Oreste Pivetta, l’Unità 11/4/2014, 11 aprile 2014
QUEL CELESTE TESORETTO
«NON VI FATE TESORI SULLA TERRA, OVE LA TIGNOLA E LA RUGGINE CONSUMANO, E DOVE I LADRI SCONFICCANO E RUBANO; MA FATEVI TESORI IN CIELO...»
(Matteo 6:19-20). Non ha letto il Vangelo il senatore Roberto Formigoni, che probabilmente ignora anche l’esistenza della tignola, perfido insetto che divora le cortecce di viti e ulivi, mentre non ignora i benefici che l’amicizia con i ladri può recare.
Avrà in gioventù fatto voto di castità, come fino a un certo punto della propria esistenza ha sempre dichiarato, ma di sicuro non ha mai fatto voto di povertà. Ha seguito le orme di Don Giussani, l’ispiratore di Comunione e liberazione, ma non al cento per cento: non risulta che il Gius sia morto ricco. Di sicuro non ha mai rivolto un pensiero a Francesco, il santo dei poveri, e neppure, per stare ai nostri tempi e alle buone pratiche comunitarie, a don Bosco e, tanto meno, per non allontanarsi troppo da casa, a don Colmegna o a don Gino Rigoldi, che pure gli abitano vicino, in periferia, a Milano. Non possiamo però rimproverare all’eterno ragazzone, avvicinatesi ormai ai settanta, d’aver coltivato l’amore per il denaro più ancora che quello per Dio e per gli uomini. Non si fa peccato arricchendosi, come spiega anche la Chiesa. Ogni persona normale ci prova, i più, usando mezzi leciti, senza riuscirci. Con quali mezzi il nostro Roby sia invece riuscito ad accumulare quattrini e beni per quasi cinquanta milioni di lire non lo sappiamo. Deciderà la magistratura. Certo custodendo tutti gli stipendi incassati in mezzo secolo di poltrone, scommettendo sulla sua precocità nel sacrificio e nella dedizione, ammesso che mai una lira o un euro siano stati attinti a quei risparmi, per una giacca o per un flacone di sciroppo, per una insalatina e una manciata di riso, l’indispensabile insomma per sopravvivere, non si arriva a tanto, neanche si sfiora l’entità del tesoretto scoperto: otto nove milioni (consideriamoli esentasse) che cosa sarebbero mai al confronto? Peraltro la somma matematica sarebbe impossibile, a giudizio dello stesso ex governatore. Quando gli si chiese dei suoi viaggi e dei suoi soggiorni al mare o a bordo di un lussuoso yacht con l’amico Daccò (condannato in appello a nove anni per associazione a delinquere e bancarotta), lui rispose d’aver sempre pagato tutto: purtroppo non aveva conservato gli scontrini, neppure quello del caffè. Lo mise anche per iscritto, rivolgendosi ai giornalisti strumenti del complotto accusatorio, plotone d’esecuzione al soldo della parte politicamente avversa: “Le spese delle carte di credito di Daccò sono elevate perché si riferiscono a conti collettivi. E se ci sono biglietti aerei e una settimana di vacanza alle Antille con cifre importanti, scusate tanto, non sono Brad Pitt ma me le posso pagare, me le sono pagate col mio stipendio. Le ricevute dei rimborsi delle spese anticipate da Daccò? Non le ho tenute, le ho buttate. Scusate, è un reato?”.
Che cosa si inventerà ora Formigoni? Qualche eredità, una cassa stracolma d’oro nel giardino di casa, una vincita al superenalotto? Mostrerà la fronte imperlata di sudore, segno di tanto lavoro e di tante fatiche e quindi di sacrosante ricompense? Si parerà dietro la buona abitudine di tanti manager di incassare, alle dimissioni per cattiva gestione, premi da nababbi... in fondo solo pochi mesi fa l’amministratore delegato di uno dei più cospicui gruppi bancari se ne andò licenziato con una buona uscita di 39 milioni più uno, pattuito per la beneficienza. Formigoni, con un salario di consigliere lombardo o di parlamentare della repubblica, si è sempre dovuto accontentare e dovrebbe ancora accontentarsi di quel tanto che gli bastava e gli basta per superare quella soglia di povertà, al di sotto della quale starebbe una decina di milioni di concittadini Italiani che vivono con sei o settecento euro al mese (una notizia confortante: al sequestro è sfuggito il modesto stipendio elargito dal Senato della Repubblica).
Niente fantasie. Come era prevedibile, Formigoni non ha cercato scuse, non si è giustificato. È nello stile, arrogante, dell’uomo. Semplicemente ha negato: “Tranquillizzo tutti, non ho mai posseduto nemmeno la centesima parte di 49 milioni di euro”. Allora, si chiede inquieto, tutt’altro che tranquillo, il cittadino qualunque, a chi saranno mai stati sequestrati quei soldi e quelle ville? Possibile che la Guardia di Finanza o i Carabinieri girino in Sardegna o in Brianza e sequestrino una casa qui e un’altra là, come capita capita? Vuoi che un giorno succeda anche a me... Ma non abbiamo nulla da dichiarare e solo una infinità di ricevute da mostrare.
La verità è che a suo modo, tra l’eterna presidenza della regione Lombardia, Comunione Liberazione, Compagnia delle opere, San Raffaele, Fondazione Maugeri, Daccò e Memores Domini (la comunità in cui vive in compagnia del Perego, titolare della villa in Sardegna) Formigoni è riuscito a costruirsi oltre che un tesoretto anche un piccolo regime, che qui e là mostra le sue crepe, ma regge anche perché il successore Maroni non ha alcuna voglia di mandare a monte una vecchia alleanza per smontare un sistema di potere e di affari: si accontenta di rosicchiare la sua parte. Formigoni che nega tutto, le ville e gli scontrini, fa la parte di Berlusconi che nega ancora di più dopo la triplice condanna e tira fuori dal cappello le “carte americane”, sempre quelle: l’uno e l’altro, nelle dovute proporzioni, saldamente convinti di essere immutabili, indispensabili, insaziabili.