Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 10/04/2014, 10 aprile 2014
«TREMILA EURO E LA CARTELLA SPARIVA» MAZZETTE A EQUITALIA
ROMA — Bastava pagare, le tariffe andavano dai 3mila ai 13mila euro. Soprattutto bastava rivolgersi ai funzionari giusti. Mentre milioni di cittadini fanno la fila per cercare di trovare un accordo con Equitalia o per saldare il proprio debito, altri versano «mazzette» e chiudono il conto. Non sono pochi. Gli otto arresti scattati ieri per ordine del giudice di Roma — oltre al dipendente Salvatore Fedele e a sua moglie Luisa Musto ci sono imprenditori e commercialisti, accusati di corruzione, concussione, bancarotta, riciclaggio e truffa aggravata — potrebbero essere soltanto i primi. Perché gli specialisti del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza hanno già scoperto oltre 3.000 interrogazioni abusive al sistema informatico fatte proprio da Fedele su altri 400 soggetti, probabilmente persone intenzionate ad «aggiustare» la propria posizione. E perché altri impiegati potrebbero aver usato lo stesso meccanismo per arrotondare il proprio stipendio. Ieri hanno subito una perquisizione il direttore di Equitalia Lazio Alessandro Migliaccio e quello della Calabria Giovanbattista Sabia. Il «buco» da 17 milioni di euro per la mancata riscossione delle cartelle esattoriali scoperto finora potrebbe arrivare addirittura al doppio, oltre 35 milioni di euro. Nell’ordinanza di cattura il giudice lo dice chiaramente: «La condotta illecita è inserita in una apparente, ma anche verosimile e concreta area di illegalità generalizzata all’interno della struttura di Equitalia con favoritismi e discriminazioni diffuse a tutti i livelli». Del resto già nei mesi scorsi un’altra inchiesta aveva svelato l’esistenza di un giro di tangenti per «pilotare» le pratiche ma evidentemente ciò non è stato sufficiente per far scattare controlli adeguati a prevenire gli illeciti.
Le cinque mosse
per non fare fallimento
Le verifiche partono circa due anni fa. Indagando sull’attività di alcuni imprenditori, gli investigatori guidati dal generale Giuseppe Bottillo scoprono i rapporti sistematici che hanno con i dipendenti di Equitalia, in particolare con Fedele. Gli intermediari sono due: il commercialista Domenico Ballo e l’ex funzionario Roberto Damassa. Il giochetto è semplice: mazzette per azzerare debiti che in alcuni casi superano addirittura i 10 milioni di euro. I colloqui intercettati appaiono eloquenti. Il 7 giugno 2012 Ballo chiama Fedele.
Ballo: «Quella cosa che mi dicesti, di quel cliente, di quelle quattro società... tu casomai dovesse andare in porto.. poi chiaramente ci mettiamo...».
Fedele: «Tu nun te preoccupa’».
Il riferimento è a quattro cooperative — Aloha Service, Power Service , Joy Service e Aura Service — travolte dalle contestazioni di Equitalia che vogliono evitare il fallimento. E ci riescono, seguendo il «progetto fraudolento» indicato proprio da Fedele che il giudice riassume così: «Viene presentata la richiesta di rateizzazione e pur non avendo i requisiti necessari si ottiene la dilazione di pagamento nel limite massimo di 72 rate; si pagano le prime rate esclusivamente per non decadere dal beneficio; si mette in liquidazione la società e si affida la carica di liquidatore a un prestanome nullatenente; si effettua la cancellazione dal Registro delle imprese per vanificare qualsiasi pretesa erariale; si fa un monitoraggio della posizione debitoria delle cooperative per prevenire oppure ostacolare eventuali procedure esecutive».
La cancellazione
delle ipoteche
Il 3 ottobre scorso Fedele viene convocato in procura per decisione del procuratore aggiunto Nello Rossi e dei sostituti Francesca Loy e Stefano Fava. All’interrogatorio partecipa anche il colonnello del Valutario Pietro Bianchi che ha analizzato ogni fase della sua attività. Il funzionario ammette di aver preso «mazzette», sembra che cominci a collaborare. In realtà la sua attività illecita pare intensificarsi. Il funzionario si occupa delle grandi aziende, ma anche di pratiche più modeste. Soprattutto realizza per alcuni «clienti» che accettano di versargli la tangente il sogno di milioni di cittadini che hanno conti aperti con Equitalia: togliere l’ipoteca sugli immobili. Lo fa per le società dell’imprenditore Antonio Conte che ha un debito di un milione e mezzo di euro. Alcune mail sequestrate nel corso dell’indagine accreditano l’ipotesi che la «mazzetta» fosse di 3 mila euro proprio per «liberare» le proprietà. Il giudice evidenzia come «il problema dell’ipoteca è stato arginato dagli indagati attraverso la scissione parziale della società in cui sono confluiti gli immobili liberi da pregiudizi».
Il tariffario di Fedele variava evidentemente rispetto all’ammontare del debito. E infatti dalla «Luxor srl» che doveva a Equitalia circa 12 milioni e mezzo di euro, avrebbe preso ben 9 mila e 500 euro. L’imprenditore Pietro Coci ha invece denunciato di essere stato costretto «a versare 25 mila euro in parte in contanti e in parte in assegni per ottenere la rateizzazione e la revoca dei pignoramenti presso terzi che l’Ente aveva disposto» e per questo è scattata anche l’accusa di concussione.
Un patrimonio
di oltre 700 mila euro
Fedeli è accusato di aver percepito mazzette per 75 mila euro. In realtà sui conti correnti intestati a lui e alla moglie, che lavora in un supermercato, sono stati trovati oltre 400 mila euro e l’intero patrimonio della coppia ammonta a più di 700 mila euro. «Somma non giustificata dalla loro attività», come sottolinea il giudice. Il sospetto è che il giro d’affari fosse ben più grande di quello scoperto.
Il 10 febbraio scorso viene interrogata Pasqualina Olimpio, un’anziana signora rintracciata attraverso le intercettazioni telefoniche, che avrebbe cominciato a pagare già nel 2004. E racconta: «Fedele controllava la situazione debitoria mia e delle società consigliandomi di pagare le cartelle di importo più piccolo e aspettare per quelle più grandi, nel caso uscisse un nuovo condono. Gli consegnavo gli assegni per gli importi da versare e lui mi consegnava la relativa ricevuta. Non ho mai dato soldi extra, tuttavia gli lasciavo 50 euro di differenza tra l’importo dell’assegno e quello della cartella perché mi vergognavo a chiedere il resto a una persona che mi faceva una cortesia». In realtà le «cortesie» di Fedele e dei suoi complici venivano ricompensate con tangenti da migliaia di euro.