Roberto Giardina, ItaliaOggi 10/4/2014, 10 aprile 2014
NON COPIAMO IL SENATO TEDESCO
da Berlino
Matteo Renzi pretende di copiare il suo nuovo senato dal Bundesrat tedesco (nella foto), la camera dei rappresentanti regionali, che molti in Italia si ostinano a chiamare camera alta. Ne è venuto fuori un pastrocchio incredibile, come è sempre avvenuto quando imitiamo i tedeschi, «con le dovute correzioni», per la legge elettorale, o per la riforma regionale.
Tanto varrebbe abolire il senato e farla finita, anche se nelle migliori democrazie troviamo quasi sempre un sistema bicamerale. Il direttore di Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi, martedì ha ricordato che il Bundesrat fu imposto dalle potenze vincitrici dopo la disfatta del III Reich proprio con lo scopo di rendere poco funzionante la nuova Repubblica Federale. Come il nostro senato ricorda alla lontana il sistema americano. All’inizio, infatti, le scadenze elettorali erano state previste in tempi diversi: ogni cinque anni per i deputati, ogni sei per i senatori, per controllare i mutamenti dell’elettorato come avviene infatti negli Stati Uniti. Ma noi ci rinunciammo da subito, dal 1953.
Gli americani andarono oltre, sconvolgendo la struttura dei Länder, le regioni. All’inizio, avrebbero voluto tanti staterelli agricoli, bloccando la rinascita industriale. Fu Churchill a osservare che allora tanto valeva regalare a Stalin l’Europa occidentale, fino al Belgio e all’Olanda. Si volle cancellare la Prussia dalla carta geografica, rimasta comunque in mano ai rossi, per esorcizzare il passato, e nacque il Brandeburgo. Ma Hitler veniva dal Sud. Si creò un Land mostruoso: la Nord Renania Westfalia, unendo regioni dalle tradizioni diverse, oltre 17 milioni di abitanti. E si unì il Baden al Württemberg, la Foresta Nera e la Stoccarda della Mercedes.
La Germania rinacque e funzionò nonostante tutto perché, nota sempre Magnaschi, è «un paese virtuoso». Gli egoismi personali o di partito finiscono per cedere innanzi al bene comune. I Länder, in maggioranza, corrispondono agli antichi stati tedeschi uniti da Bismarck, la Baviera per esempio ebbe un suo re fino al 1918. Sono gelosi della propria indipendenza ma sempre nell’ambito dell’unità nazionale. La Baviera, alla caduta del «muro» si adoperò immediatamente per la riunificazione, anche se il suo peso nel Bund, la Federazione, sarebbe stato ovviamente ridimensionato. E continua sempre, sia pur malvolentieri, a versare miliardi a Berlino in base al principio della solidarietà federale, i ricchi aiutano i poveri, esattamente il contrario di quanto voleva e vuole la Lega.
Una ventina d’anni fa, alcuni, in Italia, sostennero che Helmut Kohl attraverso la Baviera finanziava Bossi per spaccare l’Italia in tre. Mi mandarono a Monaco a indagare, parlai con tutti, dall’Allianz alla Bmw, e risultò il contrario: la spartizione del nostro paese sarebbe stata una sciagura economica per le imprese bavaresi che, tra l’altro, hanno forti partecipazioni in Italia. Ovviamente non convinsi nessuno. La Baviera, che ha un suo inno nazionale e i cui colori si trovano nella bandiera greca (Otto, un principe bavarese, fu il primo sovrano nella Grecia indipendente nell’Ottocento) ha sempre visto male i movimenti indipendentisti sparsi per l’Europa.
Nei sedici Länder si vota a scadenze diverse, si viene quindi a formare di solito una maggioranza contraria a quella del Bundestag. E il Bundesrat ha il potere di veto su tutte le leggi di rilevanza locale, quindi su quasi tutte. Se volesse, come speravano gli yankees, potrebbe paralizzare il lavoro del governo federale. Ma non si è mai praticato un boicottaggio per motivi di partito: di fatto, invece, si instaura una sorta di Grosse Koalition permanente, il governo centrale concorda con l’opposizione le riforme più importanti, e la macchina statale funziona sempre, sia pure di compromesso in compromesso. Il Bundesrat da freno si è trasformato in un meccanismo virtuoso, con rare eccezioni. Ma la virtù ai politici non si può imporre per legge.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 10/4/2014