Libero 11/4/2014, 11 aprile 2014
IL PENSIERO RUSSO INVASO DAI TEDESCHI E DAL MISTICISMO
Nel 1725 Leibniz inaugurò a San Pietroburgo, su invito di Pietro il Grande, l’Accademia delle Scienze e delle Arti. Data da allora una battuta celebre: «La filosofia è come la Russia: è molto grande e continuamente invasa dai tedeschi». Nel suo breve ma stimolante excursus (La filosofia in Russia, Book Time, pp. 52, euro 6,50), Armando Torno ce ne offre una conferma: senza le «invasioni tedesche» e cioè senza Leibniz, e poi Kant, Fichte, Schelling, Hegel e, ovviamente, Marx, «la Russia non avrebbe avuto un pensiero». Tuttavia, la seminagione delle idee inizia dal X secolo, con la cristianizzazione operata da Bisanzio, che porta in Russia patristica greca, speculazioni neoplatoniche e suggestioni ascetiche. Un patrimonio spirituale rivendicato dallo zar Ivan III che proclamò Mosca «la terza Roma».
Nel XVIII secolo, poi, Pietro il Grande apre all’Occidente. Caterina II cerca la collaborazione di Voltaire e Diderot, emana una nuova costituzione ispirata a Montesquieu e fa tradurre Beccaria.
Ma lo spirito russo è incline al misticismo e così, a fine ’700, Hryhorij Skovoroda, il primo filosofo autoctono, in cerca dell’Assoluto, magari con venature eterodosse, diffonde le opere di Silesio, Bruno e Cardano. Fiero custode dell’ortodossia è invece Alessandro I. Alle porte premono, però, Kant e Marx. L’anima russa è lacerata. Materia o spirito, Rivoluzione o Tradizione? Torno chiama a dibattere Dostoevskij, Tolstoj, Lenin, Florenskij e Stalin. Ma i nodi restano irrisolti.