Gianni Perrelli, L’Espresso 11/4/2014, 11 aprile 2014
LA VERSIONE DI GULLIT
Sbuca sul prato dove si celebra il giubileo delle vecchie glorie e viene subito inghiottito dalla selva di telecamere. A 51 anni Ruud Gullit, il tulipano nero che nell’87 vinse il pallone d’oro (dedicato a Nelson Mandela nel suo impegno contro il razzismo) e poi sotto la guida di Arrigo Sacchi insieme ai connazionali Marco Van Basten e Frank Rijkard portò il Milan ai massimi trionfi (uno scudetto, due coppe dei Campioni e due coppe Intercontinentali), conserva il richiamo irresistibile della leggenda. Una fama per niente appannata dai meno brillanti risultati ottenuti da allenatore (l’ultima panchina, tre anni fa, è stata quella in Cecenia del Terek Grozny). è venuto a Kuala Lumpur come ambasciatore della Laureus Sport for Good, la fondazione internazionale che da 15 anni si occupa di prevenire e combattere il disagio giovanile attraverso i valori sportivi e che quest’anno ha assegnato nella capitale della Malesia i riconoscimenti agli assi più prestigiosi del pianeta (vedi box nell’altra pagina). Lanciato il suo messaggio sociale, il fuoriclasse olandese si dirige con aria scanzonata verso Fabio Capello, il tecnico sotto cui nel Milan vinse altri due scudetti prima di un divorzio piuttosto tempestoso. Fu considerato un affronto il suo esagerato gesto di giubilo per un gol segnato proprio al Milan quand’era in prestito alla Sampdoria. Scontro fra personalità forti che a tanta distanza non ha lasciato alcuno strascico. I due si abbracciano, indugiano sugli acciacchi dell’età, si confidano segreti professionali. Infine il discorso scivola inevitabilmente sul ridimensionamento del Milan, che si è allontanato dal vertice europeo.
«è solo un problema di risorse», sentenzia il fuoriclasse che oggi commenta il calcio internazionale per emittenti televisive dell’Olanda e del Qatar. «Un tempo il Milan aveva i mezzi per comprare i giocatori più bravi. Con cui riuscì a salire sul tetto del mondo. Ora in Italia non ci sono più club con grandi disponibilità. Occorre battere nuove strade».
Ma quali? Se anche magnati del calibro di Silvio Berlusconi sono costretti a tagliare le spese non è illusorio puntare solo sulle capacità manageriali della figlia Barbara?
«Non conosco Barbara. Quando giocavo nel Milan lei era ancora una bambina. Sono certo però che Berlusconi non abbia in animo di mollare. Non ho mai conosciuto un presidente che avesse una volontà di vincere come la sua».
Oggi però Berlusconi è travolto da altre vicende. Il suo declino politico e i suoi guai giudiziari gli lasciano troppo poco tempo per il giocattolo di famiglia.
«è da un po’ che non sento Berlusconi. E di politica mi intendo poco. Da milanista di lungo corso, gli consiglierei di avere pazienza. è finito un ciclo. E ci vuole tempo per costruirne uno nuovo. Il Milan ha il vantaggio di avere una grande tradizione alle spalle. Dirigenti di caratura eccezionale come Adriano Galliani, che ha dedicato tutta la sua vita al Milan. Un allenatore di grandi ambizioni come Clarence Seedorf, che da calciatore ha contribuito a scrivere la storia della società. è appena arrivato e non capisco che senso abbia subissarlo già di critiche se qualche volta inciampa. è un uomo intelligente, diamogli modo di lavorare sulla testa dei giocatori».
Più in generale tutto il calcio italiano, come dimostrano le coppe internazionali, è scivolato in seconda fila. Ci può salvare solo l’arrivo degli sceicchi o dei magnati russi?
«è l’Italia che deve uscire con i suoi passi dalla palude in cui è affondata. Un tempo il vostro campionato era il top nel mondo. Arrivavano i fuoriclasse più ricercati. Gli stadi erano sempre pieni. Ora mi intristisco quando vedo gli spalti semivuoti di San Siro o i ricatti delle tifoserie violente. In Germania hanno saputo rifondarsi. Costruendo impianti comodi e funzionali, dove l’appassionato di calcio può portare tutta la famiglia».
In Italia l’ha fatto la Juve.
«Sì, la Juve da voi è l’eccezione. è sempre stato un club di grande livello ma ai miei tempi, se escludevi le partite di cartello, in casa richiamava al massimo 15-20 mila spettatori. Oggi c’è il tutto esaurito anche per gli impegni minori. Ha imboccato un circuito virtuoso e i risultati, grazie pure alla bravura di Antonio Conte, si vedono anche sul campo. Io penso che la rinascita del Milan debba passare attraverso la costruzione di un nuovo stadio».
Ma la stessa Juve è fuori dall’élite europea. Secondo il suo amico Capello il campionato italiano non prepara alle coppe internazionali.
«Penso che il calcio italiano non debba mai essere preso sotto gamba. Anche quando sembrate in crisi siete capaci di incredibili sorprese. Alla vigilia chi avrebbe scommesso un euro sul trionfo azzurro nei mondiali tedeschi del 2006? Io mi aspetto che l’Italia faccia bene anche in Brasile. Mi convince il lavoro di Cesare Prandelli, che ha saputo rilanciare la Nazionale dandole una mentalità più offensiva».
Vede l’Italia in lizza per il titolo?
«Sono convinto che vincerà il Brasile. Ma spero nell’affermazione di un’europea. Faccio ovviamente il tifo per l’Olanda che quattro anni fa arrivò seconda e che, per come ha inciso sulla storia del calcio mondiale, prima o poi meriterebbe di alzarla la Coppa».
Le fortune della Nazionale, come quelle del Milan, sono sempre condizionate dalle lune di Mario Balotelli. Se fosse un suo calciatore lei da tecnico come si regolerebbe?
«Il futuro è nelle sue mani. Dipende solo da lui. Mario sa bene di essere un attaccante superdotato. Ma nel calcio d’oggi non basta. Servono altri valori. Sta a lui tirarli fuori. è inutile dargli consigli. Non è più un ragazzino».
Lei è mai tentato di tornare in panchina?
«Sì, perché il terreno di gioco è sempre stata la mia vera vita. Ho allenato club importanti: il Chelsea, il Newcastle, il Los Angeles Galaxy e il Grozny che aveva ottimi giocatori. Nel 2004 ho anche diviso la responsabilità della Nazionale olandese con Dick Advocaat. Ma in panchina non ho mai colto grandi risultati. Sì, mi piacerebbe ritentare».
Perché non con il Milan?
«Vuole farmi litigare con Seedorf?».