Tim Small, GQ 11/4/2014, 11 aprile 2014
QUANDO ERAVAMO PULP
Un piccolo film che ha cambiato per sempre il mondo del cinema. Pulp Fiction, girato nel 1993, è costato 8 milioni di dollari. Ne ha incassati 215 solo al botteghino, ma ha avuto un’influenza culturale talmente definitiva da non poter essere raccontata in cifre.
Ha trasformato in superstar attori relativamente poco noti come Samuel L. Jackson e Uma Thurman. Ha resuscitato la carriera di John Travolta, giusto per darle un’iniezione di adrenalina nel cuore prima che lui la ri-uccidesse; e quella di Bruce Willis, chance che invece l’ex di Demi Moore non ha sprecato. Ha riportato di moda in un colpo solo sia il cinema indipendente (con un nuovo modello, per il quale anche attori famosi avrebbero lavorato in film “minori”) sia la stessa cultura pulp.
«Era dai tempi di Quarto potere di Orson Welles che un filmmaker cosi poco conosciuto non realizzava un film talmente importante da ridefinire l’arte del cinema», scrisse Jon Ronson su The Independent all’alba dell’uscita. D’altronde, è sul successo stratosferico di Pulp Fiction che Quentin Tarantino ha fondato la sua ricca carriera: solo sei anni prima, lavorava in un videonoleggio. Secondo Roger Ebert, è stato «il film più influente degli Anni 90». E che dire della musica? È stata una delle colonne sonore più vendute di sempre. È Pulp Fiction che per almeno dodici anni ci ha costretti ad ascoltare Son of a Preacher Man in ogni bar del Mediterraneo. «Any of you fucking pricks move, and I’ll execute every mother-fucking last one of you» (Se uno di voi teste di cazzo si muove, vi faccio fuori tutti figli di puttana), urlava Amanda Plummer. «Signora Mia Wallace», si sentiva Urna Thurman biascicare in un microfono prima di You Never Can Tell di Chuck Berry. Nel ’92 Tarantino aveva presentato Le iene al Sundance e il successo l’aveva catapultato nelle grazie di Hollywood. Ma, a differenza di tanti altri giovani registi “dal futuro assicurato”, non accettò progetti commerciali, non riscrisse altri film, non diresse vecchie idee in difficoltà. Sapeva già cosa voleva fare: realizzare una sua sceneggiatura, un film corale in cui tre storie si intrecciano, una versione contemporanea dei romanzi pulp di Dashiell Hammett e Mickey Spillane. Era un progetto cui pensava da tempo, da prima de Le iene; il cui titolo originale, Reservoir Dogs, altro non era che una pronuncia storpiata del classico Au revoir les enfants di Louis Malle. Quel progetto sarebbe poi diventato Pulp Fiction. Ma, prima, occorreva trovare il produttore giusto: cioè Harvey Weinstein della Miramax. Si narra che il focoso Weinstein, leggendo la sceneggiatura in aereo, dopo la prima scena abbia chiamato Richard Gladstein, altro produttore coinvolto da Danny DeVito. «E fantastica!», sbraitò. «Se regge così lo voglio!». Gladstein gli consigliò di andare avanti. Qualche minuto dopo richiamò: «Siete matti?», urlò. «Avete ucciso il protagonista a metà del film!».
Già prima di lavorare con Quentin, Harvey e Bob Weinstein erano in ascesa ma è dopo Pulp Fiction che sono diventati delle superstar e sono apparsi sui giornali come “gli uomini più potenti di Hollywood”. Prima dei Weinstein, nessuno voleva sporcarsi le mani con una sceneggiatura così spinta, così difficile, così pulp. E poi, chi era questo Tarantino? A volte, nella vita come nel lavoro, ci vuole coraggio. Fiducia. È stata proprio la fiducia nella visione di un giovane talento, il loro coraggio nel rischiare, a ridisegnare il cinema degli Anni 90.