Alessandro Pasini, Corriere della Sera 11/4/2014, 11 aprile 2014
ROSSI: «VIVO SOTTO ESAME MA MI DIVERTO UN MONDO»
Valentino negli States è sempre stato un eroe. Accadeva quando suonava il rock al Cavatappi, ma anche quando remava controvento in Ducati: gli altri vincevano, l’ingorgo di folla («We want Rossi!») c’era solo fuori dal suo garage. Ma se sul Valentino simbolo del cosiddetto made in Italy che incanta gli americani non ci sono dubbi, la domanda senza risposta oggi è un’altra: che cosa c’è oltre il 2 posto del campione in Qatar? Un’altra illusione, e dunque una stagione pallida come quella del 2013, oppure la svolta, e magari il ritorno ai fasti di un tempo?
Il punto è chiaro. Pure l’anno scorso, infatti, Rossi esordì con un 2° posto nel deserto (allora dietro Lorenzo, stavolta dietro Marquez) e tutti intonammo canti e musiche. Poi, sul Circuit of the Americas che per la prima volta ospitava le moto, il flop: 6° posto nel giorno della prima vittoria di Marquez in MotoGp, distacco forte, l’impressione che qualcosa non stesse funzionando in se stesso, nella moto e nella squadra. Com’è andata la stagione si sa. Non malissimo, ma neanche bene. Un limbo. Molto poco rossiano.
Dunque — senza assilli («Sono da sempre sotto esame, ma io mi diverto e finché sarà così non penso minimamente di smettere») — Valentino in Texas cerca risposte: «Qui e in Argentina (27, ndr ) vorrò capire se sono davvero più competitivo dell’anno scorso. L’obiettivo? Ridurre il distacco dal primo, e poi naturalmente il podio, come ogni gara». La questione — come sempre con un pilota come Rossi che non perde mai lucidità e freddezza — non è psicologica o cabalistica, ma puramente tecnica. Pista tendenzialmente favorevole alla Honda, il Circuit impone un intelligente lavoro di messa a punto. Nel 2013 l’operazione non riuscì, e fu proprio allora che il campione cominciò ad avere i primi dubbi su Jeremy Burgess, poi licenziato a fine campionato. «Sbagliammo tutto — ricorda Rossi —. Lavorammo male e non riuscimmo mai a mettere a posto la moto in due giorni di test e tre giorni di gara. Tanto per dire: Crutchlow arrivò qui senza aver mai visto la pista e in 10 giri già andava più forte di me. Ora va bene che sono vecchio, ma rincoglionito no». Adesso con la gestione Galbusera le cose sembrano andare meglio e Rossi è ottimista: «Siamo più forti a mettere a posto la moto. Infatti fino a ora siamo andati veloci su tutte le piste».
Così, se un anno fa si sentiva abbandonato a se stesso, ora Rossi sente di avere di nuovo una squadra di fianco. E un futuro davanti: «Quando ho parlato di sei gare per decidere, è perché in genere è verso giugno che si comincia a fare i programmi per l’anno successivo. Io però non ho dubbi. Se la Yamaha è d’accordo, io sono qui». Senza dubbi e senza piani B. «Se mi chiamasse un’altra Casa? Ragazzi, ho già dato una volta… Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico. Se dovesse restarmi solo una moto che non è la Yamaha, forse allora sì che smetterei».
Rossi così carico è il prodromo di un week end interessante e pieno di altri spunti da seguire: Marquez che tenterà già la fuga; Pedrosa che proverà chissà come a fermarlo; Lorenzo, incupitissimo dal Qatar, che cercherà i primi punti; la Ducati che vorrà proseguire sulla scia del buon week end di Losail; le Open che studieranno altri modi per guastare qua e là il volo dei prototipi; e, a incorniciare lo show, il bel gesto del Circuit che, grazie all’intervento di Kevin Schwantz, vecchio idolo e amico di Marco Simoncelli, donerà un dollaro per biglietto alla Fondazione per il pilota scomparso nel 2011. L’anno scorso ne vennero venduti 130 mila in tre giorni. Il giusto regalo del popolo dei rider, che non dimentica mai i suoi eroi.