Vittorio Malagutti e Stefano Vergine, L’Espresso 11/4/2014, 11 aprile 2014
CAMPIONI BI BONUS
Prysmian che Bingo! La multinazionale dei cavi, un’eccellenza mondiale che batte bandiera italiana, ha conquistato un nuovo primato: nessun’altra azienda quotata alla Borsa di Milano l’anno scorso ha pagato così tanto i suoi manager di punta. L’amministratore delegato Valerio Battista, con una retribuzione di oltre 6 milioni, guida la classifica degli stipendi elaborata da "l’Espresso". Lo segue a distanza una coppia targata Fiat: Sergio Marchionne e Luca Cordero di Montezemolo, il presidente della Ferrari. Anche se all’appello mancano ancora grandi gruppi come Unicredit e Pirelli, la graduatoria si basa su un campione che comprende oltre i due terzi delle società quotate in Borsa e quasi tutte le imprese a maggiore capitalizzazione. Le prime settanta posizioni sono riportate a pagina 115, mentre la graduatoria completa è disponibile sul sito web "lespresso.it".
Tra i primi dieci manager in classifica, con stipendi ben superiori ai 3 milioni, troviamo almeno tre nomi in questi giorni al centro di voci su possibili cambi di poltrona: Paolo Scaroni, in bilico all’Eni, Andrea Guerra di Luxottica, il mese scorso addirittura in predicato per un incarico da ministro, e Mario Greco di Generali, a suo tempo tirato in ballo come candidato al vertice dell’Eni o forse delle Poste. Nei giorni scorsi Scaroni, così come il collega Fulvio Conti dell’Enel, nel corso di due separate audizioni in Senato, non hanno mancato di dare risalto alle loro buste paga, alleggerite nel 2013 rispetto all’anno precedente. La scelta non appare casuale, viste le polemiche recenti sugli stipendi dei manager delle aziende a controllo pubblico. Senza contare che, in un periodo così concitato, Scaroni e Conti non hanno mai smesso di sperare nella riconferma nei rispettivi incarichi e la rinuncia a parte dei compensi dev’essere sembrato un ottimo modo per migliorare l’immagine.
Si vedrà, intanto però la festa degli stipendi è in casa Prysmian. Oltre a Battista, ricchi premi sono stati assegnati anche al senior vice-president Fabio Romeo, al direttore finanziario Pier Francesco Facchini e al responsabile strategie Frank Dorjee. Questo poker di dirigenti si spartisce circa 13 milioni di euro. Quasi la metà, compresi 5 milioni di premi, è destinata proprio a Battista, 56 anni, un manager di lungo corso cresciuto in Pirelli, dove dirigeva il settore cavi diventato azienda autonoma nel 2005, con il marchio Prysmian.
La pioggia di milioni è il frutto pregiato dei bonus, cioè i compensi variabili, in genere legati alla performance aziendale, che vanno ad aggiungersi alla retribuzione fissa. Nel 2013, a dire il vero, la multinazionale dei cavi ha presentato un bilancio meno brillante rispetto ai precedenti, con fatturato e profitti in calo del 3-4 per cento rispetto al 2012. Battista e i suoi colleghi, però, vanno comunque al massimo con stipendi più che triplicati. Possibile? Sì, perché i premi formalmente accreditati l’anno scorso fanno riferimento alla somma dei risultati aziendali conseguiti in un arco di tempo più lungo di un singolo esercizio, per la precisione il triennio 2011-2013.
Ecco spiegato, allora, l’apparente contraddizione: compensi al massimo, profitti in calo. Come se non bastasse, ai primi d’aprile è arrivata una grana supplementare. E cioè una multa da 105 milioni (somma già accantonata a bilancio) da parte dell’Antitrust europeo per un accordo di cartello con altri produttori di cavi. Fatto sta che nel 2013, in piena recessione, i manager di punta di Prysmian hanno avuto la fortuna di veder triplicare lo stipendio.
Cose che capitano. Come a volte può succedere che i target aziendali non vengano raggiunti. E allora, sulla carta, i bonus andrebbero azzerati, oppure, a seconda dei casi, pagati solo in parte. Questa è la regola, che però, a quanto pare, prevede anche qualche eccezione. Prendiamo il caso di Marco Patuano, l’amministratore delegato di Telecom Italia. Patuano nell’ottobre scorso ha ereditato parte delle deleghe in precedenza attribuite al presidente esecutivo Franco Bernabè, che ha lasciato il gruppo. La relazione sulle remunerazioni spiega che nel 2013 non sono stati raggiunti gli obiettivi di redditività aziendale che avrebbero fatto scattare il premio. Niente bonus, quindi, per il numero uno Patuano. Poche righe più sotto, però si scopre che il consiglio di amministrazione, «sentito il parere del collegio sindacale», ha comunque deciso di attribuire all’amministratore delegato in forma «discrezionale» un bonus «una tantum» di 400 mila euro.
Ecco fatto, allora. Se il bonus non c’è arriva un premio una tantum «quale riconoscimento», si legge nella relazione pubblicata da Telecom, «dei risultati raggiunti nel corso del 2013». Quali siano questi risultati, il documento non lo dice. Va ricordato che l’ultimo bilancio del gruppo guidato da Patuano segnala un calo dei risultati operativi rispetto al 2012. Tra l’altro l’azienda di telecomunicazioni ha dovuto far fronte anche a una maxi buonuscita. All’ex presidente Bernabè sono andati, infatti, oltre 6 milioni di liquidazione, di cui 2,6 milioni alla voce «patto di non concorrenza». In pratica, il manager è stato pagato per non accettare offerte di lavoro dalla concorrenza. Un’altra somma importante, circa 1,2 milioni, gli è invece stata versata sotto forma di non meglio precisati «benefici non monetari». Il presidente dimissionario non ha ricevuto bonus nel 2013, mentre nel 2012 aveva incassato 525 mila euro a titolo di «compenso variabile» su una retribuzione complessiva che sfiorava i 3 milioni.
Del resto, con l’economia in crisi e i conti aziendali in affanno, il 2013 a prima vista non si presentava come un anno da bonus. E invece i premi abbondano nelle posizioni di vertice della classifica elaborata da "l’Espresso". I compensi di Marchionne e Montezemolo in pratica raddoppiano avvicinando quota 6 milioni di euro, grazie a incentivi di vario tipo. Lo stesso discorso vale per Guerra di Luxottica, mentre Greco di Generali e Giovanni Battista Ferrario, direttore generale della Italcementi dei Pesenti, hanno incassato un compenso variabile (legato ai risultati) superiore a quello fisso.
Il record in questa particolare graduatoria spetta però al banchiere d’affari Giovanni Tamburi, presidente, fondatore e azionista della Tip, la Tamburi investment partners quotata in Borsa. Tamburi nel 2013 ha guadagnato 2,7 milioni, ma la retribuzione fissa non supera i 500 mila euro. Chiamatelo, se volete, effetto superbonus. Un superbonus, che nel suo caso, come ha deciso il consiglio di amministrazione presieduto da Tamburi stesso, è pari al 7 per cento dei ricavi da consulenza sommato al 5 per cento degli utili di bilancio.
A ben guardare, allora, si scopre che ai piani alti della classifica solo i banchieri hanno dovuto mettersi a dieta. Premi e bonus, per loro, sono diventati una rarità. Anche se non mancano le eccezioni. Come Piermario Motta, amministratore delegato di Banca Generali, che ha ricevuto quasi un milione a titolo di compenso variabile. E poi la squadra di Intesa, il numero uno Carlo Messina, 480 mila euro di bonus, e il direttore generale Gaetano Micciché (640 mila). A imporre moderazione sui premi è stata la Banca d’Italia, che già nel 2012 con una direttiva ad hoc aveva imposto un giro di vite nei compensi. Del resto certi ricchi stipendi del passato erano diventati difficili da giustificare, mentre gli istituti di credito lesinavano sul credito agli imprenditori.
Fuori dalle banche, invece, tira un’aria diversa. L’aria di sempre, vien da dire. Un’ulteriore conferma arriva da Mediaset. Nel 2013 i conti del gruppo televisivo sono tornati al profitto per pochi milioni dopo il rosso del 2012, chiuso con una perdita di 287 milioni. Non è una sorpresa, anche le tv berlusconiane, come tutti i media, sono state penalizzate dal crollo della raccolta pubblicitaria. Documenti alla mano, però, si scopre che gli alti e bassi del conto economico hanno avuto un impatto limitato sui compensi della prima fila di manager Mediaset.
Il presidente Fedele Confalonieri e il vicepresidente Pier Silvio Berlusconi l’anno scorso sono tornati a incassare bonus, rispettivamente, per 200 mila e 500 mila euro. Nel 2012, con i conti in rosso, i premi erano stati azzerati. Lo stesso era successo nel 2011, quando però il gruppo aveva macinato profitti per oltre 200 milioni. I target aziendali, a cui sono legati i bonus, sono quindi stati rivisti per adattarli al mercato in recessione. E allora anche il bilancio 2013, molto meno brillante rispetto a quelli di qualche anno fa, è bastato per mettere in moto la giostra dei premi. L’amministratore delegato Giuliano Adreani, a capo del business della pubblicità Mediaset, ha ricevuto un bonus di 650 mila euro nel 2012, l’anno dei conti in perdita, aumentato a 960 mila euro nel 2013. Insomma, non c’è crisi che tenga. Il bonus è garantito.