Danilo Taino, Corriere della Sera 10/04/2014, 10 aprile 2014
IL BAMBINO PACHISTANO DI NOVE MESI SOTTO PROCESSO PER TENTATO OMICIDIO IL BAMBINO PACHISTANO DI NOVE MESI SOTTO PROCESSO PER TENTATO OMICIDIO
Durante il processo, Musa Khan stringeva il biberon al petto per farsi coraggio, visibilmente turbato dalla presenza di tanti estranei. Quando in tutta serietà un avvocato gli ha preso le impronte digitali, però, è scoppiato in un pianto inconsolabile che neanche suo nonno Muhammad è riuscito a placare. Alla fine lo hanno fatto uscire su cauzione, ma dovrà ripresentarsi dopodomani, perché Musa è accusato — insieme ai suoi familiari — di tentato omicidio, anche se avrebbe solo 9 mesi.
Anche per un Paese come il Pakistan, dove si cresce in fretta, la notizia diffusa dai media locali e internazionali ha lasciato la gente a bocca aperta. Il caso inizia il 1° febbraio: una folla colpisce con sassi e bastoni alcuni poliziotti in un quartiere operaio di Lahore. Nel rapporto della polizia, il nome del bambino appare tra coloro che avrebbero «attaccato» lo staff della compagnia statale che fornisce luce e gas, giunto perché gli abitanti non pagavano le bollette, e sarebbe anche «coinvolto» nel «tentato omicidio» degli agenti. Le autorità hanno sospeso il poliziotto responsabile. Ma mentre la polizia minimizza («Un malinteso») e accusa la famiglia di aver distratto i media con la storia del bambino (mentre il vero ricercato sarebbe il fratello maggiore), nonno Mohammed sostiene che gli agenti sono d’accordo con qualcuno che avrebbe interesse a sfrattare illegalmente gli abitanti del quartiere.
Di certo il caso ha portato l’attenzione sul malfunzionamento della giustizia. Gli agenti sottopagati e scarsamente addestrati sono spesso accusati di abusi e di corruzione: un sondaggio di Transparency International rivela che l’86% dei pachistani li ritiene corrotti. Quando nei giorni scorsi è stata annunciata la (rara) nomina di una donna a capo di una stazione di polizia di Karachi, la notizia è stata accolta su Facebook con commenti del tipo: «Spero solo che sia onesta, altrimenti non sarà diversa dai suoi colleghi maschi». I commissari dicono che non è colpa degli agenti e puntano il dito contro un budget federale che prevede 6 miliardi di dollari per l’esercito e appena 686 milioni per la polizia. Ma l’avvocato della Corte suprema Feisal Naqvi afferma che è troppo facile usare il sistema di denunce alla polizia per mettere sotto pressione un rivale in dispute e vendette personali, poiché viene dato troppo peso alle affermazioni degli accusatori, anche in assenza di prove. I media criticano anche il giudice che ha lasciato uscire Musa su cauzione anziché assolverlo subito, visto che la legge fissa a 12 anni l’età minima di responsabilità penale (tranne nei casi di terrorismo).
Non è una sorpresa che in Pakistan i bambini, per ragioni diverse, non godano di grandi tutele: da Malala, la quindicenne che i talebani hanno tentato di uccidere perché difendeva il diritto delle ragazze a studiare, ad Aitzaz Khan, un suo coetaneo sciita che a gennaio ha sacrificato la vita pur di fermare un kamikaze. Circola su Twitter la foto di un soldato che perquisisce un bambino nell’irrequieto Belucistan, mentre gli artisti nel nord del Paese hanno creato una gigantografia di un ragazzino visibile ai droni Usa per ricordare i 200 minorenni vittima di bombardamenti dal 2004 a oggi.
Quanto a Musa, ora vive in clandestinità. «La polizia è vendicativa — dice nonno Muhammad —. Il caso di mio nipote è diventato una questione personale per loro, e io intendo proteggerlo».
Viviana Mazza
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DAL NOSTRO INVIATO NEW DELHI — Domani Narendra Modi, l’uomo nuovo della politica nazionale indiana, sarà magicamente in un centinaio di città allo stesso tempo: lo annuncia il sito web del suo partito, il Bjp. E l’evento si ripeterà per un’altra decina di volte nei prossimi giorni: almeno mille posti si accenderanno della sua presenza entro il 12 maggio, fine della lunga corsa elettorale. La visione sarà in ologramma 3D: la prima volta al mondo che qualcosa del genere viene fatto su questa scala per motivi politici. Se funzionerà — grosso «se» — lo spettacolo porterà il mito di Modi a un nuovo livello. In un Paese in cui il culto della tecnologia e il culto della personalità sono cose serie, la scelta dell’ubiquità hi-tech si avvicina alla perfezione.
Attorno a Modi — 63 anni, un lontano passato da venditore di tè, per tre volte eletto Chief Minister dello Stato del Gujarat (è ancora in carica) — si sta in effetti gonfiando un’enorme bolla di interesse, di entusiasmo e di aspettative, dal momento che promette di vincere la corruzione, l’inflazione, la burocrazia, la disoccupazione, di essere buono e onesto. La sua faccia — barba e capelli bianchi — è ovunque, manifesti, pubblicità a piene pagine sui giornali, stampe. La sua voce rimbomba da tutte le radio. Le televisioni lo inseguono. I giornali intervistano il suo sarto (che non lo vede dal 2002) per chiedergli le misure del grande uomo che si fa cucire i kurta (le tuniche) rosa, bianchi, marroni. Nel corso delle elezioni — che in India durano, in varie giornate, dal 7 aprile al 12 maggio, data lo sforzo necessario per portare al voto in teoria 814 milioni di persone — terrà 180 comizi (in carne ed ossa, non da avatar). Su di lui si fanno poesie, si disegnano fumetti (anche dissacranti), per lui si dicono preghiere e si cantano canzoni sul ritmo di quelle dedicate al dio Shiva. Qualcuno comincia a pensare che stia davvero nascendo un culto della personalità simile a quello che all’inizio degli anni Settanta investì Indira Gandhi e la aiutò a rafforzare un certo suo autoritarismo che nel 1975-77 sfociò nella sospensione delle libertà democratiche.
Non è affatto detto che Modi si monti la testa. È un nazionalista indù tutto d’un pezzo: il che significa che porta avanti politiche che possono risultare discriminatorie nei confronti di altre comunità etniche e religiose. Per anni è stato considerato un paria dalla comunità internazionale perché sospettato di avere tollerato un massacro, soprattutto di musulmani, avvenuto nel Gujarat poco dopo la sua prima elezione. È insomma ritenuto una figura che divide. Fin da quando aveva nove anni frequenta il movimento di destra Rss — 40 milioni di membri — che predica la purezza indù, e dal quale il partito Bjp è nato negli anni Novanta per essere il braccio politico. Quanto a grilli per la testa, però, finora Modi non sembra averne avuti: non si è mai sposato per dedicarsi alla causa indù, non pare si sia arricchito, dedica ogni minuto al lavoro.
Più rilevante è che, martedì scorso, nel presentare il manifesto elettorale del partito — crescita economica, liberalizzazioni del business escluso il commercio al dettaglio, educazione, riforme istituzionali, riconoscimento dei più poveri compresi i musulmani e altro — abbia fatto tre promesse: «Lavorerò per realizzare il mandato che il popolo mi dà; non farò mai niente per me stesso; e non farò nulla con cattiva intenzione». Non è detto che si dimostrino parole vuote: i suoi sostenitori dicono che non ha famiglia e figli quindi non ruberà; che non si avventurerà in vendette perché è intelligente e scaltro; che realizzerà quel che promette come ha fatto nel Gujarat a alto tasso di crescita. In fiducia, per la campagna elettorale la gente gli ha dato molti più fondi che al Congresso della famiglia Gandhi: c’è chi dice in una proporzione di 9 a uno, più probabilmente il doppio
La gran parte dei giovani, delusi dal Congresso al potere da dieci anni, è con lui; come, per la stessa ragione, il business e la parte di India più moderna che vuole riforme; e, ovviamente, una porzione massiccia degli indù, che sono l’80% della popolazione. I sondaggi lo danno vincente a Nord, a Sud, a Est, a Ovest, tra i 18-19enni e in tutte le fasce di età; tra tutti i gruppi religiosi esclusi i cristiani e i musulmani. Il vecchio potere raccolto attorno alla famiglia Gandhi sembra frastornato.