Leonardo Coen, il Venerdì 11/4/2014, 11 aprile 2014
LA GITA A CHIASSO
PONTE CHIASSO (Como). Il lessico di chi varca la frontiera è semplice, accorto, direi guardingo. A domanda del finanziere, che lo ferma per un controllo di routine e gli chiede se «ha qualcosa da dichiarare», le risposte più frequenti sono quattro e tutte molto succinte: 1) «Nulla»; 2) «Nei limiti» (sottinteso: del decreto legge 195/2008, e nel rispetto del regolamento comunitario 1889 del 2007). La terza risposta è una variante della seconda: «il consentito»; 4) «quello che la legge permette». Chi risponde alla quarta la più articolata è sicuramente un habitué del confine. Uno che sa quali sono i suoi limiti. Ma anche quelli di chi lo potrebbe controllare.
Quando arrivo al valico di Ponte Chiasso, qualificato «viaggiatori», è stata appena fermata la navetta che collega Lugano, Mendrisio, Campione e Chiasso a Como e all’aeroporto della Malpensa. A bordo c’è un catanese. È arrivato in mattinata dalla Sicilia. Sta tornando. Nelle scarpe celava 9970 euro, in tagli da 500, gli spiccioli in tasca. Non ha violato la legge, che gli consente di tenere in tasca sino a diecimila euro meno un centesimo. Non era tenuto a specificare perché tenesse tutti quei soldi: si è limitato al minimo. Nome, cognome, indirizzo. Ha firmato il verbale. Probabilmente è andato a controllare l’evoluzione del suo deposito elvetico: «Dovremmo fare i Serpico, per saperne di più». Si sospetta, come per il marito e la moglie di Milano fermati poco prima del catanese, a bordo di una Audi bianca. Stessa manfrina: all’inizio nulla da dichiarare. Dopo saltano fuori 9300 euro addosso a lei e 9700 in macchina, che il marito dice essere suoi. Nell’esaminare la borsetta della moglie, spunta un fogliettino con delle cifre: 141 mila meno 19 mila. Il biglietto è senza intestazione. È solo un indizio, anonimo. Il deposito, il prelievo. Le prove? Formalmente nessuna.
Qui a Ponte Chiasso frulla ininterrottamente il traffico non commerciale tra Como e la ticinese Chiasso: un vortice di pedoni e pendolari, più un’umanità variegata di automobilisti che ogni tanto vengono fermati per un controllo. Lo stop è compito della Guardia di finanza, che opera in supporto all’attività dell’Agenzia delle dogane: le verifiche continuano in un ufficio, all’interno di una palazzina che si trova al numero 367 di via Bellinzona, proprio davanti alla pensilina del valico, le verbalizzazioni competono ai funzionari delle Dogane. All’interno della palazzina c’è il passaggio pedonale di chi va e viene tra Italia e Svizzera. Su una porta, lungo il corridoio, hanno appeso un poster molto ironico: mostra un orsacchiotto di peluche e sullo sfondo, la sua ombra, che è quella di un diavoletto; in alto, lo slogan, che è invece un monito: «Le dogane hanno la vista lunga». Attenti, evasori. Ma spesso avere la vista di un falco serve a poco, specie da quando si è scatenato il fenomeno dello smurfing, ossia la pratica di sminuzzare una transazione finanziaria in modo da non incappare nelle sanzioni previste dalla legge che regola l’esportazione di valuta: si può uscire dall’Italia portandosi in tasca al massimo 9999,99 euro; altrettanto vale per il rientro. Da più di un anno, il trend dei soldi che tornano a casa è aumentato mese dopo mese, per diventare importante in queste ultime settimane. La causa? Una è piuttosto recente: le banche della Confederazione hanno deciso di prelevare in anticipo i costi di servizio, in previsione dell’ineluttabile accordo con lo Stato italiano per le imposte sui capitali esportati illegalmente. Il cliente è avvisato: e lui teme per la sorte del «tesoretto». Paura della tassazione dei conti esteri, minore convenienza del deposito. Soluzione? Fuga alla rovescia. Meglio rimetterci sulle spese del cambio e tornare indietro col gruzzolo.
Un poco alla volta, fingendo di fare una gita, o di andare in clinica per una visita specialistica, o di fare il «pieno». Nella guida (non scritta) dell’evasore fai-da-te c’è un ventaglio di scuse sempre più sfacciate per giustificare i motivi del temporaneo espatrio. Persino quella di andare al bordello, «lei capisce, ci vuole contante». Peccato che, al rientro in Italia, i riscontri non ci siano quasi mai: «Non se n’è poi fatto nulla. Ecco perché abbiamo ancora tutti i soldi in tasca».
Il plurale non è per niente casuale. Da qualche tempo, infatti, si registra un sensibile incremento del via vai d’auto zeppe di passeggeri: «Guarda caso, quando si fa un controllo, spesso scopriamo che ognuno ha i suoi quasi diecimila euro. È chiaro che l’origine del prelievo estero è unica, ma non si può far nulla, non c’è l’illecito, possiamo solo dedurre che stanno riportando indietro i loro risparmi illegalmente depositati in Svizzera e che lo fanno a rate» commenta uno scafato funzionario delle Dogane che ormai riconosce a colpo d’occhio chi ha qualcosa da nascondere, «certo è che i soldi vengono riportati in Italia con questa tecnica, e per farlo si arruolano zie, nonni, suocere, nipoti, persino amici o colleghi di lavoro». Fatta la legge, trovato l’inganno.
Un docente della Facoltà di Farmacia dell’Università di Milano, per esempio, era accompagnato dalla moglie farmacista e da un’altra coppia di colleghi: all’inizio non ha mostrato i soldi, poi si è rassegnato. Tutti e quattro avevano la mazzettina di 9900 euro. Un altro professore universitario, sempre di Milano, si era portato dietro la segretaria e tre studenti. Lezione pratica su come gabbare lo Stato. Persino un noto allenatore di calcio, residenza a Milano, squadra romana, quattrini in Svizzera. Al tempo di Pizza Connection, i soldi passavano il confine nascosti dentro le cassette di pesce, per sfuggire al fiuto dei cani annusabanconote. Oggi la gente nasconde i biglietti di banca tra i formaggi svizzeri più puzzolenti, avvolti nella carta carbone, alla faccia di Francesco Guccini, il quale sostiene che la carta carbone, come la carta velina, non si usa più e l’ha messa come voce del suo «nuovo dizionario delle cose perdute».
L’inventiva di chi nasconde i soldi è infinita ed esiste un catalogo non scritto che finanzieri e agenti delle dogane conoscono a menadito. Una new entry, in questo repertorio dell’astuzia confinaria, è lo spregiudicato utilizzo di pannolini (usati) dei bebé a bordo; o nei barattoli delle creme di bellezza (lì si usa la carta stagnola). Qualcuno ha rischiato grosso, avvolgendo le banconote dentro sigari e sigarette, e sarebbe stata una giusta punizione quella di fargliele fumare, «ma non si può», precisa Pier Paola Ercolano, direttore dell’Ufficio delle dogane di Como, «il nostro compito è recuperare i soldi, non bruciarli», recuperare s’intende se superano i diecimila euro e allora, in quel caso, scattano le sanzioni, progressivamente salate. Nel 2013, tra il valico di Ponte Chiasso e quello autostradale di Brogeda, si sono contate 2166 infrazioni valutarie, di cui 1067 relative alla circolazione transfrontaliera e 600 a «constatazione di documentazione valutaria», e 85 milioni e 665 mila euro di «eccedenze». Una cifra importante, però purtroppo una goccia nell’oceano dell’evasione. Se può consolare, la «quota rosa» è ampiamente rispettata: il numero delle donne controllate è più o meno pari se non superiore a quello degli uomini. Quanto alla proprietà dei soldi, ci sono dubbi.
E tuttavia, dal febbraio del 2013 l’Agenzia delle dogane di Como ha cominciato a «monitorare» anche i controlli che finiscono senza sanzioni: «Uno spettro anagrafico vastissimo» commenta Vincenzo D’Avino, che è il capo del servizio «viaggiatori» al valico di Brogeda, sull’autostrada tra Milano e Lugano. «In questo modo noi ricostruiamo una sorta di profilo delle persone che rientrano in Italia con addosso somme al limite del lecito. Diciamo che in un anno possono essere almeno cinquemila, diecimila in due anni. Possiamo capire da dove vengono. E domandarci se il denaro che portano è frutto di corruzione. O riciclaggio. O pagamenti in nero». La mappa del cittadino imperfetto. Nicola Casale, dirigente della Dogana di Ponte Chiasso, osserva che c’è molta «Padania virtuosa», per usare un eufemismo: «Quasi tutti, per giustificare le somme che hanno nascosto o non hanno dichiarato, ci dicono che sono andati in Svizzera per comprare orologi, peccato che non ne abbiano mai uno».
In Francia capita che un ex tenente della polizia di frontiera abbia scritto durante le pause del suo lavoro un romanzo dall’improbabile ma accattivante titolo L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea (in Italia lo ha appena pubblicato Einaudi). Il libro di Romain Puértolas è diventato un bestseller, e sarà un film. Pure in Italia, gli agenti delle dogane scrivono, scrivono, scrivono: rapporti relativi alle infrazioni valutarie, verbali che documentano le segnalazioni dei controlli effettuati, le scartoffie che la burocrazia esige. Quei fogli senza editore sono il diario aggiornato in tempo reale del Paese vero. Capaci di condensare l’antropologia di un popolo molto più di un saggio di Umberto Eco.
Leonardo Coen