Roberto Giovannini, La Stampa 11/4/2014, 11 aprile 2014
VIAGGIO NEL FORTINO DELL’ARAN“I POSTI RESTANO, INUTILE TAGLIARE”
In un certo senso abolire l’Aran, l’agenzia che contratta con i sindacati della pubblica amministrazione per conto del governo, non è illogico. I contratti del pubblico impiego sono bloccati dal 2009, e il Def del governo Renzi per i rinnovi non stanzia un centesimo fino al 2020. Niente contratti, niente più Aran, si potrebbe dire. Del resto nelle sue slides il Commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha indicato proprio l’Agenzia per la rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni nella lista degli enti e agenzie da sopprimere. Nell’elenco ci sono anche l’Enit, l’ente per il Turismo, l’Isfol, l’ente che si occupa della formazione dei lavoratori e del mercato del lavoro, l’Istituto per il Commercio con l’Estero, ma nel mirino ci sarebbero anche alcune Autorità minori, come quella sui contratti pubblici e quella sui fondi pensione. Nei prossimi giorni il destino di molti di questi enti sarà deciso. Venerdì 18 il governo ha annunciato il varo del decreto legge che eroga il bonus da 80 euro mensili, e per finanziare lo sgravio si potrebbero certo trovare soldi eliminando qualche organismo. Altre misure di sforbiciamento degli enti, però, sono attese in un altro provvedimento di riorganizzazione del settore pubblico annunciato dal ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia.
Nella sede di Via del Corso dell’Aran l’atmosfera è comprensibilmente cupa. L’Agenzia, istituita nel 1993, occupa una sessantina di persone, di cui sette con contratti di collaborazione e una decina di dirigenti. Nel 2012 per affitti spendeva 1,2 milioni, 409mila euro servivano per le indennità di presidente e collegio di indirizzo e controllo. Se calasse davvero la mannaia di Cottarelli, certamente sarebbero guai grossi per i sette precari. Tutti gli altri dipendenti, invece, tornerebbero più o meno tranquillamente all’amministrazione di provenienza: come spiega un anonimo dipendente dell’Agenzia, «qui non sono state fatte assunzioni, e dunque il posto di lavoro non è in pericolo. Certo, sarebbe un gran peccato».
Ma è davvero così inutile l’Aran? Non c’è dubbio che la situazione oggi sia molto diversa rispetto al momento della sua fondazione. Prima del 1993, anno della «privatizzazione» del lavoro pubblico, i contratti stipulati tra governo e sindacati dovevano essere approvati dal Parlamento. E nell’era del consociativismo e della spesa facile la norma era la corsa alle elargizioni clientelari. Dal 1993 dunque c’è l’Aran, una struttura teoricamente indipendente, a contrattare per conto dello Stato e delle diverse amministrazioni, che sostengono con contributi per circa 14 milioni l’anno la sua attività. L’esperienza di questi vent’anni però ha qualche luce e molte ombre. Oggi contratti nazionali non se ne fanno, e molti osservatori dicono che chiuderla sarebbe un utile risparmio.
Non la pensa così il sindacato: per Michele Gentile, che segue per la Cgil il settore, «abolire l’Aran significa tornare alla politica che decide sovrana sui contratti. Si tornerà agli anni ’80, quando capitava che certi ministri democristiani superavano nelle concessioni economiche e normative le richieste delle nostre piattaforme». Sergio Gasparrini, presidente dell’Aran dal 2011, nominato da Renato Brunetta, confessa di essere «un po’ sorpreso» per essersi trovato sulla lista degli enti da sciogliere. «Capisco che da un po’ di anni i contratti non si fanno - dice - ma non potrà essere sempre così. E poi non facciamo solo questo: oltre a curare le statistiche del settore pubblico, forniamo assistenza alle pubbliche amministrazioni sulle normative del lavoro. Solo quest’anno, a oggi, abbiamo dato 1600 pareri». Anche Gasparrini sottolinea il rischio che tornando al passato «si elimini un filtro nel rapporto complesso e a volte incestuoso tra il personale pubblico e la politica». E soprattutto avverte: il risparmio dall’eventuale scomparsa dell’Aran sarà poca cosa: «un po’ di elettricità, un po’ di affitti». «Un conto - è la conclusione del presidente Aran - è se c’è un disegno, un progetto per sostituire a noi qualcosa di meglio e di diverso. Altrimenti...»
Roberto Giovannini, La Stampa 11/4/2014