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 2014  aprile 11 Venerdì calendario

STORIA DI UN AMORE (E DI ALTRI MISFATTI) AI TEMPI DELLA RESISTENZA

STORIA DI UN AMORE (E DI ALTRI MISFATTI) AI TEMPI DELLA RESISTENZA –

La “zona grigia” della storia non sta a indicare soltanto il mondo dei tiepidi, dei paurosi o di quelli che, tenendo famiglia, nei momenti più caldi preferiscono restarsene alla finestra. Zona grigia è anche quella nascosta, taciuta e rimossa per convenienza dai vincitori; ed è proprio attraverso questo terreno scivoloso che si inoltra la giornalista e scrittrice Mirella Serri. Nell’ultimo suo saggio, Un amore partigiano (pubblicato da Longanesi come altri suoi precedenti), è il lato “grigio” della Resistenza a essere indagato, soprattutto nelle settimane convulse che precedono la cattura e poi l’esecuzione di Mussolini. Ma al centro della scena, invece dei soliti noti, ci sono due amanti, destinati a passare alla storia come “Gianna e Neri”. Staffetta partigiana lei, anzi “collegatrice” secondo la terminologia di allora; comandante garibaldino lui, con il grado di capitano e soprattutto in possesso di troppe doti (coraggio, capacità organizzative, sensibilità umana, onestà e mancanza di carrierismo) perché i suoi stessi compagni possano perdonargliele. Amanti totali, i due, nel modo che soltanto l’esperienza della guerra civile genera a volte, in simbiosi ideale, prima ancora che fisica e sentimentale, tra uomo e donna. Ed entrambi credenti, per di più, nel senso in cui la fede politica poteva essere intesa allora: comunisti perché soltanto il Partito con la maiuscola, con la sua promessa di riscatto e l’organizzazione politico-militare capillare, sembrava costituire una opposizione credibile al fascismo.
Mirella Serri ci fa seguire dunque la crescita parallela di Gianna e Neri – entrambi nomi di battaglia partigiani, destinati a oscurare nel tempo e nel mito le reali generalità anagrafiche – sullo sfondo del Comasco; ne tratteggia l’ambiente di origine, in entrambi i casi famiglie povere, naturalmente antifasciste per coscienza di classe; fa emergere il carattere determinato ma razionale di Neri, la sua fedeltà alla causa ma anche l’indipendenza di giudizio, pronta a denunciare gli autoritarismi e la corruzione presenti fra i suoi stessi compagni; e anche la dedizione della Gianna all’ideale comunista, scaturito molto femminilmente per fedeltà alla memoria di un primo amore, scoperto e giustiziato dalle Brigate nere.
Incredibilmente giovani sono il lui e la lei di questa storia più grande di loro: trentatré anni l’uomo, ventidue la ragazza quando cadono sotto i colpi dei loro compagni, falsamente accusati di avere ceduto alle torture e alle promesse dei fascisti e di avere rivelato alcuni nascondigli di partigiani garibaldini. Talmente giovani che si stenta a credere come abbiano potuto bruciare in un tempo così breve (oggi si direbbe in “età da bambocci”) una simile quantità di esperienze, emozioni, illusioni e tragedie.

Drammi paralleli. Con sapienza narrativa, oltre che solida documentazione storica, Mirella Serri fa crescere nel lettore, pagina dopo pagina, il fatale presentimento di ciò che non potrà non accadere: troppe le avance respinte dalla bella Gianna, anche quando i capi partigiani desiderosi delle sue grazie si fanno minacciosi e insistenti, e troppe le critiche aperte di Neri di fronte alle ruberie e violenze in atto nel suo stesso partito, perché la conclusione della vicenda possa non essere tragica. E infatti, dopo che entrambi sono passati con schiena diritta e fisico devastato attraverso le camere di tortura fasciste, a lui e a lei viene riservata all’indomani della Liberazione la stessa sorte: vengono prelevati – lui in macchina e lei in motocicletta – accompagnati sulle rive del “maledetto” lago di Como e infine assassinati nel modo più brutale. Facendo sparire i corpi con tecnica da Nkdv sovietica: «Un colpo alla testa e uno al ventre, così il cadavere succhia e va a fondo più rapidamente». E in seguito, come denuncia l’autrice nell’epilogo del libro, Gianna e Neri verranno rimossi dalla memoria della Resistenza italiana: almeno fino a quando, in anni recenti, il presidente Ciampi e l’allora segretario ds Veltroni penseranno a “riabilitarli”.

Morale sartriana. Circola, in queste pagine, una tragica aria di famiglia che ricorda altre vicende simili: il tradimento dei fratelli Cervi, la fine del comandante Facio, la strage di Porzus; pulizia ideologica e rivalse personali all’interno del campo partigiano comunista nei confronti di chiunque non condividesse l’obbedienza cieca e assoluta alla Repubblica dei soviet da installare in Italia.
E tuttavia alcune caratteristiche rendono speciale questa vicenda. Al termine di allucinanti sedute di tortura nelle mani dei fascisti repubblicani, Neri per un colpo di fortuna riesce a fuggire. Gianna invece, convinta di non tradire nessuno, e ormai ridotta in condizioni fisiche pietose, svela ai militi di Salò i nomi di alcuni rifugi partigiani che avrebbero dovuto essere abbandonati da tempo. E invece no: trasgredendo agli ordini, qualcuno è rimasto e viene catturato; da quel momento, bollandoli senza appello come “traditori”, il comando partigiano garibaldino decreta per entrambi la condanna a morte. Da eseguirsi – come una fatwa islamista – in qualunque circostanza e da chiunque.
Una vicenda assolutamente reale, eppure da romanzo: sembra tratta dal celebre racconto di Sartre (Il muro) in cui appunto la delazione involontaria e casuale di un prigioniero antifascista fa precipitare gli avvenimenti, finendo per simboleggiare il sottile confine che separa l’eroismo dal tradimento.
La morale di Un amore partigiano ricorda insomma da vicino quella di Sartre; eppure Mirella Serri vi aggiunge un tocco ulteriore. L’incontro, avvenuto poco dopo la cattura di Mussolini e dei suoi a Dongo, fra la partigiana Gianna e Claretta Petacci, rivela due donne nemiche eppure simili, perché decise a seguire fino in fondo i loro destini e i loro uomini.
A entrambe, se pure con motivazioni opposte, verrà riservata la dannazione della memoria e la congiura del silenzio. Ma a Gianna questo libro accorda la pietas e l’assoluzione definitiva per colpe non commesse.