David Rowan, Wired 4/2014, 10 aprile 2014
Ciao, mi chiamo Jan Koum. Sono sfuggito al comunismo in Ucraina e in America ho cominciato da zero. Ho creato WhatsApp perché odiavo la censura e l’ho venduta a Facebook. Per 19 miliardi di dollari. La mia storia è per te, e per 450 milioni di altri…
Quando viveva di assistenza pubblica, la famiglia di Koum andava a ritirare i buoni per gli acquisti alimentari a un paio di isolati dall’ufficio di Mountain View, privo di insegne, che oggi ospita la sua azienda, WhatsApp.
Koum emigrò a 16 anni dall’Ucraina comunista – dove le linee telefoniche di tutti i cittadini erano intercettate – e lui e sua madre raramente potevano permettersi il lusso di telefonare dall’America ai familiari rimasti lì.
E dunque, quando a 31 anni Koum lasciò il suo lavoro a Yahoo! con in tasca una quantità di soldi sufficiente a fondare un’impresa tutta sua, fu naturale pensare a un progetto per democratizzare le comunicazioni telefoniche. Mentre muoveva i primi passi, si attenne a trE sole regole: il suo servizio sarebbe stato privo di pubblicità: era un elemento estraneo all’educazione sovietica di Koum, e la sua assenza gli era parsa positiva; non avrebbe immagazzinato messaggi mettendo a repentaglio la privacy dei cittadini; si sarebbe concentrato sul compito di garantire una user experience priva di marchingegni e attriti, e affidabile.
Sono passati cinque anni dal lancio, WhatsApp è tra le app telefoniche più popolari e redditizie del mondo, e Facebook l’ha da poco acquistata per 16 miliardi di dollari più altri 3 miliardi per i fondatori e per lo staff. In una giornata tipo di gennaio, attraverso la sua rete sono stati spediti oltre 18 miliardi di messaggi, due miliardi in più rispetto all’inizio di dicembre, e a un soffio da quei 19,5 miliardi di messaggi spediti ogni giorno come sms. Circa 450 milioni di persone sono utenti mensilmente attivi (erano 400 milioni nel dicembre 2013, 300 a luglio e 200 in gennaio). E questo “attivi” differenzia WhatsApp da molti concorrenti che vantano grandi numeri: come Koum ha detto con stizza su Twitter «mettere a confronto il numero totale degli utenti registrati e quello degli utenti attivi è come paragonare una Ferrari 250 GTO e uno skateboard». La maggior parte degli utenti attivi paga per l’abbonamento annuale un dollaro, una sterlina o un euro.
Come è riuscito un non-tecnico a creare un prodotto che, se manterrà i tassi di crescita attuali, all’inizio del 2015 arriverà a superare il miliardo di utenti? Come ha fatto, in un mercato saturato da app di messaggeria mobile, a restare davanti a iMessage di Apple, WeChat di Tencent, Facebook Messenger, Snapchat, Line, Kik Messenger, Kakao-Talk e altri – e tutto questo con una cinquantina di dipendenti appena? E quale sarà il futuro di WhatsApp, adesso che fa parte di Facebook, con la sua raccolta dati e il suo business basato sulle inserzioni?
Appiccicato sulla scrivania di Koum, nel suo ufficio open space, c’è un biglietto scritto a mano dall’altro fondatore, Brian Acton: “Niente annunci pubblicitari! Niente giochi! Niente trucchi!”. Accanto al biglietto c’è una coppia di walkie-talkie che Koum sta usando per capire meglio come semplificare la funzione dei messaggi vocali. «Siamo la più atipica delle aziende di Silicon Valley», dice Acton, un quarantaduenne del Michigan ben curato un po’ rosso in faccia. Il contrario di Koum, che è alto 1 metro e 88, è scuro scuro e non si fa la barba. «Avevamo trent’anni quando l’abbiamo fondata; ci siamo concentrati sulla sostenibilità economica e sui profitti, piuttosto che sull’ingrandirci rapidamente; siamo innanzitutto mobili; e siamo innanzitutto globali».
Acton è stato il dipendente numero 44 di Yahoo!, lavorava sui banner, sullo shopping e i viaggi, e poi sugli annunci sponsorizzati. Laureato in Informatica a Stanford, è cresciuto in Florida giocando a golf: il padre adottivo aveva tentato la carriera di giocatore professionista, mentre sua madre gestiva un’azienda di trasporto aereo. Nel 1997 aveva assunto Koum per un lavoro nella sicurezza dei sistemi. Entrambi lasciarono Yahoo! lo stesso giorno, il 31 ottobre 2007, e restarono in contatto. Il 24 febbraio 2009, il giorno del suo compleanno, Koum disse ad Acton di aver appena registrato un’azienda per creare un’app telefonica di “status”. Si sarebbe chiamata WhatsApp.
La prima prova, nel maggio 2009, fu un buco nell’acqua. Ma un mese dopo Apple introdusse in iOS 3.0 le notifiche push. Questo spinse Koum a ripensare WhatsApp come una app di messaggistica completa e multipiattaforma che avrebbe usato la cartella dei contatti telefonici come «un social network prefabbricato», e il numero di telefono al posto di un login. L’estate prima Koum era dovuto passare per tre diversi account Skype perché non riusciva a ricordare username e password, ed era deciso a far sì che la sua app «funzionasse e basta». A settembre, quando la cosa partì, Acton aveva già deciso di unirsi a Koum, di fare un giro di raccolta investimenti e di sperimentare modelli di business che avrebbero portato profitti, ma anche assicurato una crescita controllata, che le loro infrastrutture fossero in grado di reggere. «Quando eravamo gratis la nostra crescita era stata superveloce – 10mila download al giorno», ricorda Acton. «E quando siamo passati al servizio a pagamento abbiamo cominciato a declinare fino a 1000 al giorno». Alla fine dell’anno, dopo aver aggiunto i messaggi con fotografie, decisero di far pagare una cifra una tantum per il download, in seguito modificata in un abbonamento annuale. Fin dall’inizio fu rifiutata la pubblicità – che, secondo il primo tweet di Koum del 28 agosto 2011, in cui riportava le parole di Tyler Durden in Fight Club «ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono».
«Non c’è niente di più personale del comunicare con gli amici e la famiglia, e interrompere questa cosa con la pubblicità non è la soluzione giusta», dice Koum quando lo intervistiamo, prima dell’accordo con Facebook. «E non abbiamo bisogno di conoscere molte cose riguardo i nostri utenti. Per indirizzare bene la pubblicità le aziende necessitano di una quantità folle di dati. E poi io sono nato in Unione Sovietica, che era un mondo privo di pubblicità».
Koum, 38 anni, è cresciuto come ebreo e “ragazzino ribelle” in un villaggio fuori Kiev. La vita era dura. «La società era molto isolata: voi potete leggere 1984, ma noi lo abbiamo sperimentato. Non ho posseduto un computer fino a 19 anni». Quando nel 1992 emigrò in California con la madre e la nonna, suo padre rimase in Ucraina. «Poter mandare dei messaggi istantanei a mio padre in quel periodo sarebbe stata una gran cosa». In classe, lui era quello che in casa non abbiamo l’auto, quindi si doveva alzare alle sei del mattino per prendere l’autobus; non parlava un granché l’inglese, e «mi ficcavo nei guai perché facevo il bullo con quelli che facevano i bulli con me». Koum abbandonò il college – «Studiavo informatica e matematica, ero scarso in entrambe e mi annoiavo» – e cominciò a fare lavoretti. Dopo un po’, durante una conferenza Apache sulla sicurezza, conobbe uno dei fondatori di Yahoo!, e fu invitato a un colloquio di lavoro.
Negli Stati Uniti si dà per scontato che una piattaforma comunicativa guadagni un vantaggio insormontabile sul mercato una volta raggiunto un grado di penetrazione tale che l’effetto network annulla qualsiasi incentivo a migrare altrove. Il fatto che WhatsApp possa andare su sei piattaforme – Android, iPhone, BlackBerry, Nokia S40, Symbian e Windows Phone – le ha garantito questo vantaggio.
«È facile che nel mercato della messaggistica si verifichi una situazione del tipo the-winner-takes-it-all, per via di questo forte effetto network», dice Jim Goetz di Sequoia che astutamente ha finanziato fin dall’inizio Google, Yahoo!, LinkedIn e molti altri, prima di concedere 8 milioni di dollari a WhatsApp nel 2011 e altri 50 milioni l’estate scorsa. «Gli andamenti dei grafici di Jan e Brian si stanno avvicinando a quelli di Facebook e io credo che nel giro di 24 mesi ci sarà il sorpasso, nel settore mobile. In un futuro non molto lontano WhatsApp avrà oltre un miliardo di utenti attivi».
Il giorno dell’intervista i due mettono bene in chiaro di voler restare indipendenti. «Mi preoccupo di quello che un acquirente potrebbe fare con la nostra popolazione di utenti», dice Acton. «Sul lungo termine finiscono sempre per metterci il becco. Che qualcuno arrivi e ci compri è contrario alla mia integrità personale». Koum aggiunge: «Abbiamo lavorato in una grande azienda e non eravamo granché felici. Facebook, Google, Apple, Yahoo! – c’è un elemento comune. Nessuna di queste aziende ha mai venduto. Sono riuscite a diventare grandi proprio perché sono rimaste indipendenti». Dicono anche di non aver preso in seria considerazione un’offerta pubblica iniziale. «Non fa parte della nostra agenda», taglia corto Acton.
Mark Zuckerberg aveva contattato Koum nel 2012; si erano trovati a bere un caffè a Los Altos. Ma solo molti mesi dopo Zuckerberg ha fatto un’offerta formale; l’accordo è stato annunciato il 19 febbraio. A quanto pare i 19 miliardi di dollari in contanti e azioni (e una poltrona nel consiglio di amministrazione di Facebook) hanno alleviato i dubbi dei fondatori. In un post sul blog, Koum ha insistito sul fatto che «WhatsApp resterà autonoma e opererà in modo indipendente», e che «nessun annuncio pubblicitario interromperà le vostre comunicazioni».
Parlare della valutazione multimiliardaria dell’azienda e dei numeri della sua crescita sembra quasi un elemento di distrazione, quando Wired arriva in visita a Mountain View prima dell’acquisizione. «Noi ci concentriamo su ciò che il nostro cervello è in grado di abbracciare, come le lamentele dei clienti. È anche possibile che questa valutazione non sia completamente realistica – che si tratti di una bolla. Yahoo! nel 2000 era un’azienda da 100 miliardi di dollari. Sessanta giorni dopo era un’azienda da 10 miliardi di dollari», dice Acton.
Koum dice che le entrate non sono la sua preoccupazione principale. «Abbiamo un approccio simile a quello che Google ha nei confronti della ricerca. Google vuole che gli utenti lascino il loro sito il prima possibile proprio perché Google ha fatto un buon lavoro. Noi vogliamo che voi parliate senza essere interrotti da annunci pubblicitari. La monetizzazione per noi è importante, ma non abbiamo l’ossessione di spremere le tasche degli utenti fino all’ultimo centesimo».
Koum e Acton vogliono essere considerati un’app affidabile e semplice. Quello che li tiene svegli anche la notte sono le sporadiche interruzioni del servizio del server, come quella di sabato 22 febbraio 2014, che «ha fatto sì che la gente avesse attacchi di panico su Twitter», per usare le parole di Koum. Una lavagna bianca indica che nel 2013 il tempo di disponibilità del servizio è stato del 99,9% – con 600 server che garantivano la spedizione senza intoppi di 250mila messaggi al secondo, e di un miliardo di immagini al giorno.
«Qui la parolaccia con la F non è fuck, ma focus, ovvero il concentrarsi su una cosa», dice Koum. Acton aggiunge: «La gente ci chiede una versione desktop, per i nomi utente – ma noi ci concentriamo sull’utilità, sulla semplicità, sulla qualità del servizio. Non vogliamo creare un’app per rimorchiare e conoscere partner. Noi ci occupiamo di quelli che sono già intimi». Per quanto riguarda i nuovi messaggi vocali premi-e-parla, basta un singolo colpetto al microfono per registrare e spedire un messaggio vocale; per ascoltarlo, il telefono passa in automatico dalla modalità speaker al volume basso, quando i suoi sensori di prossimità avvertono che l’apparecchio viene tenuto vicino a un orecchio. Eppure la prudenza può essere una strategia ad alto rischio. WhatsApp è stata accusata di innovare lentamente e di lasciarsi sfuggire i trend come quello della messaggistica a scadenza, che si dice abbia portato a Snapchat un’offerta di 4 miliardi di dollari da parte di Google.
Acton non ha peli sulla lingua. «Non mi è chiaro al cento per cento che cosa funzioni di Snapchat», dice. «Grandioso, gli adolescenti lo possono usare per trovarsi una scopata. Non me ne frega un cazzo di questa roba. Ho 42 anni, sono sposato e ho un figlio. Non mando messaggi sessuali a casaccio a gente che non conosco. Io mando messaggi di ti amo. Lei mi manda foto del nostro bambino. Evan Spiegel, il fondatore di Snapchat, ha solo il polso di una parte del mondo. Le persone desiderano conservare la cronologia delle chat. Sono una testimonianza permanente di una relazione». Queste cronologie possono essere molto attraenti per le agenzie che si occupano di sicurezza. I governi hanno chiesto a WhatsApp di concedere l’accesso ai suoi server? «Non abbiamo chiavi da dare», dice Koum. L’agenzia nazionale per la sicurezza degli Stati Uniti, insiste, non ha accesso ai messaggi degli utenti. «La gente deve capire che noi siamo diversi da aziende come Yahoo! e Facebook che raccolgono i tuoi dati e archiviano sui loro server. Dei nostri utenti vogliamo sapere il meno possibile».
È una filosofia di vita, prima ancora che una decisione legata al lavoro. Dice Koum: «Sono cresciuto in una società dove qualunque cosa tu facessi venivi intercettato, registrato, spiato. Alcuni miei amici finirono nei guai per aver raccontato barzellette sui leader comunisti. Nessuno dovrebbe avere il diritto di intercettare le conversazioni. Le comunicazioni tra il client e il nostro server sono criptate. Noi non salviamo alcun messaggio sui nostri server, non conserviamo la cronologia delle chat».
L’estate scorsa l’Arabia Saudita ha minacciato di bloccare WhatsApp e altre app di messaggistica per “non aver rispettato” la normativa nazionale. «Noi siamo un’azienda americana», taglia corto Koum. «Non abbiamo unici in Arabia Saudita. Se ci bloccassero non mi preoccuperei in veste di ceo di WhatsApp, mi preoccuperei perché sono uno che crede nella libertà di opinione e nel diritto alla privacy».
Anche Apple nel 2012 ha bloccato WhatsApp – rimuovendola per quattro giorni dall’App Store, per questioni che Acton definisce “ di conformità con iOS 5”, che poi sono state risolte. «Abbiamo relazioni eccellenti con Apple», dice Acton con aria impassibile, mentre Koum ride. «Senta, preferiremmo piuttosto parlare di quanto ci piaccia lavorare con Android», dice Koum. “Avendo un sistema aperto possiamo sviluppare più rapidamente nuove funzioni, possiamo farle avere più rapidamente ai nostri utenti, e se troviamo un bug possiamo tornare indietro senza impiegarci giorni, ma minuti». Acton aggiunge: «Su Android possiamo innovare senza timore. Di Apple abbiamo troppa paura. Il solo ciclo di approvazione è sufficiente a soffocare la tua creatività».
Ovum Consulting prevede che per questi servizi passeranno, nel 2014, 71,5 triliardi di messaggi, quando nel 2013 i triliardi erano stati 27,5; Flurry Analytics calcola che gli scambi del 2013 siano stati il triplo di quelli del 2012. La messaggistica social, come sa bene Facebook, è un mezzo chiave per promuovere il mobile engagement.
È una guerra mondiale: WhatsApp offre un’assistenza clienti con operatori che parlano spagnolo, cinese mandarino, turco, arabo, indonesiano e altre lingue.
Ottimo per Facebook: l’acquisizione favorisce l’accesso ai mercati emergenti. L’India è il più grosso serbatoio di clienti di WhatsApp, con oltre 40 milioni di utenti attivi. Il Messico ha oltre 30 milioni di utenti e il Regno Unito 17. Negli Stati Uniti potrà avere una penetrazione pari solo al 5%, ma in paesi come il Brunei, il Kuwait e Hong Kong WhatsApp è presente su almeno due terzi dei telefoni. «Tendo a vedere la messaggistica come parte di un trend più ampio, gli smartphone vengono usati per accrescere l’apertura e la democrazia», dice Koum. «Guardate come si stanno diffondendo alla svelta le notizie sulle proteste in Ucraina. La messaggistica è una pietra angolare».
E per come la vedono i fondatori, il telefono è solo l’inizio. «La messaggistica verrà incorporata in tutti i dispositivi», dice Acton. «Miniaturizzata, l’avremo in un ciondolo da portare al collo, negli occhiali, in un accessorio di moda...».
Ma che cosa prova Koum al pensiero di aver creato un’impresa che vale 19 miliardi di dollari? «Non ci penso, tutto qui» dice lui dopo una pausa. «È lusinghiero, è una conferma di quello che abbiamo fatto, ma abbiamo ancora parecchio da lavorare».
Koum giura che lui cerca di ignorare i numeri della crescita.
«Sono diventati così grandi da apparirci incomprensibili», riflette Acton.
«E non siamo neppure presenti sulla metà di tutti gli smartphone, ancora», aggiunge Koum. «Siamo molto indietro! Non stiamo facendo il nostro dovere! Lo so che non è sexy, lo so che non esiste un terzo socio che ci sta facendo causa. Stiamo solo facendo crescere l’azienda, assumendo persone in gamba...».
A parte gli scherzi... in un’area dove la competizione è così forte, non si sente minacciato da ciò che le altre aziende tech potrebbero fare per accaparrarsi questo mercato? «Sono cresciuto in Ucraina», dice Koum, dirigendosi alla porta. «Non mi lascio spaventare».
POSTIT
WhatsApp, dopo l’ingresso di Zuckerberg, perde milioni di utenti. Se ne avvantaggia il clone russo Telegram, finanziato dal miliardario e “filantropo” Pavel Durov. In corsa anche Wickr, che ha tra i soci Gilman Louie, ex capo del “venture capital” della Cia.