Giuseppe Farkas, La Sicilia 11/4/2014, 11 aprile 2014
INTERVISTA A FERRARA
Un “ateo devoto”, due cattolici di solida fede e il paradosso del Papa che piace troppo. Giuliano Ferrara è a Catania, forse per discutere più che presentare, il libro Questo Papa piace troppo, scritto con Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. Il consenso universale tributato al vescovo venuto dalla fine del mondo non sembra poi del tutto universale e, altro paradosso, è l’ateo devoto Giuliano Ferrara, fra i tre, a essere il più indulgente.
Scusi Ferrara, ma perché non è buona cosa piacere troppo?
«Piacere troppo può essere una cosa che sconcerta la mentalità critica di coloro che osservano i fenomeni e li giudicano. Piacere troppo spesso vuol dire piacere per motivi sbagliati. Ora questo Papa sicuramente è piacione nel senso che fa delle cose che sorprendono, e questo piace sempre anche a me, cose che indicano una grande capacità di decisione, un certo stile di uno che stringe i bulloni di una grande istituzione universale certamente in crisi, se no non ci sarebbero state le dimissioni di Ratzinger. E poi compie dei gesti che puntano direttamente al cuore del consenso, che non è un consenso alla Chiesa e nemmeno al Papa, è un consenso a Jorge Mario Bergoglio che ha scelto il nome di Francesco dopo essere stato eletto Papa. Piace perché porta le sue scarpe e non le pantofole rosse, perché si sposta con un’utilitaria, perché abita in un alberghetto con altri cardinali invece che nel palazzo apostolico».
Dietro questo «piacere troppo» c’è però anche la critica, forse anche una punta di diffidenza, dei due coautori del libro.
«I coautori del libro sono due cattolici tradizionalisti e rigettano in toto ma in modo implorante e supplichevole però, come fosse una specie di preghiera, l’insieme del criptomagistero di questo Papa eletto da un anno. La mia posizione non è quella, ma sostengo che anche quelle posizioni hanno il diritto di vivere, non vedo perché debbano essere emarginate e anche derise come succede sulla stampa italiana e nel pensiero corrente. Loro dicono cose importanti sulla liturgia, io dico che piace troppo non perché non dovrebbe piacere ma nel senso che piace per motivi sbagliati. La cosa che mi fa orrore è il piacere che provoca negli ipocriti, in quelli che, dovendo farsi perdonare non i peccati che tutti compiamo ma proprio la loro ipocrisia, lo fanno idolo della libertà di coscienza attraverso l’escamotage di una coscienza libera che, in quanto tale, è sempre salva e dunque si fanno perdonare l’ipocrisia».
Piace tanto che tutti se ne impossessano, è diventato anche un Papa comunista.
«Queste sono le sciocchezze che dice la Destra americana. Qualche equivoco sul pauperismo lo ingenera, ma non mi sembra quello il centro della faccenda».
Anche in politica piacere troppo potrebbe non essere il massimo?
«Lì è diverso. Gli analisti americani più intelligenti, per esempio, hanno fatto notare a Obama che aveva i rating bassi perché non sapeva fare delle politiche dell’umiltà il contenuto del suo potere. Mentre Francesco piace a tutti, anche troppo appunto, perché ha dichiarato di non essere un leader politico come i suoi predecessori, di non portare il peso della Chiesa ma esclusivamente una guida spirituale che parla all’interiorità delle persone e al loro diretto rapporto con Dio. Messo in chiaro tutto questo diventa invece un leader politico influente in tutto il mondo, grazie appunto all’immenso potere dell’umiltà. C’è molto marketing nel magistero di questo Papa. Ma va bene, non ho niente da dire nemmeno su questo. In politica comunque piacciono molto quelli che ce la fanno. Piacevano i partiti politici e noi siamo stati un Paese che faceva molta questua dietro i partiti. Poi sono arrivati i magistrati che hanno messo in crisi i partiti e abbiamo fatto le fiaccolate per i magistrati. Poi si sono rivelati una non soluzione, è venuto fuori Berlusconi ed è piaciuto l’outsider. Dopo tanti anni l’outsider ha preso tanti colpi dalla storia, dal tempo e anche dalla sua stessa età e visto che i suoi nemici hanno perso anche loro, è venuto fuori uno che non era suo nemico e che anzi, in un certo senso ne raccoglie una parte dell’eredità. Adesso il re del consenso è questo giovane Matteo Renzi che con metodi molto spergiudicati, e di marketing anche lui, piace a sinistra e lambisce anche il centrodestra».
E su cosa avrebbe invece da ridire?
«Il mio problema è che non pratico la fede, non mi è mai scattata quella fitta improvvisa che, come diceva Gregorio Magno, provoca la tua anima sonnolenta e ti mette in attenzione verso Dio. Non ho fede pur essendo un battezzato e non ho neanche un’educazione cattolica. Ma ho grande rispetto e devozione verso la fede degli altri, che mi sembra un pilastro del nostro modo di vivere. La fede di cui parlo io è quella di Giovanni Paolo II, di Papa Ratzinger, di Paolo VI, dei papi pii del Novecento, è la fede che si sposa con l’antica saggezza, con la politica, con l’equilibrio, con la prudenza, con la sagacia, con la Chiesa esperta in umanità e soprattutto con la ragione. In un discorso di qualche anno fa Ratzinger diceva che Dio ci parla solo attraverso gli uomini e solo attraverso la parola. La teologia embrionale, o forse profonda, di Francesco, che in questo è un gesuita del Cinquecento, dice il contrario. E cioè che Dio parla con noi in un rapporto diretto, interiore e spirituale con il nostro cuore. La chiesa, per lui, non è la mediazione decisiva. Il cuore non è razionalizzabile. C’è un elemento primordiale, un istinto che ti deve portare a credere senza la capacità di razionalizzare le cose attraverso la parola. Èd è in quel credere, che io trovo un po’ integralista e molto poco occidentale, che poi si fonda il rapporto populistico di Bergoglio con le grandi masse che non vogliono ragionare ma soltanto qualcosa in cui credere. Se poi questo qualcosa in cui credere si identifica anche con un Papa popolare, “descamisado”, che accarezza i bambini e i malati e che abbatte le barriere, le grandi masse vanno in sollucchero. Io sono invece tra quelli che vedono le criticità di questo progetto».
A conti fatti è meglio piacere così così?
«Per quanto mi riguarda sono sempre piaciuto così così e forse “spiaciuto” troppo. Può essere che in me parli anche l’invidia per papa Francesco».
Giuseppe Farkas