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 2014  aprile 11 Venerdì calendario

DONNE IN LISTA, L’AUTOGOL DELLE ACCUSE DI GENERE


Una definizione memorabile non è necessariamente quella che coglie una verità delle cose: è quella perfettamente in sintonia con la percezione delle cose in quel luogo e in quel tempo, con il modo in cui la sensibilità dell’opinione pubblica è orientata in quel momento. Ieri, con quel «Gabibbo e Veline» detto di Matteo Renzi e di quattro delle sue cinque capolista, Beppe Grillo ha mostrato un limite piuttosto grave per uno che ha passato una vita sui palcoscenici: quello di non capire la platea. Dovrebbe andare a lezione di tempi comici da Veronica Lario: «Ciarpame senza pudore» sì che era la battuta giusta al momento giusto.
Chiunque stia su un palcoscenico – a intrattenere a pagamento o a fare comizi gratuiti – sa che non contano tanto i fatti, quanto il modo in cui vengono inquadrati nel discorso pubblico. E il modo in cui è inquadrata la questione femminile in questo momento in Italia è tale per cui non si potrebbe mai dare a una politica di bell’aspetto del ciarpame, della pupa del boss, della mera decorazione. Siamo in un altro tempo: quello in cui una battutaccia come se ne fanno tante, se rivolta a una candidata donna, provoca uno smisurato sdegno collettivo.
Matteo Renzi mette cinque donne capolista: è un gesto demagogico? Certo che sì, ma è una notazione che nessuno (tantomeno io) farà, perché nessuno (tantomeno io) vuole avere torto. E in questo momento chiunque metta in dubbio la necessità di dare spazio alle donne – non: alle donne capaci; non: alle donne che se lo meritano; non: a quelle più brave; alle donne tout court – si colloca saldamente dalla parte del torto.
Giorgia Meloni sceglie, per il proprio manifesto elettorale, una foto in cui è venuta particolarmente bene. La polemica che segue è di sublime scemenza: fatta da gente che non distingue tra i filtri di un servizio fotografico professionale e il fotoritocco, tra un’angolazione donante e un falso; soprattutto, fatta da gente che sembra dare per scontato il dovere morale di presentarsi con una foto poco donante (in nome di cosa?). Meloni chiede, retoricamente, se debba farsi fare una foto appena sveglia; avrebbe così tanta ragione che non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro, ma no: perché Meloni è una donna. E quindi arrivano zelanti i difensori a stigmatizzare i polemisti: a un uomo non fareste mai un’osservazione del genere. I difensori di Giorgia Meloni sono evidentemente appena tornati da Marte, pianeta sul quale si sono persi decenni di commenti ridanciani alle migliorie apportate ai servizi fotografici di Silvio Berlusconi (che non mi pare sia mai stato una donna).
C’entra quel che nella comunicazione politica si chiama “frame”, cornice: il modo in cui impacchetti le cose dev’essere quello giusto per lo spirito del tempo. La cornice che funziona in questo momento è «viva le donne». Dovrebbe essere una rivalsa, una conquista, il tanto invocato sfondamento del soffitto di cristallo. E nessuno (tantomeno io) ha voglia di rovinare la generale euforia dicendo che a ben guardare sembra più il segnale di una irriscattabile debolezza. Con quella capacità di cogliere, più che lo spirito del tempo, uno spirito così assoluto da essere di tutti i tempi, anni fa Dino Risi fece una battuta alla quale si condona ogni volgarità ammirandone l’esattezza; parlava di bianchi e neri, ma è facile adattarla a uomini e donne.
La battuta diceva: «Il razzismo finirà quando si potrà dare dello stronzo a un negro». Ecco: il sessismo finirà quando la smetteremo di sentirci in dovere di stare sulla difensiva. Quando non sarà più considerato sacrilegio fare considerazioni sulle foto di una candidata, visto che ne facciamo abitualmente su quelle dei candidati. Quando al giudizio di Grillo – «un Gabibbo e quattro Veline» – non risponderemo con un riflesso condizionato da cani di Pavlov: se fossero candidati uomini non ti permetteresti! (Si vede che Renzi non conta come “uomo”; si vede che “Gabibbo” è un paragone meno offensivo di “Velina”; si vede che chi ha il tic per cui tutto è sessismo ha parametri estetici diversi dai miei, che sarei abbastanza contenta di somigliare a una Velina e pochissimo di venire accostata al Gabibbo).
Più che di aver sfondato il soffitto di cristallo, sembra di essere la cristalleria. Magari è un passaggio necessario per diventare un paese normale, magari è un eccesso di zelo da riequilibrio, però certo è difficile immaginarsi Nilde Iotti o Angela Merkel bisognose d’essere difese dalle battute di un Beppe Grillo, bisognose di una corsia preferenziale delle buone maniere che le tenga al riparo dal gioco al massacro che è la politica nell’era dei social network, della sagacia in 140 battute, del fotoritocco e del fotomontaggio.
Il sessismo non sarà finito quando sarà sedimentata la convinzione che le donne siano comunque migliori, comunque capaci, comunque mai criticabili anche negli stessi modi aggressivi e superficiali in cui lo sono gli uomini; sarà finito quando saremo così sicure di noi da poter rispondere ridendo a qualcuno che pensi d’insultarci dandoci delle Veline: «Magari».