Francesco D’Agostino, Il Sole 24 Ore 10/4/2014, 10 aprile 2014
IL RISCHIO DI UNO SPAZIO DOMINATO DAL BUSINESS
È probabile che i giudici della Consulta, dichiarando incostituzionale la proibizione della procreazione eterologa, abbiano pensato di "allargare l’ambito dei diritti", abbattendo barriere e divieti anacronistici, peraltro facilmente aggirabili dal "turismo procreativo".
In altre parole, è più che lecito ipotizzare che gli ottimi giudici della Corte si siano convinti di portare con la loro sentenza un importante contributo a quella lettura aperta e progressista della nostra Carta costituzionale che non può certo continuare a essere letta oggi con gli occhiali di coloro che l’hanno scritta ed approvata alla metà del secolo scorso! Peccato che ad essi sia sfuggito quello che tutti i bioeticisti sanno benissimo e cioè che la fecondazione eterologa risolve sì i problemi procreativi di alcune coppie (peraltro una piccola minoranza, dato che per fortuna la maggior parte dei casi di sterilità si risolve benissimo con le tecniche omologhe), ma li risolve in un contesto sistemico che inevitabilmente attiva dinamiche di commercializzazione, di dura commercializzazione, della procreazione umana. Non esistono "donatori" di gameti. I gameti – e in particolare gli ovociti – che vengono utilizzati nelle pratiche di procreazione eterologa sono comprati e venduti e possiedono rigide quotazioni di mercato collegate all’età dei "donatori/venditori", alla loro identità etnica, alla loro supposta "qualità" e potenzialità procreativa. Il divieto nei confronti della fecondazione eterologa, a parte le forti ragioni etiche a suo fondamento, possedeva altresì una non meno rilevante ragione giuridica, quella che da sempre ha visto con ostilità (se non con disgusto) la commercializzazione del corpo umano e di ogni sua parte. È curioso come a grandi giuristi, come i giudici della Corte, sia sfuggito questo aspetto così rilevante della questione. Francesco D’Agostino è presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica.
Francesco D’Agostino, Il Sole 24 Ore 10/4/2014