Davide Giacalone, Libero 10/04/2014, 10 aprile 2014
LA PEZZA MESSA SU BANKITALIA È PEGGIO DEL BUCO DI LETTA
Le cose nate storte non si raddrizzano a colpi di tasse. La porcheria del trasferimento di patrimonio collettivo in alcuni bilanci privati, realizzata mediante l’orrida modalità della rivalutazione del capitale della Banca d’Italia, produce oggi un obbrobrio aggiuntivo, consistente nel far passare la tassazione di quell’operazione dal 12 al 24 o 26%, come previsto dall’abbozzato Def. Anche solo farsi venire una simile idea significa confermare la nostra denuncia, che fu a lungo solitaria e sulla quale Matteo Renzi non volle mai dire una parola. Neanche un tweet. Ma per metterla in pratica, per riprendersi una parte (piccola) dei soldi regalati, si è costretti a confermare che lo Stato italiano è inaffidabile. Concetto non solo sgradevole, ma che porta male.
Non sto a ripercorrere questa storiaccia. I nostri lettori hanno potuto conoscerla nel dettaglio e in anticipo. Sono anche convinto che torneremo a parlarne quando i nodi verranno al pettine e la Banca d’Italia riacquisterà il proprio patrimonio inutilmente oltraggiato. Sta di fatto, però, che l’operazione aveva tempi e contropartite definiti. Li consideravo inaccettabili, ma c’erano: 1. la rivalutazione si sarebbe trovata nel bilancio 2013 delle banche (divenute) azioniste, tassata al 12%; 2. in cambio il sistema bancario pagava il 130% di anticipo Ires e accettava una addizionale straordinaria dell’8,5. Questo era il patto (scellerato) fra le banche e il governo Letta, inserito in un decreto, poi convertito in legge. Non che la cosa sia decisiva dal punto di vista della legalità e della credibilità, ma certo è rilevante dal punto di vista politico: il governo Letta era sostenuto dalla medesima maggioranza del governo Renzi e quest’ultimo, da noi direttamente ed esplicitamente sollecitato, non fece alcuna opposizione, mentre su altri temi martellò ripetutamente le gambe del predecessore, fino a spezzarle.
Per alzare l’aliquota, oggi, si deve non solo varare un provvedimento retroattivo, dimostrando che quel che prevedono le leggi italiane vale lo spazio di un matti-
no, ma si deve far partire la retroattività prima della fine di questo mese, perché entro quel giorno le banche devono approvare i bilanci con gli accantonamenti necessari. E siccome il Def non è un decreto, deve ancora essere spedito alle autorità Ue, e neanche s’è deciso se far pagare il 24 o il 26%, entro quella data non sarà legge manco a cannonate. Che devono fare, allora, le banche, prendere la conferenza stampa come fonte del diritto?
Può darsi che qualcuno, ascoltando l’annuncio (ennesimo), abbia pensato: in fondo il governo Renzi riprende un po’ di quel che il governo Letta aveva elargito. Non è così, semmai il governo attuale prova a zuppare il pane nella ciotola riempita ai predecessori. Ma è una scena inguardabile. Con un alto tasso d’illegittimità.
Tale operazione dovrebbe dare 1 miliardo e 50 milioni in più, portando a 2 miliardi la tassazione di quella rivalutazione. A questi aggiungete i 4.5 miliardi originati da tagli della spesa pubblica (ma non sappiamo in cosa consistono) e i 12 derivanti da privatizzazioni (che sarebbero da festeggiare se solo sapessimo sulla base di quale disegno complessivo). Queste sono quote rilevantissime delle coperture. Se anche quel che ho scritto fosse totalmente sbagliato, l’operazione porterebbe a un abbassamento del debito che si concluderebbe con una sua crescita in rapporto al pil e a un rilancio dei consumi che porterebbe a una crescita asfittica, assai minore di quella di altri europei.
È da sciocchi polemizzare come se i problemi non fossero grossi e seri. Ma è da allocchi credere che si possa affrontarli indebolendo l’affidabilità dello Stato, delle sue leggi e dei suoi conti.