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 2014  aprile 11 Venerdì calendario

L’EUROPA CHE VOGLIO

[Intervista a Martin Schulz] –

Non date retta ai populisti, il 25 maggio non sarà un referendum pro o contro l’Ue. Ma un voto per un’altra Europa». È il messaggio che Martin Schulz, 59 anni, cravatta rosso fuoco su giacca blu, lancia dal suo ufficio di Berlino. Dove il candidato alla Commissione europea per l’Alleanza dei socialisti e dei democratici, spiega le sue idee «per un’ Europa più smart», come la chiama, «cioè più giusta, più snella e che sappia ridare lavoro ai giovani». Solo così, è convinto, sarà possibile frenare l’onda di tutti i populismi, di destra e sinistra. Perché, attacca, «non abbiamo bisogno dei consigli di un Toni Negri per costruire un’Europa più giusta». E il riferimento all’intellettuale italiano riguarda la sua esortazione ai socialdemocratici a rompere «l’incantesimo del neoliberismo».
Partiamo dalle sirene di destra o, come Grillo in Italia, da quelle dell’anti-politica. Quale di queste due tribù le fa più paura signor Schulz?
«Mi preoccupano tutte le forme di populismo. Nel caso di Grillo non sarei sicuro che si tratti di antipolitica. Se lo osservi, noti che segue una strategia precisa e che la sua non è solo antipolitica. Nel momento in cui questi populisti entrano in politica non possono pretederne di starne fuori e di criticare i partiti tradizionali».
Come spiega l’exploit Le Pen in Francia?
«Stiamo attraversando una crisi e in queste fasi ci sono sempre partiti che ne traggono profitto. Marine Le Pen però, a differenza di Grillo, non è un nuovo fenomeno, il Front National è dal 1984 nel parlamento europeo. In tutte queste forme di populismo è allarmante il nucleo di disperazione della gente, la sfiducia nei partiti e istituzioni che porta il cittadino ad affidarsi al voto di protesta».
Razzismo, xenofobia: come mai oggi fanno presa queste pulsioni?
«In Francia, Inghilterra, Olanda o Italia, il populista scodella sempre la stessa ricetta: un capro espiatorio spacciato come l’origine d’ogni male. Quello che il populista non darà mai è la soluzione del problema».
È la crisi economica che spinge la gente ad accontentarsi di queste ricette?
«Caliamoci nella mente del contribuente. Ai suoi occhi la politica è quella stratosfera in cui governi e istituzioni europee trattano miliardi di euro. Chi stenta ad arrivare a fine mese deve sentirsi tagliato fuori da tali orbite. È in questo vuoto che il moderno populista infila i suoi capri espiatori».
Prendiamo il tema più battuto dai populisti: gli stranieri. Non sarà che in questo caso (vedi Lampedusa) la Ue si è mossa male?
«Di sicuro le istituzioni europee si sono mosse male e in ritardo sull’emergenza emigrazione. È a partire dalla soluzione di questo problema che la Ue deve ripartire per riconquistare la fiducia della gente».
Come?
«Non possiamo più nascondere la testa nella sabbia, per evitare altre catastrofi nel Meditarraneo abbiamo bisogno di tre punti. Primo: una vera politica a livello europeo dell’immigrazione, dato che il problema non è solo italiano, ma riguarda tutti. Secondo: l’obbligo di proteggere chi è perseguitato politicamente. A chi cerca scampo da catastrofi naturali o guerre civili dobbiamo offrire, come anni fa ai profughi libanesi ed oggi ai siriani, una protezione temporanea. Ma - terzo punto - abbiamo ora bisogno di un nuovo sistema di immigrazione a quote, anche per togliere il terreno ai trafficanti di esseri umani».
Propone un sistema a punti come negli Usa, Canada o Australia?
«Precisamente. Anche se, e lo ricordo a certi gruppi della sinistra, "quote" non vuol dire dentro tutti. Significa: chi vuole richieda e possa avere l’opzione di emigrare, non la garanzia di venire in Europa. Noi europei siamo emigrati dagli Usa al Cile, in Argentina o Canada: con quale diritto crediamo di non accogliere ora migranti? È stato papa Bergoglio a ricordarmi a Roma che lui è figlio di italiani emigrati in Argentina».
Veniamo all’altro cavallo di battaglia populista: il rifiuto dell’euro. In Germania c’è un partito, "Alternative für Deutschland", dato al 7 per cento alle europee.
«Non credo che il 25 maggio raggiungeranno queste cifre, né che "Alternative" sia un vero partito, è una brutta copia del movimento americano dei "Tea Party" e non crescerà molto».
Bernd Lucke, presidente di "Alternative", dice che il ritorno alle valute nazionali è possibile.
« Follie. La Bundesbank ha calcolato che reintrodurre il marco in Germania costerebbe duemila miliardi di euro. Senza contare che il marco comporterebbe un rincaro del 30 per cento del made in Germany, e noi siamo un Paese con un Pil basato al 35 per cento su esportazioni, il 60 per cento delle quali nella Ue. A Lucke direi di rileggersi la biografia di Helmut Schmidt».
Perché proprio dell’ex-cancelliere della Spd?
«Durante l’era Schmidt, negli anni Settanta, la Bundesbank intervenne con miliardi di marchi per sostenere la lira. Oggi la gente abbocca alle fandonie dei populisti sull’euro, ma ha scordato quante crisi avevamo in Europa con le valute nazionali».
Secondo un recente sondaggio de "l’Espresso", un italiano su tre rivorrebbe la lira.
«L’euro è stabile e in Europa non abbiamo mai avuto un’inflazione tanto bassa. Già questo dovrebbe far stimare di più l’euro agli italiani, per decenni tormentati dall’inflazione. Certo, è difficile amare una moneta, solo noi tedeschi siamo riusciti ad innamorarci del marco. E non è un un mistero che io sia un fan dell’Italia».
Cosa le piace nell’Italia di oggi?
«Se i tedeschi avessero dovuto affrontare i problemi che voi italiani avete affrontato dagli anni Cinquanta in poi, non so dove starebbe oggi la Repubblica federale. Siete un popolo pieno di energie e creatività, anche se oggi siete scivolati in depressione».
Sarà l’effetto di vent’anni di Berlusconi?
«Non credo, penso che sia la crisi economica a far perdere agli italiani la fiducia nel futuro. I dati economici dell’Emilia-Romagna sono quasi identici a quelli del Baden-Württemberg (la regione di Stoccarda, ndr). Ma ogni volta che incontro un imprenditore in Emilia, mi parla del blocco di liquidità delle banche. Non è l’euro in crisi ma un sistema bancario che si rifiuta d’investire nell’economia reale».
Non è colpa anche della Merkel e della sua austerity se l’economia non riparte?
«Noi tutti in Europa sappiamo che la disciplina di bilancio è giusta, ma che nessun Paese può riprendersi senza impulsi alla crescita. Capisco che in Italia la Merkel venga spesso criticata per il suo rigorismo, ma a Bruxelles ci sono 27 Paesi a determinare la politica europea, non solo la cancelliera. Oggi abbiamo bisogno non di un’altra Merkel, ma di un’altra Europa. Che combini la disciplina di bilancio con più investimenti in crescita ed occupazione. Soprattutto che investa di più nella lotta contro la piaga della disoccupazione giovanile. Ecco la vera posta in gioco alle europee se vogliamo cambiare volto all’Europa, sconfiggere i populismi e i nuovi nazionalismi e ridare ai cittadini fiducia nella politica».
Intanto i più giovani hanno perso ogni speranza nell’Europa: perché?
«L’Europa è sempre stata promessa non solo di pace, ma anche di opportunità di vita. Non è giusto che le generazioni più giovani paghino per una crisi che altri hanno causato. La lotta contro la disoccupazione giovanile è il primo progetto europeo se vogliamo salvaguardare le fondamenta democratiche».
Il 25 maggio si decide il futuro della Ue?
«Sono i populisti a raccontarci che il 25 maggio si terrà un referendum pro o contro la Ue. Ma l’Ue continuerà ad esserci anche dopo quella data. In realtà, il voto è su quale Europa vogliamo. E noi vogliamo una Europa meno burocratica. Più vicina alla gente, e che sappia cosa risolvere a livello locale e cosa a livello europeo».
Cosa si può risolvere a livello europeo?
«I problemi dell’immigrazione, quelli legati al clima o le norme del commercio internazionale o dello sviluppo digitale. Ma, ripeto, decisiva è ora la scelta d’investire di più in università, ricerca e sviluppo per dare opportunità ai giovani».
A proposito di più efficienza, ha ragione lo scrittore Enzensberger quando descrive le istituzioni-Ue come un mostro burocratico?
« No, Enzensberger deve sapere che i luoghi comuni non diventano veri a forza di ripeterli. La Commissione europea ha 24mila dipendenti, come una città delle dimensioni di Colonia».
In Italia c’è una lista col nome di Alexis Tsipras. Che ne pensa del giovane greco e di Syriza?
«L’ho incontrato un paio di volte, e mi piacerebbe molto sapere anche il suo programma positivo, sinora infatti sappiamo solo le cose che Tsipras critica».
"Rompere l’incanto del neoliberalismo": è il consiglio che Toni Negri dà a voi della Spd, con i vostri governi di Grosse Koalition ed i "patti" con il capitalismo. Lo accetta Schulz?
«Negri ha ragione, l’incanto del neoliberalismo esiste. Ma gli consiglio di rileggersi i miei discorsi del 2004, quando ero a capo della frazione socialista nel Parlamento europeo. Noi socialdemocratici non abbiamo bisogno di lezioni contro il neoliberalismo e il capitalismo non ci ha mai ammaliato».
Non negherà che le riforme del welfare, iniziate da Schröder, alla fine hanno portato al potere Angela Merkel.
«Lo nego eccome. Le riforme di Schröder hanno fatto della Germania un Paese con una forte rete sociale e un sistema produttivo persino troppo competitivo in Europa. Ma mai ci siamo piegati ad adorare lo spirito neoliberalista. Durante la crisi del 2008 abbiamo salvato il welfare in Germania e rinnovato la produzione industriale. E così vogliamo fare oggi anche in Europa per ridare lavoro ai giovani».