Giovanni Bucchi, ItaliaOggi 10/4/2014, 10 aprile 2014
PERDERE LA PATENTE È UNA TRAGEDIA
Il dubbio a questo punto è lecito: Matteo Renzi prima di annunciare qualche giorno fa dalle colonne del Quotidiano Nazionale il piano di “Sforbicia-Italia” per tagliare enti inutili e farraginosi come la Motorizzazione Civile, deve aver letto l’ultimo e-book di Marco Cobianchi, giornalista economico di Panorama. Oppure, qualcuno dei suoi più stretti collaboratori gliene deve aver parlato. Perché quanto annunciato dal premier è l’immediata reazione, la logica conseguenza, l’automatica decisione che scatta dopo aver divorato «Motorizzazione Blues. La vera storia di un sopravvissuto alla burocrazia» (Informant Editore, 2,99 euro). Un e-book la cui conclusione è: «Renzi non otterrà alcun risultato dalla sua ’’lotta alla burocrazia’’. Anche perché usa parole sbagliate. Contro la burocrazia non si lotta. Si vince, oppure si perde. Si taglia, o non si taglia. Tutto il resto è propaganda».
D’altronde, «la burocrazia non si riforma, non si accorpa, non si modernizza: si abbatte». Parole troppo dure? Esagerate? Sicuramente giustificate dopo l’odissea che Cobianchi racconta di aver vissuto in prima persona quando in un maledetto giorno di agosto 2011 s’è reso conto di aver perso la patente e di doverla rifare. Una storia vera, insomma: a tutti può succedere di perdere la patente (salvo poi ritrovarla e, per non perderla più, aver voglia di farsela tatuare sul petto). É successo a lui e l’esperienza è stata talmente devastante da convincerlo a raccontare tutto, per filo e per segno. Il risultato è una storia incredibile, verissima e devastante, che mostra il vero stato della gelatinosa amministrazione pubblica italiana. Incapace di capire, adeguarsi, reagire.
Tutto inizia da una denuncia in Commissariato, il primo passo verso l’inferno burocratico di un Paese che lo costringe ad addentrarsi in quella che lui definisce la “pancia del drago”, cioè dentro la Motorizzazione Civile di via Cilea a Milano, l’ente insignito del potere di concedere ai sudditi il duplicato della patente. É lì che prende corpo il suo vero e proprio incubo fatto di moduli incomprensibili, funzionari irrigiditi e irremovibili su ogni singola virgola, file interminabili dietro ai pochi sportelli aperti. E scoperte assurde, come ad esempio, il fatto che non esiste la posta elettronica certificata, che il versamento va fatto in Posta (niente carta di credito) e che, nel 2014, tutto si ferma se manca una fotocopia.
Un viaggio surreale che fa ridere e contemporaneamente fa piangere perché tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto a che fare con quella stessa ottusità degli uffici pubblici descritta da Cobianchi, con quella stessa burocrazia che lo ha avviluppato, stretto e soffocato con la tipica cieca indifferenza delle strutture autoreferenziali.
Giovanni Bucchi, ItaliaOggi 10/4/2014