Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 11/4/2014, 11 aprile 2014
L’ENI È PARTE DELL’I NTELLIGENCE? IL PREMIER HA RAGIONE SOLO A METÀ
Sono ancora tutti perplessi. Ma cosa voleva dire venerdì il premier Matteo Renzi a Otto e Mezzo con quella frase? “L’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi segreti”. Gaffe o messaggio (cifrato, ovviamente)? Tempo due giorni e sul sito Dagospia il legame tra Eni e servizi segreti si palesa in una candidatura: l’ambasciatore Giampiero Massolo, che oggi è il capo dei servizi segreti, sarebbe uno dei papabili per la presidenza dell’Eni, da assegnare nei prossimi giorni, un nome che “consentirebbe di sanare la ferita nei rapporti con Silvio Berlusconi”. L’ipotesi Massolo è stata rilanciata ieri anche dal Sole 24 Ore.
Renzi alludeva al nome di Massolo? Chissà. Il tema dei rapporti tra Eni e servizi appassiona da anni gli analisti, come Giuseppe De Lutiis, grande esperto della morte di Enrico Mattei, il presidente che creò l’Eni e che aveva una sua struttura di intelligence, non fidandosi delle reti ufficiali. Il filone della controstoria dell’Eni parte dal coinvolgimento della Cia nella morte di Mattei, passa per il ruolo del suo successore Eugenio Cefis e arriva alla morte di Pier Paolo Pasolini dovuta al suo romanzo-inchiesta Petrolio. Donato Speroni, un giornalista che è stato capo delle relazioni esterne Eni, nel suo Intrigo Saudita (Cooper) ricorda i legami tra il presidente piduista dell’azienda Giorgio Mazzanti (1979-1980) e il colonnello Stefano Giovannone, che per il Sismi seguiva il Medio Oriente. La tangente Eni-Petromin, secondo Speroni, non servì a finanziare la P2 e i partiti italiani, ma ad assicurarsi che l’Olp palestinese non facesse attentati in Italia. Anche Francesco Pazienza, l’agente segreto condannato per la strage di Bologna, nelle sue rocambolesche (e chissà quanto affidabili) memorie Il disubbidiente (Longanesi) racconta di riunioni alle Seychelles tra spioni italiani e dirigenti Eni che arrivavano con il Falcon aziendale.
Finita la Guerra fredda, Franco Bernabè diventa amministratore delegato dell’Eni nel 1992 in piena Tangentopoli. Conosce bene il mondo dei servizi segreti, Francesco Cossiga lo aveva voluto con Paolo Savona e Carlo Jean in una commissione per la riforma dell’intelligence. Ma negli anni, in convegni e occasioni pubbliche, Bernabè ha sempre sostenuto che aziende e servizi devono muoversi su binari diversi, le spie devono perseguire l’interesse nazionale e rispondere al presidente del Consiglio, non ai manager. Gli spioni degli altri spesso sono più promiscui, basta leggere il libro di Pierre Lethier Argent Secret: l’ex agente francese racconta come, per conto del presidente François Mitterrand, lavorava nell’Italia del 1992 per spingere la fusione Eni-Elf (l’omologa francese) cui Bernabè si opponeva. Lethier coinvolge l’imprenditore Giacinto La Monaca con il quale fa arrivare i desiderata di Mitterrand a Romano Prodi per il tramite di Ricardo Franco Levi, suo storico collaboratore. A Prodi, La Monaca riferisce le telefonate con Bernabè, contrario all’operazione.
All’Eni si sta chiudendo la lunga stagione di Paolo Scaroni, al vertice dal 2005. Scaroni si è sempre mosso vicino al mondo dell’intelligence: amico dell’ex capo del Sismi Niccolò Pollari, sostenuto da Gianni Letta, che aveva la delega ai servizi, legato al faccendiere Luigi Bisignani che proprio dal suo accesso (spesso vero, sempre vantato) a informazioni privilegiate anche dei servizi traeva la sua influenza sul potere romano. “L’intelligence analizza l’evoluzione politica all’estero, quando l’Eni opera in Paesi come la Libia c’è uno scambio di informazioni tramite la Farnesina, niente di losco”, spiega un dirigente del gruppo. Anche nelle vicende più opache, come quella del rimpatrio forzato di Alma Shalabayeva in Kazakistan, prove di rapporti diretti tra l’Eni e i servizi non se ne sono trovate: certo, il gruppo di Scaroni ha investito tanto nel giacimento del Kashagan e tratta con il governo di Nazarbayev, certo, la moglie del dissidente kazako è stata rintracciata formalmente da servizi segreti, ma israeliani, non italiani.
A quanto si capisce – perché i servizi segreti sono pur sempre, almeno un po’, segreti – il legame tra Eni e intelligence è mediato dal ministero degli Esteri: gli spioni riferiscono ai diplomatici, che poi si coordinano con l’Eni. Da anni c’è un diplomatico distaccato dalla Farnesina in azienda: dal 2011 è Pasquale Salzano, vicepresidente per International Public Affairs, prima c’era Vincenzo De Luca oggi console a Shanghai. La diplomazia italiana e quella aziendale dell’Eni sono tutt’uno: basta leggere i cablogrammi rivelati da Wikileaks, quando nel 2008 l’ambasciatore Usa a Roma Ronald Spogli esprimeva l’irritazione americana per gli affari di Scaroni con la Russia e con l’Iran. Informazioni sensibili come i dettagli dei contratti take or pay con Mosca sono segreti per tutti tranne che per Scaroni e il suo braccio destro Marco Alverà. Se Renzi volesse conoscerli forse dovrebbe chiedere agli 007. O al suo ministro dell’Economia, perché gli esperti del ramo assicurano che l’intelligence migliore è quella della Guardia di finanza che riferisce al Tesoro.
Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano 11/4/2014