in Cassazione, poi rinviata di nuovo alla Corte di appello di Palermo con un fascio di carte pronto per tornare un’altra volta a Roma, sempre in Cassazione, perché è chiaro che io proporrò ricorso...».Come d’altronde avrebbe fatto Patronaggio in caso di assoluzione, adesso pronto all’arresto immediato ancora prima del ricorso alla Suprema Corte. Ed è questo che porta l’ex braccio destro del Cavaliere a riflettere sull’altalena giudiziaria: «Io non ho introdotto la mafia a Milano, ma un signore chiamato Vittorio Mangano che all’epoca non aveva alcuna pendenza. Un eroe? Il "mio eroe", come nei romanzi russi... Dire che ho ancora fiducia nella giustizia sarebbe una parola grossa. Del resto le cose non le posso cambiare io. Aspetto le prossime puntate di questo romanzo criminale che non poteva finire qui. Non sono contento. Non posso esserlo. Ripeto, non mi resta che sperare nella Cassazione. Del resto la vita va avanti, c’è la trattativa e il resto... Il romanzo continua».Un «romanzo» che lo ha spesso portato a liquidare le accuse dei magistrati come «minchiate», a ridicolizzare accuse avvalorate da due Corti di appello: «Non vede che ricicciano roba vecchia e ripropongono sempre la stessa storia di incontri mai esistiti fra me, qualche mafioso e il Cavaliere?».Convinto di sentire echeggiare nelle sentenze quelle che definisce infamie: «Ci rendiamo conto che si parla sempre di cose vecchie di 37 anni? Uno come fa a difendersi da accuse ricostruite dopo una vita?».Sull’ipotesi arresto preferisce lasciare la parola a Di Peri, sorpreso: «Ma non vedete che l’imputato è stato presente alle udienze, compresa l’ultima e che è tornato in aula per ascoltare la sentenza? La sua presenza esclude ogni ipotetica esigenza cautelativa, spazza via il dubbio sulla possibilità che il senatore si sottragga...».Un po’ fatalista, Dell’Utri ricorda che era pronto a tutto anche l’anno scorso quando la Cassazione annullò la prima condanna a 7 anni e rinviò il processo a Palermo: «Avevo una valigia pronta per ogni evenienza, piena di libri... Nel caso peggiore, avrei bussato al portone di Rebibbia. Adesso spero che la Suprema Corte ritornerà a cassare questa sentenza con cui si ripropone l’identico impianto del primo giudizio, gli stessi 7 anni, le stesse accuse fuori dal mondo...».La più pesante Dell’Utri ha provato a contestarla anche ieri mattina quando Patronaggio lo ha descritto come il protagonista di una intera carriera segnata dal rapporto con la mafia: «Falso. Ho fatto male a non convocare come testi centinaia di imprenditori in rapporti con me ai tempi di Publitalia, prova di una carriera priva di quelle macchie... È vero che Berlusconi è stato mio benefattore e amico, ma anch’io ho fatto tanto per le aziende Fininvest. Se io avessi proseguito nelle imprese invece di entrare in politica oggi sarei un signore ricco...».Ricordi, rimpianti e, prima del funesto verdetto, ancora qualche battuta sul Gran Capo consegnata a una cronista insolente, decisa a infierire sul «buon Silvio» che a 76 anni continua con i lifting: «Ma quello è un vero torello, lo è sempre stato. È di una vitalità incredibile». E sulla fidanzata-nipote Francesca Pascale via ogni dubbio: «Sono davvero fidanzati».Poi le polemiche rovesciate su Pietro Grasso e sulle prospettive del quadro politico: «Siamo nella m... ma, se accadesse, non capirei perché Grasso dovrebbe passare da Palazzo Madama all’eventuale tentativo di costituire un governo dopo Bersani». Inevitabile un riferimento al presidente del Senato nella Palermo di quarant’anni fa, come detto in passato: «Certo che mi conosce bene, dai tempi della Bacigalupo, la mia squadra dove lui giocava. Mai uno schizzo di fango...».Ma ogni flash s’annulla con la corsa dell’avvocato in albergo dove torna l’ipotesi prescrizione che potrebbe scattare fra un anno: «Se arrivasse direi come Andreotti e cioè "sempre meglio di niente"».RIPRODUZIONE RISERVATA
Cavallaro Felice
Pagina 19
(26 marzo 2013) - Corriere della Sera
Palermo Riconosciuto colpevole in Appello di concorso esterno in associazione mafiosa
Dell’Utri condannato a sette anni E l’accusa chiede l’arresto
In aula È la terza condanna di fila. E questa volta l’ex senatore era presente alla lettura del verdettoLa Procura generale: «Non è più parlamentare, può fuggire»
Condannato a sette anni di carcere per concorso in associazione mafiosa, l’ex senatore Marcello Dell’Utri deve andare in carcere: custodia cautelare per il concreto pericolo di fuga dell’imputato. L’ha chiesta il sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio ? secondo quanto hanno riferito ieri sera le agenzie di stampa ? dopo la sentenza del secondo processo d’appello che nel pomeriggio ha confermato quella pronunciata nel 2010: sette anni di galera, per l’appunto. Manca il verdetto della Cassazione, che dovrebbe arrivare entro la metà del 2014 per non far scattare la prescrizione. Ma nel frattempo Dell’Utri ? non più parlamentare, e dunque non più protetto dalla relativa immunità ? potrebbe divenire «uccel di bosco», e dunque il rappresentante dell’accusa ritiene più prudente spedirlo in cella. La decisione spetta ora ai giudici che ieri hanno dichiarato il cofondatore di Forza Italia, amico e stretto collaboratore di Silvio Berlusconi, colluso con Cosa nostra fino al 1992, l’anno delle stragi e dell’attacco frontale alle istituzioni. La pena inflitta è quella chiesta dal pubblico ministero, il quale nella sua requisitoria aveva spiegato che l’ex senatore, «forte delle sue amicizie tra gli uomini d’onore, fin dai primi anni Settanta ha permesso a Cosa nostra di contattare Silvio Berlusconi, di metterlo sotto protezione e di condizionare la sua attività imprenditoriale». Ad ascoltare la lettura del verdetto ? il terzo di colpevolezza di fila ? stavolta c’era anche l’imputato. Circostanza inedita, con la quale voleva forse far intendere di non avere intenzione di scappare e sottrarsi all’eventuale condanna definitiva. Perché dopo le vicende dello scorso anno il sospetto poteva venire. E infatti s’è puntualmente materializzato. A marzo 2012, poco prima della sentenza della Cassazione che se avesse confermato il primo appello avrebbe comportato l’arresto di Dell’Utri, facendolo decadere dalla carca di parlamentare, l’imputato vendette a Berlusconi la villa sul lago di Como, trasferendo un bel gruzzolo di milioni (intestato ai familiari) a Santo Domingo. Dove ha acquistato una casa. Preparava la latitanza? E adesso potrebbe coltivare lo stesso progetto?Nel dubbio il pm ha sollecitato gli stessi giudici a ordinare la carcerazione preventiva. La decisione potrebbe arrivare nelle prossime ore, ma è anche possibile che la Corte d’appello abbia già respinto la richiesta del pm. Dopo il verdetto, quando gli hanno chiesto se era sua intenzione proporre l’arresto dell’imputato, ha risposto sibillino: «Non è dato sapere». Poi, in serata, la notizia della sua richiesta. Senza però la decisione dei giudici. Nel merito, la sentenza di ieri ha riportato la situazione a tre anni fa. Allora, nel giugno 2010, un diverso collegio di giudici pronunciò un verdetto analogo, riducendo la pena di primo grado proprio perché erano stati considerati non provati i rapporti tra l’imputato e Cosa nostra successivi al ’92, quando Dell’Utri contribuì a fondare il partito col quale Berlusconi si presentò sulla scena politica e vinse le elezioni del 1994. Ma lo scorso anno la Cassazione stabilì che per un’altra parte quella decisione andava motivata meglio, e la rispedì al mittente. Ora si torna alla precedente casella della partita giudiziaria (giacché l’assoluzione post ’92 è ormai «irrevocabile») con un verdetto che ? commenta il pm Patronaggio ? «fa giustizia». Nell’ultima replica lo stesso pm aveva chiesto di non dichiarare già prescritti i reati, come invece avevano suggerito (in subordine rispetto all’assoluzione) gli avvocati difensori Krogh, Di Peri e Federico. «I cittadini devono sapere se Dell’Utri è stato un mestatore e un colluso, o la vittima di una giustizia malata», aveva detto il rappresentante dell’accusa. Ma la prescrizione scatterà comunque a metà del prossimo anno, se prima non arriverà una conferma della Cassazione. Se dalla accertata «collusione» tra l’imputato e la mafia è rimasta esclusa la stagione politica di Dell’Utri al fianco di Berlusconi (contestata ora nel processo sulla cosiddetta trattativa, in cui l’ex senatore è imputato) resta intatto l’impianto dell’accusa e dei precedenti verdetti sui rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra negli anni Settanta e Ottanta. Grazie ai quali Dell’Utri ha svolto il suo ruolo di «costante mediazione» tra Cosa nostra e il fondatore della Fininvest, su cui i capimafia avevano messo gli occhi. Tramite lui, come ha già sottolineato la Cassazione, fu stabilito un «accordo di reciproco interesse tra i boss mafiosi e l’imprenditore amico, Berlusconi».RIPRODUZIONE RISERVATA
Bianconi Giovanni
Pagina 18.19
(26 marzo 2013) - Corriere della Sera