Paolo Giordano, Il Giornale 11/4/2014, 11 aprile 2014
“DISCO RAP CON MINA. COSÌ HO VINTO UNA SFIDA IMPOSSIBILE”
In effetti chi se lo aspettava. Mondo Marcio e Mina. Insieme. A modo loro su di un disco. A modo loro, un gran bel disco.
Si intitola Nella bocca della tigre ed è un evento: «In ogni brano uso campionamenti presi dai suoi brani, adattandoli ai ritmi dell’hip hop». Bingo. D’accordo, sempre più spesso, i rapper collaborano con la nomenclatura della canzone d’autore italiana. Una sorta di legittimazione trangenerazionale. Ma Mina è Mina. E quando il rapper milanese ha annunciato l’uscita del disco, lui che è un rapper sui generis e comunque più votato alla ricerca che agli squilli del glamour (il suo singolo Dentro alla scatola del 2006 è ormai un classico), pochi immaginavano un’operazione così complessa e coraggiosa. «In effetti era un rischio per entrambi. E dire che tutto è nato quasi per gioco», conferma lui sorridendo. Addirittura.
Scusi un disco del genere non può nascere da una casualità.
«Quasi un anno fa stavo registrando provini ed ero molto annoiato da ciò che sentivo intorno a me, sia nel rap che nel pop. Troppo autotune. Troppa piattezza. E io facevo fatica a trovare l’ispirazione».
E così?
«Mi sono accorto che per troppi, specialmente in Italia, il rap è ancora considerato una musica per ragazzini. Negli States, per dire, è invece ritenuta come the voice of voiceless, la voce dei senzavoce grazie anche a rapper geniali come Jay Z o Notorius BIG o Ice Cube che cantavano rime nelle quali da ragazzino rivedevo la mia storia. Mi è venuta voglia di aiutare questa musica a trovare ancor più legittimazione».
E ha chiamato Mina.
«In realtà avevo campionato un frammento di Un bacio è troppo poco (lato B del 45 giri Soli, anno 1965 - ndr) e ho provato a spedirglielo, senza peraltro sperare di ricevere risposte».
Quindi?
«Dopo qualche giorno sul cellulare ricevo una chiamata da numero sconosciuto. Ho risposto pensando fosse una televendita. Invece sento: Ciao, sono la Mina. E mi ha fatto i complimenti per la canzone. Sono rimasto sotto choc per un bel po’ di minuti!».
Avrebbe potuto finire tutto lì.
«E invece, con una incredibile naturalezza, ci siamo detti: perché non provare a fare tutto un disco così? Dopo un attimo mi sono caricato il repertorio di Mina sull’ipod e per un mese ho ascoltato tutti i suoi settanta dischi. Mi svegliavo, andavo a correre, vivevo e poi andavo a dormire con la sua musica. Non volevo cercare i suoi classici (a parte Parole parole), ma brani magari meno conosciuti che però fossero adatti al disco. Con un pensiero preciso in testa».
Quale?
«Questo non è un album omaggio e io non mi sono mai trattenuto nelle mie rime. Questa è la storia di un ragazzo che voleva farcela e si è fatto un mazzo così per riuscirci da solo. Un hustler insomma, uno che si arrangia».
Qualche capello bianco, toni meno aggressivi, uno sguardo più sereno: Mondo Marcio sembra un altro.
«Sono molto, molto contento del mio percorso e mi tranquillizza il rap che finora ho fatto. Alla fine il vero giudice della qualità musica è il tempo. E sembra che mi stia dando ragione».