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 2014  aprile 10 Giovedì calendario

QUEL GRAN BUSINESS DELLO STADIO


SE IL CALCIO È UNA RELIGIONE lo stadio è il suo tempio. I club europei hanno capito da tempo quanto sono fondamentali queste strutture per i propri bilanci. In Italia, invece, i nostri club tentano di riparare adesso, in colpevole ritardo, il disastro di fine anni Ottanta. Germania, Spagna e Inghilterra riescono a sfruttare a pieno il “fattore stadio” per vendere biglietti e merchandising come mostrano i dati del rapporto Football Money League 2013 di Deloitte e il ReportCalcio2013. Nell’ultima stagione, ad esempio, il fatturato legato agli impianti sportivi era il 32% dei ricavi totali dei 20 club della Liga spagnola. Un terzo di quanto ricavato in una stagione, in pratica, in Europa proviene da biglietti, abbonamenti, strutture inerenti allo stadio. Una manna dovuta anche all’alta affluenza dei tifosi. Da noi, al contrario, gli spettatori delle gare ufficiali calano. Nella stagione 2008/09 inSerie A se ne registrava una media di 25.267 a partita. Nel giro di cinque anni si è scesi di oltre 2.000 unità a gara (a fine girone d’andata la media era 23.152). Risultato? In Italia lo stadio conta poco (11% del fatturato totale) e il confronto tra i nostri top club e le migliori squadre europee è impietoso. Il Manchester United, miglior società per guadagni da biglietti e abbonamenti, nel 2012/13 ha incassato 127,3 milioni di euro grazie al suo Old Trafford. Eccellenze come l’Emirates Stadium (Arsenal) o l’Allianz Arena (Bayern Monaco) portano in dote cifre da capogiro: rispettivamente 108,3 e 87,1 milioni nell’ultimo anno. La Juve, miglior club italiano, ne ha guadagnati “solamente” 38.
E sono stati proprio i bianconeri, con lo Juventus Stadium inaugurato nel 2011 (primo vero impianto di proprietà nel nostro campionato), a provare a invertire la rotta negativa italiana imboccata negli ultimi 20 anni. Si, perché a differenza di altri paesi come Germania (nel 2006) o Francia (nel 1998), che sono riusciti a sfruttare i Mondiali per costruire strutture all’avanguardia, il nostro problema risale a Italia ’90. I 1248 miliardi di lire (2500 milioni di euro rivalutati a oggi) per le 12 strutture della Coppa del Mondo italiana non sono stati spesi bene. Basta guardare a impianti come il San Nicola di Bari o il Sant’Elia di Cagliari che non riescono più a produrre guadagni. Il calcio da noi è ancora un business di diritti tv e vendite commerciali, ma serve uno sforzo dei club per raggiungere il livello europeo. La Juventus ha indicato la strada giusta, seguita da Udinese e Sassuolo. Le nuove proprietà di Roma e Inter promettono la realizzazione di impianti tecnologici, in grado di riportare la gente allo stadio. La tanto attesa legge per la costruzione di strutture innovative e la ristrutturazione delle esistenti è ferma in Parlamento dal 2008. Ma aspettarne l’approvazione definitiva è un rischio enorme. Che si gioca tutto sulla passione dei tifosi e che, alla fine, strozza gli stessi club.