Marco Missiroli, Corriere della Sera 10/04/2014, 10 aprile 2014
IL SIGNORE DELLE MENZOGNE IN PURGATORIO
La menzogna, la verità, infine la menzogna: la salvezza è negli estremi bugiardi di questa trinità.
La sua caduta è al centro: il vero. Saul Karoo sa, e incarna l’inganno ogni sacrosanto giorno della sua esistenza. È un falsario di sceneggiature, un marito decaduto, un padre assente, un impostore con se stesso. È il signore degli acrobati, crede che l’equilibrio sia una questione di rimozione. Rifugge la pietà per pigrizia, l’empatia per opportunismo e il buonsenso per noia. Accetta un dettaglio: la deriva di un successo immeritato.
Finché, per un attimo solo, decide di affidarsi all’autenticità dei legami, smarrendosi. L’odissea è nel suo nome-eco, Karoo , romanzo travolgente di Steve Tesich che Adelphi porta in Italia dopo la grande riscoperta francese. È un’opera postuma del 1998 che Tesich, scrittore e sceneggiatore serbo-statunitense, finì senza vederne la pubblicazione. Veniva da alcuni copioni di fama planetaria, tra cui l’Oscar ottenuto nel 1979 per Breaking Away , e da una manciata di libri trascurabili. Il genio è in questo romanzo che rischiava di rimanere nel cassetto e che potrebbe sfidare, e a tratti mettere al tappeto, La versione di Barney di Mordecai Richler.
«Sono un piccolo ma ben remunerato ingranaggio dell’industria dell’intrattenimento. Aggiusto sceneggiature scritte da altri. Riscrivo. Sono uno scribacchino di professione con un’abilità che ha finito per l’essere considerata talento. Il mio lavoro consiste per lo più nel tagliare il superfluo e aggiungere battute spiritose. Due cose che mi vengono bene. Via i personaggi secondari, i sogni e i flashback ».
La mannaia di Karoo si abbatte sugli script melensi, e sulla sua vita: i personaggi secondari sono il figlio adottivo e la moglie, i sogni diventano ogni tipo di illusione, i flash-back la sua memoria intima. Saul taglia il cuore, risparmia i cocktail e una serie di nevrosi incurabili che generano legami tossici e codardie raffinate. Ha la dote insuperabile di trovarsi nel posto giusto quando serve e custodire una certa dose di spirito, due congiunture che lo porteranno a diventare lo script doctor più ricercato di Hollywood. Il suo colpo di fortuna è aver rovinato sceneggiature capolavoro che in pochi avrebbero capito, trasformandole in mangimi da intrattenimento.
L’alchimista del XX secolo sa come va il mondo e lo avvelena, nel frattempo scialacqua soldi e una buona dose di solitudine. Karoo è un uomo solo. Si prepara a un divorzio tragicomico e incespica in un femminile di passaggio, «Ogni volta che una delle donne con cui ho avuto una delle mie tante brevi relazioni ha simulato un orgasmo, sono sempre stato profondamente commosso da quell’atto di generosità disinteressato. I loro sporadici orgasmi erano molto meno toccanti».
Ha un’ironia tenera, a tratti corrosiva, possiede lo spirito ebraico che amalgama causticità e saggezza. Anche in questo ricorda Barney Panofsky, insieme si affannano per conservare i buoni ricordi. Entrambi custodiscono una dozzina di vangeli tra cui i ristoranti fidati, le vie di fuga, i ritorni maldestri.
Barney e Saul credono di schermare il sentimento, invece lo assorbono. «Era un’altra delle mie malattie. Non sapevo esattamente che nome darle. Elusione di intimità. Elusione categorica di ogni forma di intimità. Con chiunque». Come nelle sue sceneggiature, Karoo è attento a ripulirsi dai legami viscerali, sbaglia malamente con l’attrice di uno dei suo film.
Karoo innamorato vale il prezzo del biglietto. È l’Ulisse che ritorna a Itaca e scopre che la sua indole è il viaggio, non la casa. Riparte, ma lo fa con Penelope. Dopo un matrimonio sbagliato, dopo dozzine e dozzine di mattatoi amorosi, dopo che la saracinesca era abbassata dalle nevrosi, uno spiraglio sopravvive.
Così il re degli impostori sposa per un attimo l’onestà. E si scopre. Svela al mondo la solitudine cronica e i trucchi per annebbiarla, scoperchia la malinconia. Qui succede qualcosa di raro, il lettore si fida a tal punto che è assolutamente convinto che Karoo esista. Che sia stato un personaggio reale, di carne e paranoie, un esempio di fragilità potente. La sua umanità è ai massimi livelli perché è se stessa e rispecchia un mondo in bilico. «Non ero più, mi resi conto, un essere umano; probabilmente già da un po’. Ero un nuovo isotopo di umanità non ancora isolato e identificato. Ero una delle pallottole vaganti del nostro tempo».
È talmente vagante da esser vivo. La sua autenticità è rispettare la propria falsificazione. Non va mai contro natura. Reale più del reale, Saul Karoo cancella lo scrittore che l’ha creato e si racconta per sua mano. Anche quando, nell’ultimo capitolo, la narrazione passa dalla prima alla terza persona.
È uno dei rischi massimi in un libro, Tesich-Karoo lo fa sembrare un cambio di ottava della stessa voce. L’ultimo atto di fede verso un protagonista che non si tradisce mai. C’è un momento in cui potrebbe farlo, rinnegarsi, accade quando Saul si trova in una macchina noleggiata con la sua fidanzata attrice e il figlio adottivo. È il giorno della prima del film, l’evento più importante per Saul e per la sua compagna che ne è la protagonista. Karoo percepisce che qualcosa sta per accadere in quella macchina, non sa come, ma percepisce che la sua cattedrale della bugia crollerà.
Così si ricorda di una scena che aveva riscritto anni prima in una pellicola sui legami tra mafiosi. Tre picciotti molto amici sono in auto a farsi un giro, uno di loro deve morire per mano degli altri due. Ridono e scherzano, la vittima designata non sospetta nulla, tranne quando si fermano a un passaggio a livello. Mentre aspettano il treno le risate degli assassini diventano forzate, l’allegria è posticcia, si scambiano frasi smozzicate. La vittima capisce lo scopo di quel giro in auto. Sente l’epifania della verità.
Allo stesso modo la sente Saul, sono i suoi personaggi ritoccati a suggerirgliela. Ma forse non è troppo tardi. Forse, ancora una volta, la via d’uscita è nella trinità che porta la menzogna. Tutto è ancora lì, nella natura cocciuta di Saul Karoo, «Sono quel che sono, punto e basta».