Daniel Mosseri, Libero 11/4/2014, 11 aprile 2014
LA CURA MERKEL HA REGALATO MILIONI DI POVERI ALLA GERMANIA
Sorpresa: un basso livello di disoccupazione non basta per definire «ricca» una nazione. Seconda sorpresa: la Germania è un Paese povero. O meglio, è un Paese dove la percentuale di persone a rischio povertà non solo è alta ma non è sostanzialmente mai scesa. Da anni leggiamo che nella «locomotiva d’Europa» il Pil è in crescita costante, la disoccupazione in calo permanente, l’export brucia un record dopo l’altro e le entrate fiscali corrono allegre, fregandosene della crisi che ha colpito il resto dell’Europa. Ebbene, nella Repubblica federale tedesca il 16% dei cittadini è a rischio povertà (un dato appena inferiore alla media dell’Ue a 28, quella per intendersi che comprende anche Romania e Bulgaria). E il numero dei tedeschi che ha bisogno di un pasto caldo fornito dai centri di assistenza «è raddoppiato negli ultimi cinque anni». Sono solo alcuni dei dati che si leggono in “Ricca Germania. Poveri tedeschi” un libro-inchiesta di Patricia Szarvas, giornalista economico-finanziaria con all’attivo collaborazioni con la Cnbc a Londra e Francoforte e con il canale all-news tedesco N24. Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: il libro sottotitolato “Il lato oscuro del benessere” non è un pamphlet ideologico destinato a lasciare il tempo che trova, ma un’opera di ricerca approfondita, la cui serietà è stata certificata da Hans-Werner Sinn, il presidente dell’istituto di ricerca congiunturale Ifo di Monaco di Baviera che si è scomodato a scrivere la prefazione. Ai suoi lettori, Szarvas spiega che la crescita degli ultimi tre lustri in Germania non è servita a rafforzare la classe media del Paese ma che, al contrario, i contratti atipici e i lavori a tempo determinato hanno contributo «ad assottigliare la colonna vertebrale del Paese. In quindici anni rivela oltre 4,2 milioni di persone hanno abbandonato la classe media e la maggior parte è finita fra gli working poor, lavoratori sottopagati che stentano ad arrivare alla fine del mese». Da cui il suo avvertimento: «La ricetta che la Merkel impone da anni all’Europa non
va presa per oro colato: lo stesso modello tedesco presenta dei problemi».
La giornalista nata a Vienna nel 1970 guarda indietro per ritrovare la causa di un malessere odierno: è l’Agenda 2010 dell’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, un mix di tagli alle tasse e al sistema di sicurezza sociale che, avviato nel 2002, ha permesso nel giro di un decennio di dimezzare il tasso dei senza lavoro dall’11 al 5,5%. In molti hanno riconosciuto proprio all’ex cancelliere il merito di aver rilanciato la corsa del sistema produttivo tedesco in un periodo in cui la Repubblica federale era indicata come il «malato d’Europa». «Io sono di stretta fede capitalista e credo che l’Agenda 2010 abbia giovato alla Germania», spiega Szarvas, «ma siamo passati da una mancanza totale di riforme a un eccesso, i cui effetti si vedono oggi». Schröder ha avuto il merito di tenere basso il costo del lavoro permettendo livelli di produttività competitivi anche durante la crisi, «ma oggi la Cina sta rallentando e noi con lei: l’export non basta più e serve stimolare la domanda interna», misura che sia l’Ue che l’Ocse sollecitano a Berlino da mesi.
E da brava giornalista, invece che dare risposte si mette a fare domande: «Visto che la disoccupazione è bassa e il costo del denaro irrisorio, perché i tedeschi non si comprano tutti una casa come fanno gli italiani? Perché il mercato dell’auto non tira? Perché non raccontiamo a tutti che abbiamo sì creato 3,5 milioni di posti di lavoro in dieci anni ma che il numero delle ore lavorate è al livello del 1991?». Le risposte sono nel libro: con i contratti atipici e i minijob (lavori da 400 euro al mese molto diffusi in Germania) si è contribuito a creare una classe di lavoratori malpagati. Così è scesa la conta dei disoccupati, «ma abbiamo la quantità, non certo la qualità». Szarvas non dimentica la politica. parla delle riforme «eccessive» proprio con il loro inventore. E scrive: «Durante l’intervista ho l’impressione che il cancelliere senta di essere stato imbrogliato dal settore privato», visto che nelle sue intenzioni i contratti atipici dovevano essere solo base per il pieno reintegro dei disoccupati nel mondo del lavoro. Abusando anche di strumenti immaginati solo per far fronte ai picchi di lavoro, «le imprese tedesche hanno fatto dumping salariale rispetto al resto d’Europa», producendo in sostanza a costi bassissimi grazie alle sovvenzioni di uno Stato che preferisce pagare un lavoro atipico anziché erogare un’indennità di disoccupazione. Concordi con la scrittrice, sia l’ex cancelliere sia il suo ex ministro dell’Interno Otto Schilly affermano che l’Agenda 2010 «deve essere rivisitata, riformata».
Ecco perché, voce fuori dal coro, la giornalista saluta i primi passi del governo di Große Koalition (aumento delle pensioni e reddito minimo per legge) quale rettifica degli eccessi precedenti. E se il reddito minimo porterà alla chiusura di qualche azienda, «tanto meglio: chi vive di sussidi non deve stare sul mercato. Sul lungo periodo avremo posti di lavoro più sani e sostenibili». Senza dimenticare, aggiunge, che il reddito minimo colma un vuoto legislativo: alcuni Paesi europei hanno protestato negli scorsi mesi con l’Ue proprio per la capacità delle aziende tedesche di vendere alcuni prodotti «a prezzi stracciati». Meglio allora l’Italia dei cittadini «ricchi» proprietari di case o la Germania dei «poveri» tutelati però da uno Stato sociale generoso? «Purtroppo non ci sono ricette che vanno bene per tutti».